Non è un caso che lo Shangri-La Dialogue che si è svolto nel fine settimana a Singapore sia stato preceduto e accompagnato da due quasi collisioni tra aerei e navi cinesi e statunitensi, rispettivamente sul Mar cinese meridionale (il 26 maggio) e nello Stretto di Taiwan (l’altro ieri). Con le manovre “di avvertimento” dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) Pechino ha voluto infatti rafforzare il monito lanciato ieri dal suo ministro della difesa dalla ventesima conferenza sulla sicurezza organizzata dallo International Institute for Strategic Studies (Iiss).

Li Shangfu, che il presidente cinese ha voluto a capo dell’Epl, ha pronunciato un discorso destinato a passare alla storia, dal momento che Xi Jinping ha mandato il suo generale (sotto sanzioni Usa dal 2018 per l’acquisto di armi dalla Russia) a proclamare davanti a centinaia tra ministri ed esperti di difesa che la Cina non tollera più “interferenze” in quelle due zone strategiche del Pacifico occidentale che ormai considera come sue.

I pattugliamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati per garantire la “libertà di navigazione” in acque internazionali nel Mcm e intorno a Taiwan sono, secondo Li, «provocazioni per esercitare un’egemonia di navigazione» e come tali vanno contrastati.

Scambi sì, “ingerenze” no

Il ministro della Difesa ha di fatto dettato le condizioni di Pechino per riprendere il dialogo con Washington che, a livello di comandi militari, è pericolosamente interrotto dal 2 agosto scorso, quando l’allora terza carica degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, fu ricevuta a Taiwan dalla presidente Tsai Ing-wen. Pechino pretende un allentamento della pressione su Taiwan e nel Mar cinese meridionale: lo ha confermato l’ex ambasciatore a Washington Cui Tiankai, presente anch’egli a Singapore.

Nel mirino di Li sono finite le partnership di difesa Quad (Usa, Australia, India e Giappone) e Aukus (Australia, Regno Unito e Usa), incentrate sul Pacifico occidentale, definite un «tentativo di favorire lo sviluppo di alleanze militari simili alla Nato, sequestrando i paesi della regione ed esagerando conflitti e scontri, che non faranno altro che far precipitare l’Asia-Pacifico in un vortice di controversie e conflitti». A queste Li ha contrapposto la Global security initiative lanciata da Xi, incentrata sullo sviluppo economico e non sulla comune adesione all’ordine internazionale liberale.

Se, da un lato, la Cina mostra i muscoli, dall’altro il contrasto esplicito alle sue rivendicazioni di sovranità su Taiwan e nel Mar cinese meridionale (affermato anche dal recente vertice del G7 di Hiroshima), così come l’utilizzo politico e il risalto mediatico dato in occidente all’incidente del pallone spia dell’inizio dell’anno, o le stesse sanzioni contro Li sono motivo di imbarazzo per la leadership di Pechino, perché cozzano con la narrazione del “grandioso risveglio della nazione cinese” promossa da Xi come principale collante tra la società e il partito unico.

Competizione strategica

Come che sia, i rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi dal 1979, da quando Cina e Stati Uniti stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche. E l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) - in equilibrio tra commercio con la Cina e legami di sicurezza con gli Stati Uniti - a Singapore si è dichiarata “molto preoccupata”. A nome del gruppo di dieci paesi il ministro della difesa della città-stato, Ng Eng Hen, ha avvertito che «devono esistere canali di comunicazione, sia formali che informali, in modo che quando si verificano questi incidenti non pianificati, tali canali possano essere utilizzati per ridurre l’escalation ed evitare conflitti, altrimenti potrebbe essere troppo tardi per avviarli o attivarli nei momenti di crisi».

Le controparti cinesi avranno certamente parlato di questo (oltre che di Ucraina) incontrando il direttore della Cia, William Burns, che il mese scorso si è recato in segreto in Cina.

Mentre Li parlava allo Shangri-La Dialogue, ieri a Pechino sono sbarcati il sottosegretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, Daniel Kritenbrink, e la nuova direttrice gli affari della Cina e di Taiwan del Consiglio per la sicurezza nazionale, Sarah Beran, per discutere «questioni chiave della relazione bilaterale». Dieci mesi dopo lo scontro di agosto su Taiwan, passato il XX congresso del partito comunista e non archiviata la vicenda del pallone spia, Pechino e Washington dovrebbero riprendere a parlarsi, ma sembrano intrappolate dalla loro competizione tra grandi potenze.

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