Qualcosa è cambiato oggi negli sviluppi della crisi ucraina. Ha l’aspetto di un innesco: prima i separatisti del Donbass avviano con un annuncio l’evacuazione dei civili, poi partono le sirene di allerta, e quando ormai è buio si vede nelle immagini circolate in rete il deflagrare di un’autobomba vicino al quartier generale separatista nel cuore del Donetsk. Appartiene a uno dei capi delle milizie, hanno fatto sapere i separatisti, invitando gli uomini alle armi e insistendo che Kiev sia pronta all’offensiva. Una messinscena, secondo Usa e Kiev. Così, mentre Putin annunciava accoglienza ai fuggiaschi, il governo ucraino si affrettava a dire che non ha nulla a che fare con l’escalation: il quadro di oggi somiglia molto alle previsioni che Washington fa filtrare con insistenza da settimane, sperando che diffondere le analisi della propria intelligence serva a cambiare il quadro. Ed era proprio così che la Casa Bianca disegnava la «invasione imminente»: con una operazione false flag, compiuta cioè attribuendola alla parte opposta per creare un pretesto per attaccare. «Del resto da un paio di giorni siamo già dentro questo scenario», ha detto oggi il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. «Funziona così: crei false provocazioni, a cui poi devi rispondere, e alla fine compi aggressioni». Fino a «un paio di giorni», quando ancora i canali del dialogo sembravano funzionare, Vladimir Putin continuava – smentito da Usa e Nato – a sostenere che le esercitazioni militari al confine stessero gradualmente terminando. Ora Mosca sta intensificando gli avvertimenti agli Usa.

I moniti agli Usa

La Russia vuole negoziare solo al proprio tavolo, e cioè un tavolo che comprende non solo l’Ucraina ma la ridefinizione degli equilibri di sicurezza in Europa orientale. «L’architettura di sicurezza», così la definisce il Cremlino nella risposta fatta avere giovedì agli Stati Uniti. La prossima settimana Usa e Russia devono discuterne, o almeno questa è l’intenzione dichiarata finora sia da Blinken che dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Nel frattempo, il documento spedito dal Cremlino più che un testo negoziale è un monito: «Gli Usa devono ritirare le truppe dall’Europa centrale e orientale», altrimenti saranno intraprese «misure tecnico-militari». Cosa questo significhi, si è visto oggi. Stando ai report occidentali, la cifra delle truppe ammassate al confine invece di diminuire è lievitata: ci sono circa 190mila uomini a lambire l’Ucraina, dicono gli Stati Uniti. C’è poi qualcosa che Putin stesso annuncia ed esibisce, in conferenza stampa con l’alleato bielorusso Aleksandr Lukashenko: «Esercitazioni nucleari». Fa il paio con una delle frasi del documento indirizzato a Biden: «Va risolto il problema delle armi nucleari Usa capaci di colpire bersagli russi». La tensione è ancora sull’estensione della Nato.

Diplomazia alternata

I canali del negoziato restano aperti, ma in un contesto sempre più aspro. Oggi alla conferenza sulla sicurezza di Monaco c’è stato un appello all’unità occidentale, tanto più che la Russia non si è presentata. Gli Stati Uniti serrano i ranghi e compattano sulla propria linea gli europei, con Joe Biden che si espone sulla crisi ucraina e ha approvato un bilancio di spesa militare Usa di 60 miliardi più ampio rispetto alla media dell’era Trump. Oggi Putin ha lanciato un segnale doppio: da una parte «nel Donbass la situazione si sta aggravando», dall’altra Mosca dice di «contare sul proseguimento dei negoziati»; la linea di coerenza sta nel tentativo di proseguirli da una posizione di forza. Il premier Mario Draghi, che ha accettato l’invito di Putin e andrà a Mosca, ha lanciato segnali di dialogo anche oggi: sulle sanzioni, ad esempio, meglio che «non comprendano l’energia e non siano preventive». L’obiettivo di Draghi ora è far sedere il presidente ucraino e quello russo assieme.

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