È all’insegna del dialogo interreligioso la seconda giornata di papa Francesco in Iraq. Questa mattina (6:30 ora locale), il pontefice è arrivato a Najaf, nell’aeroporto a due passi dalla tomba dell’imam Ali, cugino e genero di Maometto e primo uomo ad essersi convertito all’islam. Nella città santa per gli sciiti iracheni, il pontefice ha incontrato il Grande Ayatollah Al-Sistani.

Nella città santa

L’incontro tra i due leader ha una dimensione religiosa. È significativo che Francesco abbia voluto incontrare Al-Sistani a Najaf piuttosto che a Baghdad. La città santa, centro di pellegrinaggio e di studi religioso, è per gli sciiti il luogo che garantisce l’ingresso al paradiso: nell’altopiano di sabbia che si estende fuori dalle vecchie mura della città santa, infatti, si estende il cimitero più grande del mondo, dove sono sepolti profeti e fedeli.

Najaf è anche il luogo dove 1.400 anni fa avvenne il primo scisma islamico da cui nacque lo sciismo. Nella città santa non sono mancati scontri violenti tra le fazioni sciite, esacerbati da un’oppressione portata avanti, almeno dagli anni Sessanta, dal partito sunnita Baath. In un violento scontro nella moschea di Najaf, nel 2003 un gruppo di sciiti pugnalò l’ayatollah Abdel Majid al Khoei e assediò lo stesso ayatollah Al-Sistani nella sua moschea.

Religione e politica

Il primo incontro interreligioso della storia di Najaf mette l’accento anche sul ruolo delle religioni in Medio Oriente. I teologi della città santa sono sempre stati contrari al coinvolgimento della religione nella politica, in opposizione agli sciiti iraniani e alla linea di Khomeini. Il Grande Ayatollah ha più volte ribadito l’opposizione al ruolo degli sciiti in politica, facendo di Najaf l’opposto ideologico della città santa di Qom, incarnazione dell’ideologia khomeinista.

Eppure, Al-Sistani ha preso ferme opposizioni contro il terrorismo islamista del sedicente Stato islamico (Isis). Il 13 giugno 2014 ha legittimato le milizie volontarie sciite dello Hašd, nate per arginare il terrorismo, poi appoggiate dal governo di Nūrī al-Mālikī, salito al potere dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq nel 2011. Negli ultimi anni, l’anziano leader si è schierato al fianco dei manifestanti iracheni, scesi in piazza contro il carovita e la corruzione, ottenendo in breve tempo le dimissioni dell’esecutivo e la lenta riforma elettorale del Paese. Dall’incontro con papa Francesco, l’immagine politica del Grande Ayatollah ne esce rafforzata, soprattutto in vista della sua successione, insidiata da fazioni sciite legate all’Iran.

Ur, dalla divisione all’unione

Da Nassiriya, il papa si è trasferito a Ur dei Caldei, tra i resti dell’antica città sumerica, per l’incontro interreligioso con ebrei e musulmani nel nome del padre comune Abramo. Fa da lontano richiamo archeologico la Ziqqurat, l’antico tempio mesopotamico a gradoni che nel mito biblico riflette l’innalzamento umano divenuto poi diaspora. Papa Francesco sovverte il significato di questa pluralità, che diventa positiva nel solco della tolleranza.

«Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose», ha detto papa Francesco.

Ancora oggi, l’Is alimenta le contese fra il governo regionale del Kurdistan iracheno e il governo di Baghdad con rappresaglie. Domani il papa sarà a Mosul, città sotto la morsa dell’Is fino al 2017 e che porta con sé ancora i segni della devastazione.

Al fianco degli yazidi

In un passaggio del suo discorso papa Francesco ha poi ricordato il dramma del popolo yazida «che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate».

Popolo di etnia curda e di religione non abramitica, gli yazidi sono stati per decenni oggetto di persecuzioni ed esecuzioni sommarie. Nel nome del nazionalismo iracheno voluto da Saddam Hussein, furono sottoposti a un processo di “arabizzazione”, spostati in villaggi e forzati a cancellare la loro identità. Il dramma di quest’etnia venne all’attenzione pubblica solo dopo il commosso appello della yazida Vian Dakhil davanti al parlamento iracheno. 

Fino a quel momento, aveva fatto rumore il silenzio internazionale davanti al sanguinoso attacco del 2007 in cui quattro autobombe uccisero circa 500 yazidi e ne ferirono oltre 1.500: «Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore. La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace», ha ricordato il papa, menzionando anche «la martoriata Siria».

Abramo, padre comune

Il discorso di papa Francesco si lega alla sua ultima enciclica Fratelli tutti. Il terzo documento sociale del suo pontificato offre l’occasione per condannare i tentativi di “state-building” che la storia dell’Iraq ha visto prima in Washington, poi a Teheran, infine nei dissidi interni. Affrontare la presenza di un Dio comune diventa per il papa la proposta di una società malleabile verso il futuro, non manipolabile dal settarismo del passato.

In questo senso Abramo, che unisce tre popoli in un unico luogo, simboleggia la ferma volontà di superare ogni divisione: «Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra».

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