Cosa è successo realmente a Goma in quella drammatica mattinata del 22 febbraio in cui hanno perso la vita i nostri connazionali Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo? Il gruppo composto da sei uomini armati, con tutta probabilità di origini rwandesi data la lingua parlata – il kinyarwanda -, stava attendendo proprio l’ambasciatore? Voleva rapirlo? O si è trattato di un tentativo di rapina finito male? Come è stato possibile che una strada rivelatasi poi così fatale, sia stata dichiarata ‘totally safe’ dal World Food Program (Wfp)?

I quattro sopravvissuti

Le domande sono davvero tante. Il Wfp, per diradare un minimo di nebbia e fornire informazioni alla stampa, ha organizzato un briefing online, tenutosi nella serata del 26 febbraio. Prima di dare la parola ai tanti giornalisti collegati, in gran parte italiani, il Vicedirettore della Comunicazione del Wfp, Greg Barrow, ha letto una dichiarazione del Vicedirettore del Wfp nella Repubblica Democratica del Congo, Rocco Leone.

Leone, oltre che rappresentante eminente della nota organizzazione dell’Onu, era nel convoglio che ha subito l’assalto ed è uno dei quattro scampati alle pallottole del gruppo armato. «L’esperienza di lunedì – ha dichiarato - è stata sia tragica che traumatica e non trovo neanche le parole per esprimere quanto sia profondo il mio dolore per le vite perse. In questo momento non posso andare nei dettagli dell’incidente, ad ogni modo spetta a tutti e quattro noi sopravvissuti il compito di condividere quante più informazioni possibili sulla vicenda, e siamo tutti pronti a farlo».

Proprio a questo fine, il Vicedirettore del Wfp in Congo non ha fatto ritorno in Italia per restare a disposizione degli inquirenti che all’indomani dell’attentato hanno dato inizio alle indagini. Al momento, sono tre gli attori sul campo a condurre l’investigazione, le autorità congolesi, quelle italiane (il 23 febbraio è arrivata in Congo una delegazione dei Ros) e il Dipartimento per la Sicurezza delle Nazioni Unite.

«È importante che le operazioni umanitarie – ha tenuto a sottolineare Leone in chiusura di dichiarazione - possano proseguire senza ostacoli per continuare a salvare e a cambiare le vite delle molte persone bisognose di aiuto che noi siamo qui per servire».

I veicoli non erano blindati

Vari gli elementi emersi durante il briefing grazie alle domande dei giornalisti. Barrow ha ribadito che la strada, a seguito di una valutazione di Wfp e Onu, era stata considerata green, quindi senza alcun rischio né stretta necessità di misure ulteriori ai body guard congolesi (uno per macchina), oltre a Iacovacci, a bordo delle due autovetture del Wfp. Anche per questo i veicoli non erano blindati, né seguiti da jeep della Monusco, la forza di interposizione Onu presente nell’area (20mila effettivi) che in alcune occasioni fornisce servizi di security. Questi i fatti ufficialmente dichiarati supportati da documenti, a quanto riferisce il Vice Direttore della Comunicazione Wfp.

Resta tutto da chiarire, però, se nella valutazione dei rischi ci siano state sottovalutazioni o poca accuratezza: «Attendiamo anche su questo delicato punto, che ovviamente sarà vagliato nei minimi dettagli – ha sottolineato Barrow – gli sviluppi delle inchieste. Posso assicurarvi che verranno attentamente esaminati i particolari delle riunioni che hanno stabilito sicurezza e viabilità e su ogni possibile misura che si sarebbe dovuto prendere per tutelare la sicurezza. Dovrà essere fatta piena luce sul fatto che ogni protocollo di sicurezza sia stato rispettato».

Le colpe dell’Onu

La destinazione finale della missione partita da Goma era la cittadina di Rutshuru dove il Wfp conduce un programma di promozione di sana alimentazione nelle scuole. Il Congo, tra le tantissime piaghe da cui è vessato, annovera infatti uno dei tassi maggiori di malnutrizione infantile al mondo: 3.4 milioni di bambini ne soffrono e si teme che il numero sia destinato ad aumentare dato il perdurare dei conflitti nell’est e dell’instabilità in tutto il Paese.

Nel frattempo il governo italiano – che per bocca del ministro Luigi DI Maio ha chiesto un rapido report a riguardo – e quello congolese, puntano il dito sul World Food Program: era l’organismo dell’Onu, secondo Roma e Kibshasa, a essere il primo responsabile della sicurezza del convoglio. Le autorità congolesi, inoltre, sostengono di non aver ricevuto alcuna informazione riguardo lo spostamento dell’ambasciatore. Quest’ultima evenienza, in realtà, viene clamorosamente smentita da un documento che attesta la informativa inviata in data 15 febbraio 2021 dall’ambasciata italiana al governo congolese in cui si chiede di favorire l’accesso diplomatico all’aeroporto N'Djili di Kinshasa (da cui la delegazione italiana è partita per raggiungere Goma) all’ambasciatore, Iacovacci e il console Alfredo Russo (partito ma, all’ultimo fermatosi a Goma, ndr) e, soprattutto, si avvisa del viaggio specificando date, destinazione e motivo: visita agli italiani residenti a Goma e Bukavu.

Ovviamente, i lato oscuri sono tanti e si attende che le indagini facciano il loro corso temendo, però, che i tempi siano lunghi. Tra i vari dubbi che emergono, nel frattempo, c’è anche il motivo per cui in tale missione fosse coinvolto l’ambasciatore italiano quale unico diplomatico. Alla domanda posta da Domani a Barrow, il vice direttore ha risposto che è usanza del Wfp accompagnare diplomatici di varie nazioni, specie quelli che si dimostrano generosi nel sostenere i programmi alimentari del Wfp per mostrare l’impatto che l’azione del Wfp sostenuta da tali governi, sta avendo sulla popolazione.

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