Donald Trump spinge gli Stati Uniti fin dove non erano mai arrivati. Inedito è l’assalto al Campidoglio. Inedita è anche la seconda procedura di impeachment che lo riguarda, arrivata oggi al Senato, al quale spetta la decisione finale. Nessuno finora era mai stato messo sotto accusa per due volte, né a mandato presidenziale ormai esaurito. Senza precedenti è pure la portata dell’evento: stabilire se l’ormai ex presidente sia responsabile di «incitamento all’insurrezione» significa non solo rielaborare la memoria collettiva del paese riguardo all’assalto alle istituzioni, ma soprattutto decidere del suo futuro.

C’è ancora spazio per Trump nel Partito repubblicano? Fino a che punto i repubblicani sono disposti a prendere le distanze da lui? L’ex presidente sta anche considerando di fondare un partito proprio, «dei patrioti». Gli sarà ancora consentito ricandidarsi? A queste domande sta dando risposta il Senato proprio in queste ore. C’è poi un ulteriore interrogativo, che riguarda tutti, repubblicani ma anche democratici, Joe Biden in primis, e che aleggia sin da quando si è discusso se avviare il secondo impeachment. La questione è se, di fronte a una polarizzazione sfociata in attacchi violenti e minacce terroristiche, sia ancora possibile e auspicabile tentare una pacificazione.

Fretta di chiudere

Il Congresso ha dato il via alla procedura di impeachment, che oggi è arrivata in Senato. La camera alta è deputata a svolgere il processo e a deciderne le sorti. Nel caso in cui una maggioranza qualificata di due terzi (67 senatori) dovesse decidere che Trump è colpevole, il Senato con un voto ulteriore – stavolta a maggioranza semplice – potrà anche decidere di interdire l’ex presidente dai pubblici uffici. In pratica, il Senato può impedire a Trump di ricandidarsi. Attualmente, di 100 senatori, metà sono repubblicani, metà democratici. Il ruolo del partito dell’ex presidente è cruciale in tutto l’iter. Che sarà caratterizzato da una straordinaria rapidità: su questo, entrambe le parti sono d’accordo. Joe Biden ha tenuto un basso profilo sul tema, mentre il suo partito ha voglia di voltare rapidamente pagina, e di passare al più presto al voto di un piano di ristoro per la pandemia del valore di quasi duemila miliardi di dollari.

Per quanto si possa aver fretta di chiudere il capitolo, ci sono tempi da rispettare. Anzitutto, oggi nella nostra notte (e nel pomeriggio di Washington) i senatori si esprimono sulla costituzionalità del processo stesso. Una volta convenuto che Trump debba essere giudicato, l’accordo bipartisan fra i capigruppo del Senato stabilisce che da questo mercoledì entrambe le parti avranno 16 ore ciascuna per esporre i propri argomenti. Trump ha già fatto sapere che non intende prestare la sua testimonianza, e con ogni probabilità non sarà imprescindibile raccoglierne altre: l’assalto a Capitol Hill è avvenuto sotto i riflettori e gli eletti, ai quali spetta giudicare, lo hanno vissuto in prima persona. La scelta di ascoltare testimoni, improbabile, è comunque possibile, ma va approvata con un voto. Il primo processo di impeachment a Trump, dal quale uscì non colpevole, è durato circa tre settimane; in questo caso, nonostante la scelta di rapidità, per stabilire le responsabilità si arriverebbe comunque alla prossima settimana.

Le accuse e la difesa

L’accusa sulla quale ruota l’impeachment è l’«incitamento all’insurrezione». L’insistenza di Trump sul fatto che gli fosse stata «rubata» la vittoria, gli inviti incendiari a ribellarsi e «scatenare l’inferno» si sono susseguiti fino al giorno dell’assalto. Trump ha chiesto ai suoi supporter di essere presenti il 6 e di mostrare il lato duro: «Be there, will be wild!». Nel pieno dell’attacco al Campidoglio, quando crescevano anche fra i repubblicani le pressioni perché il presidente - ancora in carica - calmasse le acque, lui non ha lesinato agli autori dell’assedio parole complici, “amorose” («We love you»).

Per smontare l’accusa, il magnate ha ingaggiato due avvocati con un profilo che parla da sé: Bruce Castor, da procuratore, si rifiutò di incolpare Bill Cosby per violenza sessuale, e da avvocato si è specializzato nella difesa degli accusati dal movimento #metoo. David Schoen stava concordando con Jeffrey Epstein di assumerne la difesa poco prima che morisse; ha difeso stupratori, criminali, mafiosi russi ma pure italiani e israeliani; ha prestato consulenza al cerchio magico trumpiano sulle interferenze russe. I due puntano a derubricare le affermazioni di Trump a pura retorica e a esercizio della libertà di parola, protetta dal primo emendamento.

L’altro punto sviscerato dai difensori è l’incostituzionalità del processo. Oggi il Senato si deve esprimere proprio su questo: se sia lecito o meno giudicare un presidente che ormai non è più in carica. I democratici fanno notare che l’iter è stato avviato prima che Biden giurasse. E 170 costituzionalisti hanno vergato una lettera per dire che sì, l’impeachment può riguardare anche gli ex presidenti.

I repubblicani

A prendere posizione in tal senso è anche uno dei più autorevoli avvocati conservatori, Charles J. Cooper, che ha rotto così le linee dei repubblicani. Ma quanti nel partito sono disposti a troncare con il trumpismo fino a votare contro il loro ex presidente?

Per ora lo scenario più plausibile è che il processo superi il primo ostacolo – il vaglio di costituzionalità – ma che non ci saranno voti sufficienti per dichiarare Trump colpevole. La situazione è però politicamente più matura di quando si votò per il primo impeachment: in quel caso, l’unico a destra disposto a esporsi contro il leader fu Mitt Romney. Oggi il malcontento nell’establishment del partito repubblicano, che ha sempre considerato Trump un outsider dai tempi delle primarie, è più evidente; ma lo è pure la reazione della base.

La notte del 6, alcuni esponenti hanno preso le distanze dall’assedio e chiesto a Trump distensione, ma nei siti trumpiani sono comparse all’istante “liste di proscrizione”. Al Congresso hanno votato per l’impeachment solo 10 repubblicani su 211, e non senza irritazione tra i loro elettori (lo sottolinea Fox News). Al Senato, la tentazione di una mossa anti-Trump prende più piede, ma è difficile che conquisti 17 senatori repubblicani, necessari per lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Peraltro, più il partito rinnega il passato, più la base rischia di infiammarsi. Non a caso Trump ventila di fondare un “Patriot party”.

© Riproduzione riservata