L’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci spinge nel modo peggiore l’Italia nell’inferno Congo. Il paese, una incredibile concentrazione di ricchezze minerarie, agricole, faunistiche e ambientali, pieno zeppo di parchi naturali e paesaggi che ne farebbero una perfetta meta turistica, è in realtà uno dei luoghi in cui meno ci si augura di nascere e vivere. La condizione di instabilità sembra ormai una caratteristica insita del Congo fin dai tempi dall’indipendenza dal Belgio ottenuta il 30 giugno 1960.

Neanche sei mesi dopo, il 17 gennaio 1961, il celebrato padre della patria Patrice Lumumba, venne trucidato per mano delle truppe fedeli a Moïse Tshombe, leader del Katanga. Questa provincia, appoggiata dal Belgio non ancora rassegnatosi del tutto a mollare gli infiniti interessi minerari, nel frattempo si era dichiarata indipendente dal neonato stato. Da quel momento in poi, fatta eccezione per rari intervalli di relative calma e pace, solo tensioni, gravi violazioni dei diritti umani e civili (in particolare consumatesi nei 32 anni di potere di Mobuto Sese Seko), violenze e vere e proprie guerre dagli esiti marcatamente drammatici.

Da metà degli anni Novanta a oggi, conflitti e scontri armati si sono moltiplicati in tutto il paese – tra i quali la cosiddetta guerra mondiale africana tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del millennio – producendo una spaventosa cifra di morti: le stime oscillano tra i sei e i dieci milioni. In questo contesto di guerra latente, la Repubblica democratica del Congo, condivide assieme a Somalia, Siria e Yemen, il triste primato di utilizzo di bambini soldato. Alcuni conflitti sono scoppiati e hanno incendiato intere aree fino a sopirsi lentamente. Altri, invece, come i conflitti nella regioni orientali del paese dell’Ituri, il Nord e il Sud Kivu, sembrano perpetuarsi all’infinito.

Un paese nel caos

È proprio qui che aveva scelto di recarsi Luca Attanasio, a bordo di una land cruiser del World Food Program, con tutta probabilità allarmato dall’instabilità alimentare venutasi a creare per il perdurare della guerra. La popolazione è allo stremo. Sfiancata da anni di razzie, stupri di massa, stragi, sparizioni, atterrita dalla diffusione di ebola ed espropriata di terre feconde e ricche di minerali di infinito valore.

Nell’area scorazzano indisturbate oltre 150 milizie armate. Molte sono al libro paga dell’Uganda o del Rwanda che mirano a occupare la regione orientale della Repubblica democratica del Congo e spartirsi terre e, soprattutto, miniere. Tutta l’area è ricchissima di minerali ricercatissimi come coltan, cobalto e petrolio.

A conferma della capillare penetrazione di forze straniere nell’area, c’è la ricostruzione di alcuni testimoni presenti al momento dell’agguato del 22 febbraio, secondo cui gli assalitori parlavano kinyarwanda, una lingua utilizzata in Rwanda.

«La ricchezza di questa terra fa la disgrazia dei suoi abitanti», dice padre Gaspare Di Vincenzo. Da oltre 40 anni è un missionario comboniano e da otto vive a Butembo, in pieno Kivu settentrionale. Lui e l’ambasciatore Attanasio erano amici. «Qui conviviamo da anni con carneficine praticamente quotidiane nel più completo oblìo della comunità internazionale. Assistiamo increduli alla compartecipazione di attori interni ed esterni nella perpetuazione di questo stato di cose».

L’esercito regolare e, ancora di più il dispendiosissimo contingente Onu Monusco – un miliardo di dollari all’anno e scarsissimi risultati – partecipano attivamente o passivamente al conflitto per ottenere la loro fetta di guadagni. «I 20mila effettivi Monusco stanziati nell’est del paese non hanno alcun interesse a favorire la pace perché la guerra è per loro l’occasione di restare e continuare a guadagnare ottimi stipendi», aggiunge padre Gaspare. «Non si spiegherebbe altrimenti la loro inazione se non acquiescenza in molte stragi. La popolazione si è ribellata contro di loro, in più occasioni. Prima ha chiesto in modo pacifico la loro uscita di scena. Ultimamente ha dato alle fiamme alcune basi, in preda all’esasperazione. L’esercito, poi, un po’ per scarsità di mezzi, un po’ per propri interessi, è inerte. I militari approfittano del caos regnante per fare profitti col commercio di alcune risorse dell’area e annoverano nelle proprie fila, soldati ruandesi».

