La fine di un’epoca non è poi nulla di straordinario. Almeno questa è l’impressione che si ha attraversando gli uffici della Tageszeitung (Taz), il quotidiano di sinistra più letto in Germania.

È l’antivigilia delle elezioni che suggelleranno il passaggio di consegne fra Angela Merkel e il suo successore (dopo il tracollo nei sondaggi si può ormai escludere quasi certamente che la candidata verde Baerbock riuscirà a imporsi come capo del governo). Nonostante l’incertezza verso cui si avvia la Germania, l’ultima riunione di redazione ordinaria non trasmette particolare urgenza né l’apprensione con cui buona parte dei commentatori europei attende l’apertura delle urne.

Ulrike Winkelmann, caporedattrice con Barbara Junge, modera l’incontro con tutta la tranquillità di chi ha già un piano per i lunghi mesi del dopo elezioni. «Sa, noi siamo meglio equipaggiati rispetto ad altri giornali a gestire il caos. Siamo sempre stati un po’ anarchici e smontare le strutture non ci sembra una cosa tanto sbagliata», dice.

In effetti, la Taz nasce alla fine degli anni Settanta proprio da quella tradizione ambientalista, pacifista e di sinistra che potrebbe finalmente entrare nella stanza dei bottoni dopo le elezioni di domenica, sempre che Spd e Verdi vadano al governo e riescano a domare l’eventuale partner di coalizione.

Le origini del quotidiano sono motivo d’orgoglio per i giornalisti che ci lavorano, e ancora dettano gran parte della sua attività. La Taz non è mai stata tenera con nessuno dei coinquilini della cancelleria. Proprio per questo è un ottimo termometro per l’atmosfera nella Repubblica federale, che oggi più che mai sente la stanchezza di sedici anni di stagnazione cristianodemocratica (prima con l’appoggio dei liberali, poi con i socialdemocratici).

Anarchia quotidiana

Ma è proprio l’ostinata critica nei confronti del potere che permette al giornale di navigare con sicurezza verso quella che sarà la fase forse più turbolenta della Germania unita: «I nostri colleghi cercano spesso di individuare chi comanda in questo paese, chi prevale su chi».

La Taz è invece più interessata a una visione d’insieme delle ingiustizie nel paese. «Noi, in fondo, siamo più a nostro agio con il tipo di incertezza che emergerà dopo domenica, anche se non ci saranno chiari vincitori», spiega Winkelmann. Il mondo visto dalla Taz è un posto già parecchio imperscrutabile, e l’elezione non è poi che uno dei tanti temi di cui si occupa in questi giorni.

Le sei pagine in più sulla campagna sono solo un’aggiunta a un menu piuttosto ricco: le principali discussioni durante la riunione riguarda il sistema delle fondazioni politiche, le proteste dei Fridays for Future, l’arresto di Pudgeimont in Italia, quanta visibilità dare al co-segretario dei Verdi, Robert Habeck, e la sua visita agli attivisti in sciopero della fame per il clima.

Verso la fine dell’incontro si ricorda di sostenere i colleghi che domenica gestiranno il “Live Ticker” delle elezioni, la raccolta in diretta di tweet, notizie e brevi commenti a ridosso della chiusura dei seggi. Ma insomma, il grosso della copertura data alle elezioni è già passata.

L’ambiente è un tema talmente importante che non poteva che essere la chiave di lettura per la Taz. «Già un anno fa abbiamo deciso che questa sarebbe stata la Klimawahl, l’elezione climatica, indipendentemente dalle campagne dei candidati». Ciò non ha impedito alla redazione di rimanere stupita da quanto il tema ecologico sia ormai centrale anche per i colleghi delle altre testate, incluse quelle più conservatrici.

«Questo è qualcosa che è veramente cambiato in questi anni. E sarà la sfida su cui si dovrà misurare il nuovo governo, assieme all’inclusione sociale». Mentre lo dice, Winkelmann fa un vago cenno con la testa fuori dalla finestra. La sede del quotidiano si trova sul lato più povero di Friedrichstraße, in uno dei quartieri con il più alto tasso di disoccupazione e Hartz IV, il sussidio di disoccupazione federale.

Follia e ragionevolezza

Più in là si scorge il vecchio quartiere dei giornali, distrutto dalla guerra e dal muro che attraversava la città proprio a pochi passi da qui, e poi resuscitato con la riunificazione. In lontananza incombe anche l’edificio dell’editore Springer, occupato dal giornale conservatore Die Welt e dal tabloid di destra Bild.

