All’incirca un anno fa, mentre il Covid-19 cominciava drammaticamente a farsi largo in Cina e il mondo ignorava che ciò sarebbe stato solo il prologo di una pandemia, il primo ministro indiano, Narendra Modi, inviò un messaggio al presidente cinese Xi Jinping, esprimendogli la sua solidarietà e vicinanza. Verso la fine di febbraio 2020, inoltre, un C-17 dell’aviazione indiana si levò in volo alla volta di Wuhan – epicentro della crisi – con 15 tonnellate di materiali sanitari. Le difficoltà legate alla diffusione del Covid-19, insomma, sembravano poter contribuire a un sostanziale riavvicinamento tra i due giganti asiatici separati dalle reciproche ambizioni politiche ed economiche e da una problematica linea di confine lunga più di tremila chilometri. Nel corso di quest’anno, tuttavia, le cose sono andate in maniera molto diversa: l’India, infatti, è stata duramente toccata dalla pandemia – almeno fino a qualche mese addietro – mentre Pechino è riuscita a risollevarsi mettendo efficacemente il virus sotto controllo. Da quel momento, le reciproche cortesie diplomatiche hanno lasciato il posto a una crescente rivalità, che ha visto entrambi i paesi sfidarsi a suon di vaccini al fine di consolidare la propria leadership non solo all’interno del continente asiatico ma su scala globale.

Se le nazioni più ricche stanno cercando di conquistare quante più dosi possibili di vaccino al fine di assicurarsi l’“immunità di gregge” – una prassi che l’Organizzazione mondiale della sanità ha duramente criticato sostenendo come stia catapultando il mondo sull’orlo di un «fallimento morale globale» – quelle più povere sono invece alla disperata ricerca di qualcuno che possa aiutarle a garantirsi un qualsivoglia vaccino a costi estremamente contenuti. In quest’ottica, sia Nuova Delhi sia Pechino hanno ormai da mesi fiutato l’occasione impegnandosi nella distribuzione di massicce dosi di vaccino anti-Covid nella speranza di garantirsi così un importante appoggio di tipo politico. Del resto, entrambi i paesi hanno la necessità di rifarsi il trucco agli occhi del mondo: la credibilità dell’India è stata duramente colpita dall’inefficace gestione della pandemia, che ha contribuito, per la prima volta nell’ultimo quarto di secolo, a spingere il paese verso la recessione economica; la Cina, da parte sua, deve ancora scrollarsi di dosso le accuse di aver colpevolmente nascosto la reale portata di ciò che stava accadendo nel paese nei primi mesi del 2020, lasciando così che il virus si propagasse incontrollato a livello globale.

Allo stato attuale, l’India sta realizzando, localmente per AstraZeneca, il vaccino Covishield, e spera di riuscire a produrne un miliardo di dosi entro la fine del 2021. Nel quadro dell’iniziativa denominata “vaccino dell’amicizia”, alcuni paesi – Myanmar, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka e Maldive – hanno già ottenuto da Nuova Delhi le dosi da inoculare ai propri cittadini. Pechino, da parte sua, non è rimasta a guardare, affrettandosi a produrre ben due vaccini che hanno ricevuto l’approvazione in patria: il Sinopharm (prodotto dall’omonima azienda di stato) e il Sinovac. Nonostante molti dubbi sulla sua efficacia persistano, quest’ultimo è già stato introdotto in vari paesi del sudest asiatico e dell’America latina, grazie alle autorizzazioni emergenziali che ne hanno consentito la distribuzione.

Conquista di consensi

Tuttavia, la reticenza cinese nel condividere qualunque tipo di informazione sui propri vaccini ha in parte intaccato la fiducia che molti paesi in via di sviluppo riponevano in Pechino. Ciononostante, sia l’India sia, soprattutto, la Cina hanno costantemente rigettato le accuse secondo cui dietro alla distribuzione dei vaccini a paesi terzi ci sarebbe un chiaro disegno politico, sostenendo, al contrario, come esse considerino – prendendo le distanze dall’occidente – i vaccini un “bene pubblico” la cui fruizione, di conseguenza, non può limitarsi al paese che lo produce o che ne detiene più ingenti quantità.

La rivalità strategica si è fatta più pronunciata in quei paesi in cui India e Cina competono senza esclusione di colpi per garantirsi un’influenza – sempre maggiore. Ciò soprattutto a causa del fatto che il Covid ha concesso all’India, ridenominata la “farmacia del mondo”, l’insperata opportunità diplomatica di seguire le proprie aspirazioni di assurgere al ruolo di potenza globale. Se, infatti, la propria industria farmaceutica aveva già consentito a Nuova Delhi di diventare il principale fornitore di medicinali essenziali nei confronti dei paesi in via di sviluppo, il Covid le sta fornendo l’occasione per rintuzzare la crescente influenza cinese. Fino a questo momento l’India, nonostante il programma di immunizzazione rivolto ai propri cittadini languisca nelle zone basse delle graduatorie mondiali, ha distribuito circa 36 milioni di dosi, di cui circa 6 milioni sotto forma di aiuti umanitari. Pechino, dal canto suo, ha proceduto a una distribuzione del proprio vaccino su scala altrettanto ampia (oltre 60 paesi nel mondo), focalizzando la sua attenzione in particolare sull’Africa, sul medio oriente e sui paesi del sudest asiatico. Nel caso di questi ultimi, con cui le frizioni per il controllo del mar Cinese meridionale sono particolarmente intense, è facile immaginare come l’obiettivo di Pechino, attraverso la “diplomazia dei vaccini”, sia quello di ammorbidire la loro disposizione nei suoi confronti, procedendo al consolidamento delle relazioni economiche e al rafforzamento del progetto della Nuova via della seta, che proprio nel sudest asiatico trova uno snodo di fondamentale importanza.

Anche se le nazioni in via di sviluppo dovrebbero avere accesso alle dosi di vaccino provenienti dall’iniziativa Covax, un programma guidato dall’Organizzazione mondiale della sanità e volto ad acquisire vaccini da redistribuire ai paesi più indigenti, è lecito pensare che le aziende farmaceutiche occidentali siano più interessate al mercato delle nazioni ricche che lottano per contenere i propri focolai. Anche per questa ragione, molti paesi in via di sviluppo continueranno a volgere la propria attenzione almeno per una parte del proprio programma di vaccinazione alle donazioni e agli acquisti dalla Cina e dall’India. La guerra dei vaccini, insomma, è solo agli inizi.

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