Le ore in viaggio sono state più di 50 tra andata e ritorno. Quelle passate a Nouméa, capitale della Nuova Caledonia, meno di 20. Il tutto per provare a «ristabilire l’ordine repubblicano» in una delle periferie più estreme francesi. Emmanuel Macron è volato nell’arcipelago del Sud Pacifico e ha usato l’inflazionato metodo della carota e bastone per cercare di placare le rivolte in corso. Da una parte ha spinto per il dialogo con i protestanti, dall’altra ha rimarcato il fatto che la pace dovrà essere riportata in tutti i modi, con i 3.000 gendarmi inviati dalla Francia che rimarranno fin quando sarà necessario.

Rivolte e interferenze

Da quasi due settimane, la collettività d’Oltremare sui generis francese è in preda a violente proteste portate avanti da gruppi di giovani e indipendentisti kanaki, la popolazione indigena della Nuova Caledonia. Barricate per le strade, quartieri occupati, negozi saccheggiati, auto incendiate, voli bloccati e scontri con le forze dell’ordine. Il bilancio è di sette morti, tra cui due gendarmi, centinaia di feriti, altrettanti arresti. Una rivolta in piena regola.

Dietro gli atti eversivi di questi giorni, secondo Parigi, non ci sarebbero solo gli indigeni locali ma anche potenze straniere che grazie alla disinformazione e all’appoggio verso i manifestanti mirano ad alimentare l’instabilità. Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha puntato il dito contro l’Azerbaigian, con cui la Francia è ai ferri corti da anni per via della posizione dell’Eliseo sulle tensioni in Nagorno Karabakh e del suo avvicinamento all’Armenia. Solo l’anno scorso è stata creata un’organizzazione, il Gruppo di iniziativa di Baku (GiB), che sostiene apertamente i diversi movimenti anticoloniali contro Parigi, organizzando incontri tra esponenti del governo azero e dei territori francesi. Da Baku sono arrivate solo smentite, ma intanto le bandiere dell’Azerbaigian sono diventate uno dei simboli delle proteste in Nuova Caledonia. Come se non bastasse, aleggia anche l’ombra del Cremlino visto che, poco prima dell’arrivo di Macron nell’arcipelago, le istituzioni caledoniane sono state colpite da pesanti attacchi hacker russi.

Il nodo

A ogni modo, a scatenare le ire dei kanaki, oltre alle difficili condizioni economiche, è stato il progetto di riforma costituzionale che il parlamento francese potrebbe approvare entro un mese, andando a modificare i contorni elettorali per Nouméa. Oggi, secondo un accordo del 1998 poi rivisto da Jacques Chirac nel 2007, la platea di elettori è fissata su liste bloccate composte dai residenti di allora sull’isola, per cui possono votare solo gli abitanti dell’arcipelago arrivati almeno nel 1988, oltre ai loro eredi. La revisione in discussione porterebbe a un’estensione del diritto di voto per chi è in Nuova Caledonia da almeno dieci anni, per lo più i nuovi residenti provenienti dalla Francia.

Una misura non apprezzata dagli indigeni kanak, che oggi rappresentano il 41 per cento della popolazione e sono timorosi di perdere qualsiasi speranza di trionfare in possibili referendum sull’indipendenza da Parigi. Negli scorsi anni sono state tre le consultazioni popolari nell’arcipelago, nel 2018, nel 2020 e nel 2021, tutte finite con la sconfitta degli indipendentisti.

Ma se nel primo referendum il risultato era stato 56,7 a 43,3 per cento, con uno scarto di circa 18mila voti su una popolazione di 260mila persone, nel secondo chi voleva rimanere legato alla Francia ha vinto di soli 9mila voti, con il 53,3 per cento, facendo scattare l’allarme all’Eliseo. In più, il terzo referendum, quello del 2021, si è svolto tra le polemiche per il boicottaggio del movimento proindipendentista a causa del Covid. La forte astensione ha portato a un plebiscito: il no all’indipendenza ha raggiunto il 96,7 per cento dei voti.

I referendum ravvicinati non sono riusciti a pacificare le divisioni tra gli abitanti. Tanto meno lo ha fatto l’iniziativa di Macron per provare a riformare le regole elettorali dell’ex colonia, parte della Francia dal 1853, per includere nel voto circa un quinto della popolazione della Nuova Caledonia. Per i kanaki è solo un modo di far perdere loro peso elettorale, un’ipotesi non del tutto campata in aria.

