Un «big fucking deal». Il presidente americano Joe Biden aveva descritto così l’Affordable Care Act di Barack Obama quando era il suo vicepresidente. E probabilmente pensa lo stesso oggi della sua proposta di riforma economica da 3.500 miliardi di dollari chiamata “build back better”, ricostruire meglio.

Piuttosto che puntare alla riforma epocale di un singolo settore come nel caso di Obama, Biden ha l’ambizione di rivoluzionare l’intero sistema di welfare, presentando un programma che suona come la lista dei desideri della sinistra progressista. In ballo c’è un pacchetto di proposte che il senatore Bernie Sanders ha definito «il più significativo dai tempi della Grande depressione», con idee come l’estensione del programma pubblico di asili nido, permessi retribuiti in caso di malattia, aiuti alle famiglie con bambini e ampliamento della copertura medica per gli anziani, oltre ad una serie di misure per contrastare il cambiamento climatico.

Disuguaglianza e crescita

Soprattutto, alla base c’è un principio riconosciuto ma non ancora “interiorizzato” dal sistema economico americano e più in generale capitalista, ovvero che la disuguaglianza sia un freno alla crescita, oltre che causa dell’aumento del debito. 

L’approvazione del piano al Congresso sembra a tal punto remota che i democratici stanno già valutando come ridimensionarlo. Una delle principali critiche mosse dagli oppositori – tra cui anche democratici centristi – è che un simile intervento statale a sostegno delle famiglie, unito a un significativo aumento delle tasse per i più ricchi, rappresenterebbe un tradimento dello spirito e del sistema che hanno reso grande l’America (e più povera l’Europa).

L’idea che diminuire la diseguaglianza sia nell’interesse di tutti è dura da passare, ma alla Casa Bianca c’è chi si batte per argomentarla. 

L’economista

Heather Boushey è tra questi. Con i suoi libri, articoli e interviste, è considerata tra i portavoce di una nuova generazione di economisti. Biden l’ha nominata membro del Council of Economics Advisors della Casa Bianca, ovvero l’ufficio di consiglieri a lui più stretti in materia di politiche economiche.

Il team, composto anche da Jared Bernstein, già consigliere di Biden quando era vice di Obama, è guidato da Cecilia Rouse, la prima donna afroamericana a ricoprire il ruolo. Insieme formano una squadra che potenzialmente avrebbe tutte le carte per condurre gli Stati Uniti verso il cambiamento epocale a cui le frange più progressiste del Partito democratico puntano da anni.

Boushey stessa è stata ad un passo dalla Casa Bianca già nel 2016, quando Hillary Clinton l’aveva scelta come capo economista nel suo team per la transizione. È anche presidente di una think tank che ha co-fondato nel 2013, il Washington Center for Equitable Growth, il cui motto è “evidence for a stronger economy”, ovvero prove, dati, per una economia più forte. 

E in effetti lo storico americanista Liam Kennedy ha definito i suoi libri «un resoconto enciclopedico sull’impatto della diseguaglianza sull’economia americana». Nel libro Finding Time: The Economics of Work-Life Conflict, del 2016, Boushey analizza l’evoluzione della famiglia americana dal dopoguerra ai giorni nostri, individuando i nodi nel rapporto tra lavoro e vita privata che ostacolano la crescita economica.

Il più evidente riguarda la graduale scomparsa di «un partner silente» che fino a qualche decina di anni fa sosteneva l’attività delle aziende: la “American wife”, la moglie americana, colei che permetteva all’ “American worker”, ovvero all’uomo lavoratore, di occuparsi solo del suo lavoro. 

«Per decenni la American wife ha dato alla società americana un grande e sostanzioso bonus», scrive Boushey. «Questo contratto molto ben compreso ma mai verbalizzato ora si è rotto», continua. Le donne lavorano fuori casa «perché ne hanno bisogno e perché lo vogliono».

Il vuoto che hanno inevitabilmente lasciato è diventato lo specchio della diseguaglianza. Le famiglie che hanno abbastanza risorse per compensare ce la fanno, le altre restano sempre più indietro. 

Una storia personale

A questo proposito Boushey racconta anche di sé, e in Finding Time ripercorre una vicenda familiare che ha poi ispirato la sua missione. Nata 51 anni fa a Seattle, nello stato di Washington, Boushey è cresciuta in un quartiere residenziale della classe media.

