A pochi giorni dal secondo vertice fra il presidente americano Joe Biden e il suo omologo russo, Vladimir Putin, abbiamo assistito ad una rivolta contro il governo kazako che apre una nuova fonte di destabilizzazione nell’Asia centrale. A trent’anni dal crollo dell’URSS vi sono ancora situazioni politicamente irrisolte nella maggior parte dei paesi post-sovietici. Situazioni politiche, talvolta simili, ma spesso contraddistinte da specifici problemi di natura etnica, culturale e sociale.

Un paese non tranquillo

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Non è la prima volta che vi sono manifestazioni nelle vie della città kazake. Già nel 2011, nella stessa area del paese, quattordici operai di una industria petrolifera erano morti durante una manifestazione contro i bassi salari e le pessime condizioni di lavoro.

In Occidente c’è sempre stata la percezione che il Kazakistan fosse il paese più stabile dell’area. Normale, quindi, la reazione di stupore alle immagini e alle notizie che provengono dalla capitale amministrativa, Nur-Sultan (fino al marzo 2019 Astana), e da Almaty, il centro economico del paese.

Tuttavia, è dal 2019, con il passaggio di potere dal presidente Nursultan Nazarbaev al suo fedelissimo Quasym Toqaev, che nell’anniversario dell’indipendenza del paese dall’Urss – il 16 dicembre – le forze dell’ordine hanno attuato azioni di contenimento della folla e detenzioni preventive per evitare scontri e proteste.

La modalità di successione kazaka al potere ricorda quella di Eltsin con Putin: dimissioni del presidente, presidenza ad interim del capo del governo e successiva elezione presidenziale. E alla notizia della riforma costituzionale russa del 2020, molti analisti avevano guardato al “modello Nazarbaev” come un’opportunità per Putin di assumere il ruolo del “padre della Patria” alla guida del Consiglio di stato.

Ma cosa è successo in questi giorni e quali sono le cause principali di questa rivolta civile? La protesta di natura economica, che è iniziata dopo l’aumento del prezzo del GPL, da 0,12 e 0,24 centesimi di euro, si è trasformata in una accusa politica contro le istituzioni, il livello di corruzione del paese e l’ex presidente Nazarbaev.

Il corrispondete di Russia Today, Igor Zhdanov, ha riportato che nella giornata del 5 dicembre la città di Almaty si trovava in una situazione «di totale perdita del controllo delle forze armate e di sicurezza». L’aeroporto internazionale era «inaccessibile e molti voli sono stati cancellati».

È stata occupata la residenza del presidente del Kazakistan ad Almaty, abbattuto uno dei monumenti dedicati a Nazarbaev e le grandi aziende metallurgiche hanno interrotto la produzione perché gli operai si sono uniti alle proteste. Circa tremila manifestanti hanno tolto manganelli e scudi agli agenti di polizia e hanno incendiato il palazzo dell’amministrazione e della procura di Almaty.

In tarda serata i dati diffusi parlano di 95 poliziotti feriti e 37 macchine della polizia bruciate, mentre sono state arrestate più di 200 persone. La situazione è precipitata velocemente a tal punto che non era chiaro se le forze dell’ordine e le autorità istituzionali sarebbero state capaci di intervenire per bloccare il caos che si era venuto a creare.

Nel consiglio di sicurezza i ministri degli interni della difesa non hanno, infatti, garantito la lealtà dell’esercito e della polizia, ma hanno confermato la presenza dei reparti nella difesa della capitale.

La reazione

In this handout photo taken from video released by Kazakhstan's Presidential Press Service, Kazakhstan's President Kassym-Jomart Tokayev speaks during his televised statement to the nation in Nur-Sultan, Kazakhstan, Wednesday, Jan. 5, 2022. Tokayev said that "we intend to act with maximum severity regarding law-breakers." In the statement, he also promised to make political reforms and announced that he was assuming the leadership of the national security council. The latter is potentially significant because the council had been headed by Nursultan Nazarbayev, who was president from 1991 until he resigned in 2019. (Kazakhstan's Presidential Press Service via AP)

Nel frattempo, il presidente Toqaev ha definito i protestanti «hooligans» altamente organizzati con blindati e artiglieria leggera, accusando «interferenze esterne» nella conduzione di questa «guerra civile». Un canale Telegram, “Militarist”, ha scritto che gli Stati Uniti avevano già allertato mesi fa su possibili proteste, previste a mezzogiorno del 16 dicembre, per chiedere le dimissioni del governo e la libertà per tutti i prigionieri politici.

