La guerra in Ucraina sta assorbendo il grosso della produzione russa e una parte di quella occidentale, permettendo alla Cina di rafforzare altrove la sua posizione di esportatore di armamenti, commesse che a loro volta contribuiscono ad accrescere l’influenza internazionale di Pechino. Le ultime notizie parlano di due importanti forniture “made in China” per l’Arabia Saudita e l’Egitto, paesi che tradizionalmente per la loro difesa si rivolgono a Washington e a Mosca.

A rivelare il negoziato in corso tra il colosso di stato cinese Norinco e le Saudi Arabian Military Industries (Sami) è stato Tactical Report, un’agenzia d’intelligence con sede a Beirut. I sauditi stanno trattando l’acquisto di droni Sky Saker FX80, la risposta cinese al Reaper Usa, dotati di missili aria-terra e bombe guidate; droni elicottero da ricognizione e attacco CR500, muniti di razzi Red Arrow 12 (i Javelin cinesi); droni suicidi Cruise Dragon 5 e 10; il sistema di difesa aerea mobile a corto raggio HQ-17AE.

Durante l’ultimo expo dell’aviazione nella città cinese di Zhuhai (nel novembre scorso) i sauditi avevano già effettuato ordinativi di armi cinesi per oltre 4 miliardi di dollari. Dopo che il, ministro delle finanze, Mohammed al-Jadaan, ha accolto la proposta di Xi Jinping di regolare in yuan (e non in dollari) le transazioni per l’esportazione di greggio in Cina, anche le importazioni di armi da parte dei sauditi potrebbero essere pagate in valuta cinese.

In un altro report la stessa Tactical Report ha svelato il negoziato con il governo del Cairo, intenzionato a comprare una dozzina di caccia Chengdu J-10C, la versione cinese dello F-16 Usa.

La Cina non ha l’intenzione né la forza di sostituire gli Usa come garante della sicurezza in Medio Oriente, tuttavia per i clienti della regione l’acquisto di armi cinesi promette di ridurre la dipendenza politica da Washington, e rappresenta un’alternativa economica per ingrossare i loro arsenali.

Prova del fuoco

Il Partito comunista ha scommesso sulla “modernizzazione di base” dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) entro il 2035 e, per il 2049, sulla sua trasformazione in un’armata moderna, in grado di assecondare la nuova proiezione internazionale della Cina di Xi Jinping. Per questo l’industria bellica cinese negli ultimi tempi ha fatto grandi passi avanti, trainata da un budget della difesa in continua crescita: 224 miliardi di dollari per il 2023 (+7,2 per cento). I suoi prodotti, fino a qualche tempo fa considerati di qualità decisamente inferiore a quella dei concorrenti, hanno raggiunto un’efficienza similare a un prezzo competitivo, e si fanno apprezzare anche per altri motivi. Secondo l’ex istruttore dell’Epl Song Zhongping, rispetto ai concorrenti la Cina «è disposta a vendere armamenti ad alta tecnologia a nazioni amiche senza condizioni politiche, e ciò per il Medio Oriente rappresenta una grossa attrattiva».

Oltre ai missili, il fiore all’occhiello del complesso militare industriale di Pechino sono i droni da combattimento, che la Cina ha esportato più di tutti: 282 quelli venduti nell’ultimo decennio a 17 paesi (soprattutto mediorientali e nordafricani), secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Gli Stati Uniti, nello stesso periodo, ne hanno venduti solo 12, e unicamente agli alleati della Nato Regno Unito e Francia. I droni “made in China” invece sono stati utilizzati, tra l’altro, dal governo saudita nell’ambito della campagna aerea contro la ribellione degli houti sciiti nello Yemen che ha mietuto migliaia di vittime civili, e da quello di Baghdad, per centinaia di attacchi contro i miliziani dello Stato islamico. Hanno ottenuto così ciò che manca ancora ad altri armamenti cinesi, ovvero il “certificato di qualità” rilasciato dall’impiego in combattimento.

Gli aerei e gli elicotteri senza pilota in dotazione all’Epl sono destinati a giocare un ruolo di primissimo piano in qualsiasi scenario di guerra tra la Cina e Taiwan. I piani dei generali di Pechino prevedono infatti l’invio dall’altra parte dello Stretto di stormi di droni con il compito di neutralizzare la difesa aerea del nemico.

Norinco e Avic

Secondo i dati del Sipri, nel periodo 2018-2022 la Cina ha esportato armi verso 46 paesi, oltre la metà delle quali (il 54 per cento) è finita in Pakistan. Nel complesso la produzione cinese è stata finora destinata in gran parte all’Epl, ma ora i colossi di stato si stanno proiettando di più all’estero. Tutte e cinque le principali compagnie cinesi di armamenti sono tra le prime 20 al mondo e due (Norinco e Avic) tra le prime dieci. Norinco e Avic dichiarano entrambe un fatturato di circa 20 miliardi di dollari, un terzo di quello del gigante Usa Lockheed Martin.

L’ultimo rapporto del Sipri rivela che, nel periodo 2018-2022, il 76 per cento dell’export globale di armamenti è originato da cinque paesi: Stati Uniti (40 per cento), Russia (16 per cento), Francia (11 per cento), Cina (5,2 per cento) e Germania (4,2 per cento). Per quanto riguarda gli importatori, la classifica stilata da Sipri vede in testa l’India, seguita dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dall’Australia, dalla Cina e dall’Egitto. Le statistiche del Sipri dicono che nel 2022 la spesa globale per gli armamenti è aumentata in media del 4 per cento, superando i 2.000 miliardi di dollari. La direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, ha avvertito che l’invasione russa dell’Ucraina «rischia di spazzare via il dividendo di pace di cui abbiamo goduto negli ultimi tre decenni», ovvero di scatenare una corsa agli armamenti sostenuta da un incremento della spesa militare ben oltre il 2 per cento del prodotto interno lordo, nei paesi della Nato come in Asia.

Nel 2022, l’Ucraina è stata il terzo importatore di armi, dopo il Qatar e l’India. La necessità da parte dei membri dell’Alleanza atlantica di concentrare le forniture militari a sostegno della resistenza ucraina e per il rafforzamento della difesa dei rispettivi paesi, apre nuovi mercati alla Cina, che non è impegnata a rifornire né l’armata russa né le truppe ucraine.

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