Suo padre lavorava come operatore di gru in uno stabilimento della Boeing, dove si producevano gli aerei 747. Rappresentava il genere di persona a cui si rivolge oggi Biden con il suo motto “reward work, not wealth”, premiare il lavoro non la ricchezza. Era iscritto ad un sindacato, ed il suo contratto prevedeva una buona assicurazione sanitaria.

Tuttavia, un solo stipendio non era sufficiente: la madre di Boushey aveva quindi trovato lavoro come impiegata in una banca. All’inizio degli anni Ottanta il padre è stato “pink slipped” ovvero lasciato a casa per qualche tempo a causa di una crisi del settore.

Boushey, al tempo adolescente, ha dovuto rinunciare ad alcune attività extrascolastiche, ma soprattutto è stata costretta a rendersi conto di quanto il suo futuro dipendesse dal lavoro dei suoi genitori, o meglio dalle società di cui erano dipendenti.

È grazie ai loro stipendi che poteva permettersi di seguire corsi di studio di alto livello e di accedere a cure mediche in caso di bisogno. 

L’acceleratore della pandemia

Boushey ha sperimentato così che l’economia non può essere intesa come un sistema governato da leggi naturali separate dalla società, ma che anzi è strettamente connessa ad essa. Un’idea ampiamente dimostrata anche da studi molto noti, come quello condotto da Raj Chetty, professore di economia ad Harvard, che con il suo Equality of Opportunity Project ha raccontato un brusco risveglio dal sogno americano.

O quelli condotti da Janet Currie, professoressa a Princeton, che dimostrano come sostenere l’educazione di bambini nati in condizioni svantaggiate possa creare un potenziale per tutto il paese. Questioni dibattute da tempo, riconosciute ormai anche dagli economisti più ortodossi, ma che la pandemia ha reso più drammatiche e urgenti.

La questione è quindi arrivata in Congresso dove il discorso si fa politico e ontologico perché va a toccare le corde sensibili del dibattito sull’identità del paese e sul concetto di libertà. 

Gregory Mankiw, professore di economia ad Harvard e predecessore di Boushey alla Casa Bianca come consigliere di George W. Bush, è tra coloro che considerano l’espansione del welfare “dalla culla alla tomba” come un gesto di compassione verso i più poveri che non ci si può permettere.

Lo spiega chiaramente in un articolo pubblicato sul New York Times, in cui appunto contrappone i concetti di “compassione” e “prosperità”, sostenendo che un programma di welfare finanziato in parte tramite l’aumento delle tasse ai ricchi indebolirebbe l’economia.

Per farlo ricorda una metafora di Arthur Okun, a suo tempo consigliere economico del presidente Lyndon Johnson: «Fornire una rete di protezione sociale è come usare un secchio bucato per ridistribuire differenti quantità di acqua tra le persone. Sebbene portare acqua ai più assetati può essere un gesto nobile, è anche un gesto costoso perché se ne perderà un po’ nel percorso». 

Secondo Mankiw, la ragione per cui anche gli stati europei più prosperi come la Germania e la Francia avrebbero un Pil pro capite inferiore a quello americano, è da cercare proprio nell’uso di quel secchio bucato. 

I suoi argomenti fanno leva sui valori a cui si appella il Partito repubblicano, insistendo sulla presunta libertà di cui godrebbe ogni americano di “farsi da solo”, avere successo e diventare ricco.

Un discorso che dieci anni dopo le manifestazioni di Occupy Wall Street continua a reggere con difficoltà, sia a livello di percezione che di dati. 

I critici dicono che se il Partito democratico intende davvero rivoluzionare il sistema di welfare deve prima ridefinire il concetto di libertà, deve riappropriarsene, sostenendo che uno stato che fornisce servizi di base di fatto concede ai suoi cittadini più libertà di movimento ma anche di scelta. 

Lo stesso vale per il cambiamento climatico: il messaggio dovrebbe essere che solo in un ambiente più sano le persone saranno davvero libere. «La politica non è solo chiacchiere», ha scritto sul Guardian Jan-Werner Müller, professore di politica a Princeton, «ma non si può realizzare un grande progetto politico senza usare un linguaggio persuasivo». Un «big fucking deal», appunto.

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