Domani gli avvocati dell’Eipr, Egyptian initiative for personal rights, varcheranno la soglia del tribunale al Cairo nell'ennesima udienza per il riesame della custodia cautelare di Patrick Zaki. Lo faranno dopo una settimana che ha visto i vertici dell’organizzazione per i diritti umani finire in carcere. Dopo l’arresto di domenica scorsa del direttore amministrativo Mohammed Basheer, infatti, le forze di sicurezza del Cairo hanno fermato altri due membri dell'organizzazione che si occupa della difesa di Zaki, il ricercatore arrestato lo scorso 7 febbraio al Cairo mentre rientrava da Bologna, la città dove frequentava un master in gender studies.

Mercoledì pomeriggio, mentre era in vacanza a Dahab, nel Sinai meridionale, le forze di sicurezza hanno messo le manette ai polsi di Karim Ennarah, direttore dell’unità di giustizia penale dell’Eipr. Pochi minuti prima del suo arresto, due organi di stampa affiliati al servizio di intelligence egiziana avevano pubblicato alcuni comunicati che accusavano l’Eipr di ordire un complotto contro l'Egitto per danneggiare la sua reputazione all'estero.

Dopo un interrogatorio di quattro ore nella stazione di polizia di Dahab, la procura per la sicurezza dello stato ha disposto per Ennarah quindici giorni di custodia cautelare. Le accuse vanno da associazione terroristica a diffusione di notizie false con il fine di danneggiare la sicurezza nazionale, le stesse attribuite a Basheer.

Anche Ennarah è stato inserito in quel fascicolo. Giovedì scorso alla lista degli indagati si è aggiunto anche il direttore esecutivo dell’Eipr, Gasser Abdel Razek, arrestato nella sua casa di Maadi al Cairo. Anche per lui la procura ha disposto quindici giorni di custodia cautelare.

I tre membri dell'organizzazione, detenuti nel carcere di Tora, al Cairo sono stati arrestati dopo un incontro avvenuto lo scorso 3 novembre con un gruppo di diplomatici stranieri, tra i quali l'ambasciatore italiano Giampaolo Cantini. «Karim era presente a quell'incontro. Il giorno dopo l’arresto di Basheer, la polizia ha fatto irruzione nella sua casa al Cairo mentre lui era a Dahab, allora abbiamo capito che aveva le ore contate», racconta da Londra Jess Kelly, la moglie di Karim Ennarah.

«Non sapeva cosa fare, non poteva lasciare il paese perché all'aeroporto lo avrebbero sicuramente arrestato. Siamo rimasti in contatto sino a quando abbiamo potuto, poi mercoledì pomeriggio le forze di sicurezza l’hanno prelevato mentre era in spiaggia».

Karim e Jess si sono sposati appena due mesi fa in Egitto e lei era rientrata da alcune settimane a Londra per motivi di lavoro. «Mio marito era consapevole dei rischi che correva da sempre anche se cercava di tranquillizzare sempre la sua famiglia», spiega. «Uno dei motivi per cui ci siamo sposati è stato anche questo, per avere una tutela. Il mio compito adesso è quello di fare pressione sul governo britannico, anche se Karim non ha ancora maturato il periodo per poter ottenere la doppia cittadinanza».

La lettera

Nel frattempo la direzione dell’Eipr è stata assunta da Hossam Baghat, attivista egiziano e giornalista investigativo che ha fondato l'organizzazione e l’ha diretta per dieci anni.

«È chiaro come l'incontro del 3 novembre con i diplomatici stranieri abbia innescato questa ondata di provvedimenti. Non è l'unico ma è sicuramente la causa principale», spiega Baghat. «Tutti e tre sono stati interrogati dai servizi di intelligence del ministero dell’Interno su cosa è accaduto nell’incontro e cosa è stato raccontato agli ambasciatori».

Sul fronte delle reazioni diplomatiche, l'ambasciatore italiano al Cairo ha inviato, insieme a numerosi capi missioni di altri paesi non solo europei, una lettera al ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, per richiedere il rilascio dei dirigenti dell’organizzazione. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avuto un colloquio telefonico con il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi, ma nel comunicato diffuso dalla presidenza egiziana non compare alcun accenno alla questione.

«Resto molto stupito da questa assenza», ammette Baghat. «Immaginavamo una presa di posizione pubblica dall’Italia, anche la lettera cofirmata da Cantini è una lettera privata. Ci aspettavamo di più, alcuni ambasciatori di altri paesi europei si sono spesi pubblicamente anche perché questi arresti sono un chiaro messaggio del governo egiziano che non vuole che ci siano più contatti tra la diplomazia e gli attivisti per i diritti umani presenti nel paese».

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