Come altri venti milioni (cifra decisamente alta), giovedì scorso mi sono seduto di fronte alla televisione per ascoltare la prima puntata degli hearings, le audizioni, della Camera dei deputati  sull’“insurrezione” del 6 gennaio 2021 a Capitol hill. Per noi in California erano le cinque di pomeriggio di un giorno improvvisamente molto caldo, nel resto del continente nord americano il sole stava o era già tramontato. Tutti i canali televisivi più importanti – Cbs, Abc, Nbc, Msnbc, Cnn – trasmettevano la diretta; incalcolabili le persone che hanno guardato in streaming o appoggiati ai banconi dei bar. Unica assente Fox News, che è la televisione (sempre di più) trumpiana e che, peraltro, è il network tutt’ora in cima alla graduatorie di ascolto: il sud dell’America pare non voglia guardare altro.

Devo ammettere che, da spettatore, mi sono sentito protagonista; altro che Fabrizio Del Dongo confuso e stordito nella polvere della battaglia di Waterloo: avevo una poltrona in prima fila  da cui ho visto passare davanti a me la storia; ho potuto entrare nella Casa Bianca e assistere alla pazzia del presidente, ho sfilato insieme ai Proud Boys, i nazisti del 21esimo secolo, all’assalto, molto ben organizzato, del Campidoglio, ho gridato insieme a loro “impicchiamo Mike Pence!” e il mio capo mi ha fatto vedere il tweet di Donald che ci incoraggiava.

Ragazzi, che giornata! Sono entrato negli uffici di quella stronza di Nancy Pelosi, ho pisciato sui loro tappeti, ho portato la bandiera dei Confederati nel regno degli yankees, ho spaccato la faccia a un poliziotto con i miei stivali, che poi ho dovuto pulire del suo sangue e del suo vomito…

Questo per dirvi che la prima puntata di The Hearing, (mi viene da chiamarlo così), è stata un colpo mediatico sensazionale. E siccome “la prima stagione” durerà almeno fino alla fine di giugno, credo di poter prevedere che vincerà la classifica di pubblico e di critica per le serie tv con sceneggiatura basata interamente nella realtà. Meglio di The Crown.

Come nei migliori gialli, in The Hearing l’assassino viene dichiarato fin dall’inizio, e la grande forza dello spettacolo è di farlo sapere al pubblico. Il 6 gennaio fu un tentato colpo di stato, ispirato, finanziato e organizzato da Donald Trump per cancellare il risultato delle elezioni che lo avevano visto chiaro perdente, e reinstallarsi al potere, con l’aiuto di una legge marziale.

Motivo per cui l’ex presidente dovrebbe essere trascinato in giudizio con le accuse di alto tradimento della Costituzione, complotto contro gli Stati Uniti, insurrezione armata contro lo stato.

Il giallo politico

Come tutti abbiamo sperimentato, il “giallo politico - giudiziario”  è uno dei maggiori generi letterari, a partire dall’Ottocento. Colpi di scena, pubblico polarizzato e diviso tra innocentisti e colpevolisti, abilità degli avvocati, ruolo decisivo dei media.

Pensiamo all’impatto che ebbero in Europa “l’affaire Dreyfus”, il processo di Norimberga, la relazione di Krusciov al XX Congresso sui crimini di Stalin e, in America, al Watergate, di cui si celebra – con nostalgia – il cinquantesimo, un caso raro in cui un giornale fece dimettere un presidente. “The Hearing”, per quello che abbiamo visto nella prima puntata, è destinato ad entrare in questa categoria.

Con alcune importanti innovazioni; la prima è l’uso che viene fatto del materiale video (qui c’è un precedente; l’assassinio di George Floyd, che venne documentato da una ragazzina con l’iphone). Del 6 gennaio (l’evento che gli stessi protagonisti si premurarono di filmare, pensando di passare alla storia), credevamo di aver visto tutto, ma i 12  minuti di filmati recuperati dalle più varie fonti, comprese le bodycam degli agenti abbattuti, hanno sicuramente cambiato la comprensione di quanto successo.

Non a caso, il presidente del comitato d’inchiesta, il 74enne Bennie Thompson, deputato afroamericano del Mississippi («Nella mia vita ho sperimentato le conseguenze della schiavitù, del Ku Klux Klan, dei linciaggi») ci ha tenuto a dire: «Mi scuso in anticipo per la violenza delle immagini e per il turpiloquio che viene usato».

No, ha aggiunto, «non si è trattato di un giro turistico del Campidoglio», la sprezzante definizione che i deputati repubblicani avevano adottato per indicare la inutilità di una commissione d’inchiesta.

Cheney vs Trump

La seconda novità di “Hearing” è destinata ad avere un impatto nella vita politica americana. Si chiama Liz Cheney, deputata del Wyoming, repubblicana conservatrice, figlia del pochissimo amato ex vicepresidente Dick Cheney, l’anima nera dell’invasione dell’Iraq.

