Finisce così Donald Trump, con le incredibili scene dell’assalto al Congresso che ottiene l’obiettivo auspicato dal leader, cioè bloccare la proclamazione di Joe Biden come presidente eletto. Nel pomeriggio molti Repubblicani, che pure hanno sostenuto Trump in campagna elettorale, si sono dissociati dal delirante comizio del leader a Washington davanti a una piccola folla. Altri, come il senatore del Texas Ted Cruz, hanno insistito con quelle parole d’ordine, quel linguaggio di violenza che non nasce oggi ma con il movimento dei Birthers, i teorici della nascita africana di Barack Obama, una delirante fantasia che poi è cresciuta e si è ingrossata fino a diventare quello che stiamo vedendo in queste ore.

Non possiamo certo dire che le scene dell’assalto al Congresso siano arrivate a sorpresa. Ci hanno colpito e sconvolto, certo, ma sono in perfetta coerenza con la degenerazione che Trump ha portato nella politica americana.

Ha evocato gli spari contro i manifestanti che protestavano per la morte di George Floyd a Minneapolis, ha licenziato un segretario alla Difesa, Mark Esper, perché si era rifiutato di usare l’esercito contro Black Lives Matter.

Ha perfino legittimato gli estremisti dei Proud Boys dal palco di un dibattito presidenziale contro Joe Biden.

Conosciamo tutto di quella parte di trumpismo violento ed estremista che è cresciuto in questi anni, che ha una dimensione prettamente americana e non c’entra nulla con l’internazionale sovranista vagheggiata dal suo ex consigliere Steve Bannon.

Se Barack Obama ha rappresentato un’America che prova, non sempre riuscendoci, a essere all’altezza dei suoi ideali, Donald Trump ha legittimato il suo lato più oscuro, lo ha portato al potere. Ma, per fortuna, è stato sconfitto.

Questo non va dimenticato: ha preso oltre 71 milioni di voti, è vero, ma ha perso la Georgia, ha perso i ricorsi per i riconteggi, non è riuscito a piegare ai suoi deliri l’apparato dei servizi segreti, i diplomatici si sono ribellati alla diplomazia parallela del suo avvocato Rudolph Giuliani, i suoi collaboratori più stretti – da Paul Manafort a Roger Stone – sono finiti in carcere.

Perfino gran parte del partito Repubblicano ha resistito e ha scelto – lo abbiamo sentito nel dibattito di oggi pomeriggio – di rimanere fedele agli ideali di John McCain, lo scomparso senatore dell’Arizona, invece che allinearsi per piaggeria e per un’immediata convenienza alle parole d’ordine di un clan che ha sequestrato la Casa Bianca permettendosi di chiamare “patrioti” i selvaggi entrati in Campidoglio (lo ha fatto Ivanka Trump su Twitter).

Nonostante le immagini dell’assalto al Campidoglio, insomma, la democrazia americana ha resistito a Trump, anche se come stiamo vedendo esce da questi quattro anni ferita e, letteralmente, sanguinante.

«Non è una protesta, è un’insurrezione», scrive il presidente eletto Joe Biden su Twitter. E ha ragione, perché questa è l’ultima prova alla quale Trump sottopone la democrazia americana. Nei giorni scorsi il sindaco del distretto di Washington DC aveva chiesto al Pentagono di schierare la guardia nazionale, i vertici militari hanno posto la condizione che non avesse armi e non usasse veicoli pesanti.

Un modo per evitare di trasformare una questione di ordine pubblico in un problema militare.

Questa scelta, per molti versi comprensibile, ha probabilmente contribuito alla degenerazione che stiamo vedendo. Agire diversamente avrebbe sollevato polemiche, avrebbe permesso a Trump e ai suoi di atteggiarsi a vittime, mentre ora è chiara la loro natura di eversori.

Come ovvio, i pazzi esaltati che sono entrati in Campidoglio non sono una falange armata, non sono neanche paramilitari, sono cittadini che hanno rotto il patto alla base della democrazia, cioè l’idea che tutti rispettino alcune regole di fondo.

La situazione tornerà presto sotto controllo, ma Biden ha ragione: la protesta parte sempre da una richiesta di cambiamento, può essere pacifica o violenta ma ha un obiettivo che la colloca dentro il sistema, l’insurrezione è invece il tentativo di sovvertire il sistema.

Quella di Trump si è confermata, anche in questa coda folle, una presidenza eversiva. Lo conferma perfino il messaggio video del presidente che vorrebbe placare le violenze: la premessa è sempre che le elezioni sono state rubate, che la rabbia è giustificata ma non bisogna esagerare, «We love you», dice Trump a quelli che stanno saccheggiando il Congresso.

A questo punto non si sa se è auspicabile che raccolga l’invito di Biden ad andare alla televisione nazionale per dare un messaggio e chiedere il ritorno alla calma.

L’America ha gli anticorpi per sedare questa violenza. La democrazia americana è sopravvissuta all’uccisione di presidenti, sopravviverà anche ai suprematisti bianchi che vogliono il podio di Nancy Pelosi come souvenir di una giornata di delirio. Ma poi dovrà interrogarsi a fondo.

Ci sono anche tante persone pacifiche e tutto sommato moderate che – per una lista lunga e varia di motivi economici, sociali, etnici o religiosi – in questi anni  hanno sostenuto Trump mentre da presidente tentava di distruggere le fondamenta del paese.

Spetta anche a loro – non soltanto alle forze dell’ordine di Washington e alla nuova amministrazione  - tirare fuori il meglio degli Stati Uniti dopo aver contribuito a far emergere il peggio.

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