Sameh Ayoub, 71 anni, è un anziano residente della pittoresca cittadina di Majdal Shams, nella parte delle alture del Golan che si trova sotto il controllo di Israele dal 1967. Dal suo balcone di casa per quasi sessant’anni ha visto la Siria. Ora, oltre la barriera, vede veicoli militari dell’esercito israeliano che si muovono nei nuovi territori occupati dallo stato ebraico all’indomani della caduta del regime di Assad a Damasco l’8 dicembre scorso.

È uno dei circa 20 mila drusi siriani che sono rimasti sotto Israele dopo la guerra dei sei giorni ma che hanno mantenuto relazioni con familiari e amici dall’altra parte del confine, senza poterli quasi mai incontrare a causa dello stato di guerra in cui si trovano i rispettivi paesi. «Vedi quella casa laggiù? Lì ci abitano i miei cugini», racconta puntando il dito dal balcone. «Ora sto cercando di ottenere dall’esercito un permesso per andare a trovarli».

La linea interventista di Israele in Siria non si limita all’occupazione di questa vasta regione a sud-ovest di Damasco. L’esercito israeliano secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani di Londra ha compiuto circa 500 attacchi nel paese dopo la caduta di Assad, citando motivi di sicurezza. Il ministro della Difesa Israel Katz ha ipotizzato di dare permessi di lavoro ai drusi siriani e ha dichiarato Israele garante (non richiesto) della sicurezza della minoranza in Siria.

Un atteggiamento che non piace ad Ankara. Il ministero degli Esteri turco la scorsa settimana ha diffuso un comunicato in cui accusa Israele di perseguire politiche «aggressive ed espansionistiche» in Siria che «minano la stabilità regionale».

«Gli attacchi simultanei, aerei e terrestri, di Israele in diverse località, nonostante l'assenza di qualsiasi provocazione o attacco contro di esso dal territorio siriano, possono essere spiegati solo dall'approccio di politica estera di Israele che si nutre di conflitti», recita il testo. «Come agente destabilizzatore strategico nella regione, Israele provoca disordini e alimenta il terrorismo», continua, descrivendo il governo israeliano come «fondamentalista e razzista» e come la «minaccia principale alla sicurezza regionale».

La Turchia, che condivide un confine di 911 chilometri con la Siria, ha appoggiato l’opposizione dall’inizio della rivolta e ora è di fatto il principale alleato del governo di Ahmed Al-Sharaa. Qualora forze turche venissero dispiegate sul territorio e Israele continuasse i suoi bombardamenti, un incidente potrebbe provocare il primo conflitto della storia fra i due paesi.

I commentatori turchi hanno osservato che alcuni dei raid aerei notturni israeliani hanno colpito obiettivi in cui presto potrebbero, per l’appunto, arrivare truppe e materiali militari turchi. Il sito indipendente turco Serbestiyet ha citato fonti israeliane secondo cui questi attacchi «hanno trasmesso un messaggio» alla Turchia. Una delegazione militare turca che doveva recarsi alla base aerea di Tiyas ha rinviato la visita in seguito a un attacco.

Le relazioni fra Ankara e Tel Aviv sono già ai minimi storici a causa dell’offensiva di Israele a Gaza. Questa volta Erdogan non si è limitato alla sua durissima retorica contro Israele ma ha anche perlopiù interrotto gli scambi commerciali, malgrado continuino in parte attraverso canali indiretti. In questo contesto non stupisce che venerdì il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan abbia sentito la necessità di precisare che «non vogliamo lo scontro con Israele in Siria».

Fidan ha parlato del rischio che lo Stato islamico o il gruppo armato curdo Pkk approfittino «dell'assenza di forze regolari e capacità militari» siriane per rafforzarsi, attribuendo tale assenza alle azioni di Israele. «Israele sta eliminando tutti gli strumenti che un nuovo Stato può utilizzare contro minacce terroristiche».

A far temere che Turchia e Israele possano essere in rotta di collisione in Siria c’è anche il linguaggio scelto dai media filo-governativi di Ankara. «Tel Aviv sta mettendo alla prova la pazienza turca», ha scritto il quotidiano pro-Erdogan Aksam. Yeni Safak, un altro giornale allineato parla di «attacchi di panico» di Israele in Siria che servirebbero a limitare l’influenza turca.

«Si stanno avvicinando a noi, noi ci stiamo avvicinando a loro», ha scritto invece il giornalista Samet Dogan su X Haber. Ancora più definitivo l’analista Aydin Unal, secondo cui la guerra tra Turchia e Israele è «ormai una questione di tempo».

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