Il presidente kazako ha, inoltre, dato il mandato di arrestare il direttore dell’impianto di lavorazione del gas che ha favorito l’aumento del prezzo, istituito il coprifuoco dalle 23 alle 7 nella capitale e ha chiuso l’accesso alle reti mobili e Internet.

Dopo i primi provvedimenti il presidente si è rivolto ai manifestanti affermando che tutte le loro richieste sarebbero state prese in considerazione. Si tratta di una concessione che, come ha riportato lo scienziato politico russo, Grigorij Golosov, ha dimostrato una debolezza personale di Toqaev nella gestione della rivolta. Solamente dopo il colloquio telefonico con i presidenti Putin e Aleksandr Lukashenko, il presidente kazako ha destituito e sostituito Nazarbaev a capo del consiglio di sicurezza e, soprattutto, ha richiesto l’intervento militare dell’Odkb (Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva), di cui fanno parte Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan per fronteggiare «i terroristi addestrati all’estero» che stanno combattendo con le forze dell’ordine. Un’operazione che potrebbe richiedere circa un mese, secondo il vicepresidente del comitato di difesa della Duma russa e che non rappresenta tecnicamente e politicamente un’invasione russa come qualche analista occidentale sta scrivendo, ma sarà coordinata dal capo del governo armeno, Nikol Pashinyan, in qualità di presidente di turno.

Questioni geopolitiche

Riot police officers prepare to stop demonstrators during a protest in Almaty, Kazakhstan, Wednesday, Jan. 5, 2022. Demonstrators denouncing the doubling of prices for liquefied gas have clashed with police in Kazakhstan's largest city and held protests in about a dozen other cities in the country. (AP Photo/Vladimir Tretyakov)

Prima di arrivare a conclusioni affrettate sulla natura «interna ed esterna» delle attuali proteste in Kazakistan, cerchiamo di riflettere su alcune questioni di rilevanza geopolitica.

In primo luogo, il Kazakistan fa parte dell’Unione economica euroasiatica, dell’Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva, è parte integrante dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e ha un ruolo centrale nella Nuova Via della Seta. In secondo luogo, la Russia condivide con il Kazakistan circa 7000 chilometri di confine e la regione settentrionale è marcatamente russofona, in un paese che, tuttavia, è un melting pot di etnie diverse. Mosca e Pechino, già dal disimpegno americano in Afghanistan, hanno affermato quanto sia importante che la zona non sia luogo di scontro e di instabilità politica. È plausibile, pertanto, che la Cina e la Russia faranno il possibile per risolvere la crisi ed evitare un cambiamento di regime dal futuro incerto.

Il Kazakistan di Nazarbaev ha, comunque, sempre avuto buoni rapporti con gli USA che dal 2004 al 2019 ha venduto 43 milioni di dollari di armi. Nel paese non è diffusa una narrazione antioccidentale e dal 2003 l'esercito kazako ha svolto esercitazioni congiunte con la NATO. Non si può escludere, però, che ci siano penetrazioni occidentali, volte a destabilizzare il paese sfruttando anche le tensioni tra le diverse comunità etniche locali.

In terzo luogo, alla recessione economica, dovuta anche al calo del 90 per cento delle esportazioni verso la Cina, si affianca anche una crisi provocata dai bitcoin: nel 2021 circa 90 mila società di criptovalute si sono trasferite dalla Cina, determinando l’aumento della quantità di energia elettrica necessaria di algoritmi per “produrre” i bitcoin. Queste considerazioni dimostrano quanto il Kazakistan costituisca il crocevia di interessi per numerosi paesi; non per ultima la Turchia di Recep Erdogan. Ma c’è un ultimo aspetto, non meno rilevante che riguarda soprattutto la Russia di Putin: cosa insegna la successione del potere nei regimi personalistici.

Il trasferimento graduale del potere da un leader ad un suo delfino ha mostrato tutta la sua inefficacia perché ha consentito ai vari clan di avere maggiore potere e indebolire la macchina statale. Certamente la questione economica ha portato in superficie il malcontento della popolazione, soprattutto sulle questioni sociali e rimane, ovviamente, da verificare se una parte dell’élite ha avuto un ruolo nelle proteste. Il presidente Putin ha, quindi, ulteriori elementi di riflessione per il suo futuro. Non dimentichiamo che il Kazakistan è il paese più grande dell’Asia centrale e una sua debolezza e totale assenza di ordine nel paese può avere ricadute sull’intera regione.

 

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