Tra geografia e nichel

Del resto Parigi, nonostante o forse proprio per via dei 16.811 chilometri di distanza che la separano da Nouméa, non può permettersi di perdere il controllo dell’arcipelago in Oceania. Non più colonia, ma collettività d’oltremare sui generis. Più banalmente si tratta di un luogo strategico per diverse ragioni. Innanzitutto per l’affaccio privilegiato sul Pacifico, spicchio di mondo in cui la Francia, al pari di altre grandi potenze, vuole giocare un ruolo nel prossimo futuro. La Nuova Caledonia, infatti, insieme alla Polinesia francese e alle piccole isole tropicali di Wallis e Futuna, è un avamposto nel Pacifico, fondamentale per consentire all’Esagono di avere voce in capitolo nella regione in cui si sfidano, soprattutto, Cina e Stati Uniti.

Inoltre, la Nuova Caledonia è strategica per un motivo forse ancor più rilevante: il nichel. Nell’arcipelago oceanico si trovano – a seconda delle stime – dal 10 al 30 per cento delle risorse mondiali di nichel, un elemento fondamentale per industrie e tecnologie. Indonesia e Cina hanno spinto molto sulla produzione di nichel, tanto che il suo prezzo è crollato del 45 per cento nel 2023 causando una crisi produttiva nel territorio francese che a sua volta ha aggravato la crisi economica a Nouméa. Risultato: disagi e proteste, e costo del nichel nuovamente salito nelle ultime settimane.

In più, per Parigi, c’è l’effetto credibilità. La Nuova Caledonia è solo uno dei diversi territori d’oltremare francesi, come per esempio la Guyana, Guadalupa o Martinica. In alcuni di questi contesti – in maniera ciclica o crescente – si riscontrano avvisaglie di insofferenze, se non vere e proprie istanze indipendentiste. Rischiare di creare un precedente, lasciando scivolare Nouméa verso un’insurrezione o un colpo di stato, sarebbe uno scenario pericoloso per la tenuta complessiva dei territori “periferici” in giro per il mondo sotto il controllo di Parigi, dal Sudamerica fino all’Oceania, passando per l’Africa.

L’intervento di Macron

Ecco spiegato il motivo per cui Macron ha deciso di salire su un aereo in direzione Nuova Caledonia, affrontando una trasferta così impegnativa e «un movimento insurrezionale senza precedenti». Se la Francia ha un problema, Macron ha un problema. E per il presidente, già in difficoltà in termini di consenso, avere seccature del genere – con soluzioni apparentemente non sfruttabili a livello politico – è un’incognita. Tanto più a ridosso di elezioni, quelle europee, in cui la popolazione francese è pronta a dare giudizi tramite le urne al proprio leader e ai suoi candidati. Un fallimento e una dimostrazione di non avere il polso della situazione, anche nella lontana Nuova Caledonia, in piena campagna elettorale non sarebbero perdonati.

Per questo Macron, appena giunto a Nouméa, ha incontrato i rappresentanti politici, sia indipendentisti che lealisti, ma anche gli imprenditori locali. «Credo che lo stato di emergenza non debba essere prorogato. Ma verrà revocato solo se tutti si assumeranno le proprie responsabilità», ha detto Macron. Il presidente francese ha poi strigliato quelle imprese che, sfruttando la crisi di sicurezza interna, hanno aumentato i prezzi dei prodotti nel territorio.

Bastone e carota, però. Macron, infatti, ha annunciato di non voler forzare i tempi per l’approvazione della riforma costituzionale osteggiata, lasciando passare qualche settimana per superare le polemiche e trovare un accordo finale che possa essere sottoposto al voto dei caledoniani. Inoltre, sono stati promessi aiuti economici per rimediare ai danni «colossali» provocati dai rivoltosi. Poi il volo di ritorno verso Parigi, con alcuni delegati del presidente rimasti a Nouméa per seguire gli sviluppi. Nelle prossime settimane si capirà se il pompiere Macron è riuscito a sedare l’incendio, per adesso ha preso tempo.

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