È una delle poche voci repubblicane contro Trump e ha accettato di far parte, insieme a Adam Kizinger, deputato dell’Illinois, della commissione. Contro Liz Cheney, i repubblicani di osservanza trumpiana – oggi ancora in maggioranza nel partito – stanno usando metodi propri della mafia siciliana: intimidazioni, minacce, diffamazioni; Cheney non è affatto sicura di mantenere il suo seggio (tanto che i democratici pensano sia giusto votare per lei), ha una scorta, i servizi segreti la proteggono.

E però avreste dovuto vederla, alla sua prima uscita pubblica. È vestita con un tailleur azzurro castigatissimo, ha una pettinatura di capelli biondi da professoressa quasi in pensione, occhiali per nulla alla moda, tono di voce per nulla drammatico, ma proprio per questo potentissimo. 

È stata lei ad annunciare il calendario delle puntate, con grande sapienza e ritmo: «Vedrete questo… vedrete questo» e ha fatto chiaramente capire al suo partito che per loro è giunto il momento della vergogna. «Voglio dire qualcosa ai miei colleghi repubblicani che stanno difendendo l’indifendibile. Ci sarà un giorno in cui Donald Trump uscirà di scena, ma il vostro disonore resterà».

Credo che la rivedremo spesso, Liz Cheney. Per adesso, è lei a condurre gli interrogatori dei più alti rappresentanti del suo partito e a ottenere da loro rivelazioni decisamente clamorose.

Le audizioni

I repubblicani hanno reagito male: «La solita messa in scena politica»; e certo non potevano dire altro. In realtà nella prima punta c’è già stato abbastanza per preoccuparli. Abbiamo visto il ministro della Giustizia di Trump, William Barr – l’uomo che l’aveva tirato fuori dai guai nell’accusa di impeachment – ricordare apertamente di aver detto, per ben tre volte, nel dicembre 2020, al presidente che le elezioni erano state regolari e che non aveva alcun senso («bullshit») insistere sul fatto che erano state truccate. E di qui, le sue dimissioni.

Idem per la figlia del presidente, Ivanka Trump (un’apparizione spettrale la sua, pochi secondi, estrapolati da una testimonianza di otto ore) e per suo marito, altrettanto spettrale, Jared Kushner, ambedue consiglieri speciali del presidente molto ascoltati.

Gli dissero che aveva perso e che doveva farsene una ragione, ma lui non li stette ad ascoltare. Si è poi appreso che la decisione di mobilitare la piazza venne presa a metà dicembre in una riunione nella sala Ovale cui presero parte il generale Michael Flynn, l’avvocata Sidney Powell e il consigliere giuridico Rudolph Giuliani.

Abbiamo poi sentito che il programma di uccidere, per impiccagione, il vice presidente Mike Pence era reale e che la truppa aveva avuto il via libera da parte di Trump stesso, con parole che sarebbero state bene in bocca a Vito Corleone: «Se lo merita».

I risvolti sulle elezioni midterm

Adesso tutti gli analisti politici sono al lavoro, su un tema urgente. Quanto peso avranno le rivelazioni di “Hearing” sulle prossime elezioni di midterm e sulle primarie del partito repubblicano per il 2024? Quanti voti può spostare? Attualmente Trump possiede ancora una forte presa nel suo partito e sembra in grado (per finanziamenti) di ottenere una nuova nomination.

In questo caso, le “elezioni rubate” saranno il suo cavallo di battaglia; le audizioni del Congresso e le probabili conclusioni dell’inchiesta penale rendono però molto rischiosa una sua nuova candidatura.

Il problema è che oltre alla sua personale pazzia, Trump non sembra avere molto alto da offrire e, all’orizzonte prossimo ci sono le decisioni della Corte suprema sull’aborto (che allontaneranno molte donne dal partito repubblicano) e il crescente disgusto per le stragi di innocenti nelle scuole e nei supermarket.

A favore di Trump gioca naturalmente la benzina a prezzi record (la guerra in Ucraina invece non gli giova). In questo quadro, lo spettro del 6 gennaio è chiamato a comparire sempre di più sulla scena.

Lunedì, seconda puntata, dopo il “pilot” di giovedì scorso. La seconda puntata è quella che fa la fortuna o la disgrazia delle serie televisive. I personaggi cominciano a delinearsi, il pubblico ad affezionarsi, il tribunale dell’audience è chiamato a pronunciarsi.

È strana, questa situazione, ma non brutta. È un po’ un apologo della democrazia, la capacità che ha di trasformare una cosa antica. Si narra che I Persiani di Eschilo, molto comprensivo nei confronti dei perdenti, venne rappresentato ad Atene davanti  al Partenone ancora bruciato e che tra gli spettatori molti portassero un remo, testimonianza della loro partecipazione alla grande battaglia di Salamina, avvenuta appena otto anni prima.

È per questo che seguirò  con passione “Hearing” e mi auguro che qualcuno stia già preparando una spietata, sincera, umana serie televisiva sulla pazzia di Vladimir Putin, che, peraltro, era il più grande amico ed alleato di Donald Trump.        

   

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