La Bild è forse il medium che più plasma l’opinione pubblica tedesca, un colosso da un milione di copie quotidiane che per certi versi è più a un mix fra Sorrisi e Canzoni e Fox News che un giornale di informazione. «Non so se ha sentito, qualche giorno fa hanno annunciato l’assunzione di cinquecento nuovi collaboratori». Il sogno (o l’incubo) di una Bild Tv online, capace di generare sensazionalismo e condanne da parte dell’ordine dei giornalisti ventiquattrore su ventiquattro, sembra ormai a portata di mano. Il progetto è il modo con cui il tabloid vuole tornare ai cinque milioni di lettori che aveva raggiunto all’apice del proprio potere.

«E penso proprio che ce la faranno», sospira Winkelmann. Nessun altro in Germania riesce a fondere informazione e intrattenimento come fanno loro, anche ricorrendo a bugie e alimentando la polarizzazione politica. Che sia un effetto collaterale di sedici, noiosi anni di Merkel?

Sarebbe un po’ ingiusto criticare la cancelliera per essere noiosamente responsabili. In fondo, spiega la redattrice, anche la Taz ha dovuto adattarsi a un’opinione pubblica nella quale le posizioni dei “querelanti” e dei complottisti sono diventate molto più visibili.

«Noi stessi siamo dovuti diventare molto più “ragionevoli”. Quando hai un partito come l’AfD che spara a zero su Merkel su qualsiasi decisione, è ovvio che bisogna rivedere le proprie posizioni. È importante cercare un consenso di base anche con i colleghi che non la pensano come noi ma sono comunque ragionevoli».

Dopo di me, il diluvio

Uno dei motivi di questa metamorfosi: Matthias Bröckers, uno dei fondatori della Taz e padre delle sue pagine satiriche. La sua trasformazione in sostenitore dei complotti sugli attentati dell’11 settembre ha lasciato di stucco la redazione ed è stato un colpo d’avvertimento per la degenerazione del dibattito politico tedesco. Un regresso che ha colpito anche molti personaggi che all’inizio dell’era Merkel si potevano ancora definire “ragionevolmente di destra”, e che col passare degli anni sono scivolati verso l’orlo della destra radicale.

Persone come Hans-Georg Maassen, ex capo dei servizi segreti interni, o Roland Tichy, economista di spicco e già caporedattore della Wirtschaftswoche: entrambi sostenitori convinti della Cdu (il primo è anche candidato in Turingia per il partito) ma ormai associati a posizioni complottiste e di destra estrema. «Sono persone normali che si sono rese conto delle attenzioni che ricevono promuovendo teorie folli». Come, per l’appunto, la Bild.

Queste figure beneficiano il vuoto strategicamente lasciato da Merkel, una mancanza di programma che la cancelliera è riuscita a colmare per sedici anni attraverso puro pragmatismo e capacità analitica. Come si scrive di qualcuno di così riservato e senza ideologia? «Esistono 1001 ritratti di Merkel, ma lei alla fine rimane ancora un mistero. E nessuno si aspettava che sarebbe durata così a lungo».

Forse solo qualcuno come lei, che sia nei contatti coi giornalisti che con i propri colleghi rimane sempre “the smartest person in the room”, poteva essere in grado di gestire un partito ricco di contraddizioni interne.

«Rendetevi votabili!»

Il rischio è grosso, soprattutto se la Cdu finisse all’opposizione: perché nonostante gli sforzi di Olaf Scholz per presentarsi come erede naturale della cancelliera, un governo a guida Spd farebbe molta fatica a tenere la barra al centro. Dopo aver sostenuto un candidato così mal digerito dalla sinistra del partito è verosimile che i socialdemocratici agiterebbero per più concessioni in campo sociale e ambientale, scatenando le ire dei conservatori e incoraggiandoli a spostarsi ancora più a destra. È uno scenario che sembrava fantapolitica fino a poco tempo fa, ma che tiene conto del sorprendente tracollo di Verdi e Cdu nei sondaggi estivi. La vera sfida sarà scuotere l’elettorato tedesco dalla languida comodità in cui ha versato in questi anni di relativa stabilità.

«I tedeschi sono suscettibili alla comodità. Se il prezzo della benzina non sale, non ci sono molti immigrati, la valuta rimane stabile, allora tutto va bene». Ma la crisi climatica è ormai arrivata, e non sarà più possibile far finta di niente, a prescindere della costellazione che governerà dopo il 26 settembre. Come recita lo striscione appeso sopra l’ingresso della Taz, “Rendetevi finalmente votabili!”. Un messaggio che sembra condiviso soprattutto dalle ragazze e i ragazzi di Fridays for Future, tornati dopo mesi a marciare proprio a pochi metri dalla redazione.

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