Tutto questo sconquasso è possibile anche grazie alla sostanziale assenza del governo centrale. Felix Tshisekedi è un presidente zoppo. È salito al potere a dicembre del 2018 al termine di quella che è passata agli atti come l’elezione più contestata della storia politica congolese (già molto accidentata). Al termine del conteggio verificato dagli osservatori internazionali, molti appartenenti alla chiesa cattolica, era stato staccato nettamente da Martin Fayulu e si apprestava a sedersi tra i banchi dell’opposizione. Incredibilmente, nelle ultime ore di spoglio riuscì, con la complicità della commissione elettorale, – e, a detta di molti, dello stesso Joseph Kabila fattosi con molta riluttanza da parte – addirittura a sopravanzare il suo avversario e a dichiararsi vincitore.

La sua presidenza, in ogni caso, resta molto debole così come le sue promesse di restaurare la pace nell’est del paese e innescare nuovi rapporti con le vicine Rwanda e Uganda, meno subalterni.

Scarica barile

Nel frattempo, a Kisnhasa e a Goma, capoluogo del Nord Kivu, si gioca allo scarica barile. Il ministero dell’interno e i responsabili dell’intelligence hanno dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione ufficiale in merito allo spostamento dell’ambasciatore da Kinshasa a Goma. Il governatore del Nord Kivu, Carly Nzanzu Kasitiva, scarica invece tutta la responsabilità sul gruppo armato Fronte democratico per la liberazione del Rwanda (Fdrl), una formazione che infesta la regione dai decenni, e addirittura sulle forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc).

«L’attacco è avvenuto nei pressi del confine con il Rwanda non lontano da una postazione delle Fardc», ha dichiarato. «La responsabilità è quindi del Fdrl e dell’esercito così come di chi sostiene questa innaturale alleanza tra le due forze armate che si sono rese protagoniste della perpetuazione del conflitto nelle regioni dell’est». Il portavoce del Fdlr ha seccamente smentito ogni coinvolgimento. Si attende una dichiarazione da parte dei vertici delle forze armate in risposta a questa gravissima accusa

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in una informativa urgente tenutasi alla Camera ieri mattina, ha annunciato di aver chiesto a Onu e World Food Program, che «aveva predisposto il percorso in auto svoltosi secondo un suo quadro organizzativo» di aprire un’inchiesta sull’accaduto e riferito di aver avuto un colloquio con la sua omologa congolese che avrebbe assicurato il massimo impegno per far luce sul drammatico evento.

Ha poi voluto illustrare una prima ricostruzione dell’agguato secondo cui un gruppo di sei persone armate avrebbe attaccato direttamente la vettura in cui viaggiavano Attanasio e Iacovacci e imposto a tutti di uscire a colpi di arma da fuoco. I rangers del vicinissimo Parco del Virunga, allertati dal rumore, sarebbero intervenuti e avrebbero intimato agli assalitori, invano, di lasciare le armi. Dal successivo scontro a fuoco sarebbe rimasto subito ucciso Iacovacci e gravemente ferito l’ambasciatore. Restano in ogni caso dubbi sul vero motivo dell’assalto e su cosa sia avvenuto realmente dopo l’uscita dei due italiani dall’auto. Non sarà semplice, quindi, il lavoro dei Ros, partiti nella mattinata di ieri alla volta del Congo per le indagini su quanto è accaduto. Troppi gli attori coinvolti, troppi gli interessi, troppe, soprattutto, le vittime innocenti che, da ieri, annoverano anche i nostri due compatrioti. La drammatica vicenda porta l’Italia, l’Europa, il mondo intero a occuparsi di Congo e apre uno squarcio sui gironi di questo povero paese bruciato da mille problemi.

Luca Attanasio, autore di questo articolo, è omonimo dell’ambasciatore ucciso. È il giornalista che ha condotto l’inchiesta finanziata dai lettori di Domani sulle miniere di cobalto in Congo.

© Riproduzione riservata