Le immagini dei cortei che si stanno espandendo nella Striscia contro la milizia sono una novità che si spera dia forza alle manifestazioni contro il premier israeliano sull’altro fronte. Oggi appare impossibile, ma la speranza è che un giorno le due proteste possano incontrarsi
Non so se e quanto seguito avranno, ma riempiono il cuore di gioia le manifestazioni che pare si stiano espandendo in tutta la Striscia di Gaza contro il governo di Hamas, che ha analoghe responsabilità di quello israeliano nella prosecuzione del conflitto, e l’emittente qatarina Al-Jazeera, un vero e proprio megafono di tutti i gruppi fondamentalisti islamici e i governi che li finanziano.
Soprattutto, lo riempiono a chi, come me, non ha mai ceduto alla retorica razzista che descrive i palestinesi, o meglio tutti gli arabi, come una banda di incivili, dediti alla lussuria e alla guerra, per usare solo alcuni degli stereotipi che l’Occidente ha costruito nei confronti delle popolazioni che gli stanno ad Oriente.
Arabi disposti a sacrificare i propri bambini in nome di una macabra ideologia del martirio? Facile giudicare quando non si vive sotto il giogo di una banda di criminali mafiosi, che usa la violenza, la tortura e l’intimidazione come strumento di governo.
Gli ostaggi israeliani prigionieri in abitazioni private? E che devi fare con una pistola o un kalashnikov puntato alla testa tua o dei tuoi figli. Scene orrende di giubilo a quelle vomitevoli parate a cui abbiamo assistito in questi due mesi di tregua durante la consegna degli ostaggi? Stessa cosa. Per carità, ci sarà anche adesione, odio feroce. E vai a dar loro torto con tutto ciò che subiscono da un anno e mezzo, con un passato già non brillantissimo, per usare un eufemismo.
It’s the war baby, è la guerra, che solleva passioni difficilmente comprensibili da noi moralisti da salotto. È così dall’una e dall’altra parte. Se mai, visti i tempi che corrono, un giorno infausto ci toccherà di trovarcisi dentro, tutto diverrà magicamente ed improvvisamente chiaro.
Queste manifestazioni sono una gioia anche per chi, conoscendo le dinamiche politico-culturali che hanno attraversato il mondo musulmano perlomeno dal crollo dell’impero ottomano, è sempre stato convinto dell’esistenza di una controparte e l’ha sempre sostenuta nelle lotte egemoniche interne al suo fronte. Speculari a quelle che si combattevano e si combattono dall’altra parte della barricata. Ci ho creduto anche in questi terribili mesi di guerra, organizzando, dove ho potuto, dialoghi, cercando punti di incontro in vecchi piani sepolti dalla storia, ma non per questo meno validi. E a tutto questo il governo israeliano che immagine ci offre in cambio?
Uno schifo di conferenza sull’antisemitismo a cui prenderanno parte alcuni esponenti dell’estrema destra europea, che, quando va bene, non ha mai reciso i legami con la propria base nostalgica ed oggi mantiene toni vergognosamente xenofobi che si sono già tradotti in un attacco contro le pratiche fondamentali ebraiche, in primis macellazione rituale e circoncisione.
A sancire l’enormità del gesto di Bibi e del suo ministro per la Diaspora Chikli, un altro dei suoi tirapiedi, il rabbino capo di Gran Bretagna, Ephraim Mirvis, il presidente dello European Jewish Congress, Ariel Muzicant e il direttore dell’americana Anti-Defamation League (Adl), Jonathan Greenblatt hanno già fatto sapere che non parteciperanno all’evento proprio per la presenza dei su citati individui.
Ulteriore dimostrazione che in Israele e nell’ebraismo diasporico c’è un’opposizione fortissima e senza quartiere alla deriva illiberale e identitaria che Netanyahu vuole usare come un treno che lo aiuti a consolidare il suo potere personale e sfuggire alla pressione degli altri organi dello Stato, magistratura in primis.
Bisogna valorizzare questa parte, ancora una volta, senza cedere agli stereotipi antisionisti che dipingono Israele come un monolite composto verso la vendetta e lì per prendersi tutto. Tracciando persino, bestemmia fra le bestemmie, una linea di continuità fra Ben-Gurion e Netanyahu.
Non lo credo possibile oggi e nemmeno in un domani vicino, troppo sangue è scorso e scorrerà ancora. Ma, forse, un giorno questi due fronti, palestinese ed israeliano, si incontreranno, riconoscendo all’altro il sacrosanto diritto all’autodeterminazione che chiedono per se stessi.
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