Da quando i talebani hanno conquistato Kabul, sull’Europa aleggia lo spettro di una nuova ondata di profughi. Governi nazionali e istituzioni europee discutono da settimane su come affrontare un eventuale afflusso incontrollato di persone che dall’Afghanistan dovrebbero riversarsi sul Vecchio continente, come già successo nel 2015 con l’acuirsi della guerra in Siria.

Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr), 550mila persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa dell’avanzata dei Talebani, aumentando il numero dei rifugiati interni ed accrescendo i timori europei di un nuovo esodo verso occidente.

Il sentimento di paura di una nuova crisi migratoria, però, è tutto ciò che unisce i governi europei. I capi di stato, nonostante numerose riunioni, non sono riusciti a trovare un accordo su come affrontare la questione, mentre la Grecia ha già alzato i primi muri al confine con la Turchia.

Eppure i dati diffusi dall’Unhcr sui movimenti dei rifugiati afghani e quelli dell’Eurostat sul numero di richieste di asilo presentate negli ultimi dieci anni in Europa lasciano difficilmente presagire uno scenario nefasto come quello ipotizzato da Bruxelles. Che in ogni caso potrebbe fare ricorso al meccanismo per la protezione temporanea, approvato nel 2001, per far fronte ad afflussi massicci in caso di situazioni di emergenza come quella afghana.

I flussi migratori

Il recente esodo della popolazione afghana fa parte di un più largo movimento interno che dura ormai da cinquant’anni, ben prima del ritorno al potere dei talebani. Ad oggi, secondo i dati dell’Unhcr, il numero di rifugiati interni in Afghanistan ammonta a 3,5 milioni, dopo che negli ultimi mesi altre 550mila persone sono state costrette a scappare per sfuggire ai combattimenti.

A questi vanno poi aggiunti i 2,2 milioni di afghani che negli anni hanno lasciato il paese per cercare rifugio all’estero e il cui numero potrebbe ora aumentare.

Al momento, però, lasciare l’Afghanistan risulta particolarmente difficile. I Talebani hanno preso il controllo dei confini e dei valichi di frontiera, bloccando così i tentativi di fuga della popolazione e permettendo unicamente il transito di merci e di personale autorizzato.

A ciò si aggiungono le restrizioni recentemente imposte dagli stati confinanti con l’Afghanistan, che dopo un primo momento di incertezza hanno rafforzato i controlli ai confini. È il caso di Tajikistan e Uzbekistan, che dopo aver registrato un afflusso di civili e militari in fuga dai Talebani hanno chiuso i valichi di frontiera grazie anche all’intervento delle truppe russe.

Ma i paesi che da sempre ospitano il maggior numero di rifugiati e di richiedenti asilo afghani e su cui si riverserà anche il prossimo esodo sono Pakistan e Iran, che ospitano rispettivamente 1,5 milioni e 780 mila afghani.

Secondo l’Unhcr il dato iraniano sarebbe tra l’altro al ribasso: stabilire il numero esatto di afghani presenti nel territorio risulta particolarmente difficile. La Turchia invece, altro paese che teme un afflusso significativo di profughi dopo la caduta di Kabul, deve già fare i conti con 130mila afghani, la maggior parte dei quali ha fatto richiesta di protezione internazionale ed è ancora in attesa di una risposta.

Il timore di una nuova ondata migratoria e la mancanza di una presa di responsabilità dell’Europa hanno spinto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, a prendere una posizione dura nei confronti degli afghani (e degli europei). Il presidente ha affermato che la Turchia non sarà il deposito di rifugiati dell’Europa e ha accelerato i lavori di costruzione del muro al confine con l’Iran per bloccare i nuovi arrivi.

I numeri in Europa e Italia

La scelta del 90 per cento degli afghani di trovare asilo in uno dei paesi confinanti è dettata principalmente da ragioni economiche e di sicurezza. Prima di arrivare in Europa è necessario attraversare l’Iran e la Turchia, per poi intraprendere la rotta balcanica o tentare la via del mare fino alla Grecia.

Un simile percorso richiede tempo e denaro e comporta numerosi rischi vista l’ampiezza del territorio da attraversare, come dimostrano anche i dati sulle richieste di asilo presentate in Europa negli ultimi dieci anni e nel primo semestre del 2021.

Secondo le stime dell’ufficio statistico dell’Ue, Eurostat, dal 2010 sono state presentate solo 630mila domande di protezione internazionale da parte di cittadini afghani, 290mila delle quali sono state rifiutate.

Ciò ha comportato negli anni il rimpatrio di 70mila afghani, ma con la presa del potere dei talebani e la crescente instabilità in Afghanistan diversi governi europei hanno interrotto le operazioni.

Uno dei problemi che l’Ue dovrà quindi affrontare nell’immediato riguarda il futuro di quegli afghani che vivono ancora in territorio europeo ma ai quali è stata negata la protezione internazionale e che si trovano al momento in un limbo giuridico, privi di tutele.

La questione interessa principalmente Germania e Francia, due paesi con un alto numero di richieste d’asilo e con una maggiore percentuale di domande rifiutate. Nel primo trimestre del 2021, invece, sono state accettate 7mila domande di protezione internazionale inoltrate da cittadini afghani, un dato nettamente inferiore rispetto a quello dello stesso periodo del 2020 nonostante l’aggravarsi della situazione in Afghanistan.

Nemmeno i dati relativi all’Italia giustificano i timori di una crisi migratoria, come invece presagito da alcuni politici. Secondo Eurostat, in dieci anni sono state circa 18mila le richieste di protezione presentate in Italia dagli afghani, il 90 per cento delle quali hanno ricevuto un esito positivo (elaborazione Ispi).

Inoltre, il numero di afghani attualmente residenti in Italia è di soli 11mila, a cui si dovrebbero aggiungere le 4.832 persone che sono state recentemente evacuate dall’esercito italiano. Si tratta principalmente di collaboratori delle istituzioni diplomatiche e militari italiane e dei loro familiari a cui è stato consentito l’ingresso in Italia in quanto soggetti a rischio per via del lavoro da loro svolto a sostegno delle truppe internazionali.

La protezione temporanea

Un’imminente crisi migratoria in Europa è dunque improbabile, ma se anche si materializzasse l’Ue avrebbe a disposizione uno strumento mai usato prima per farvi fronte: la Direttiva 2001/55.

La procedura prevista da questa norma comunitaria comporta la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti da una specifica area geografica e che non possono essere rimpatriati.

A differenza dello status di rifugiato, la protezione temporanea può essere concessa per un periodo di un anno senza previa valutazione personale del richiedente, fatta eccezione per chi ha commesso crimini di guerre e reati gravi, o chi rappresenta un pericolo per la sicurezza dello stato ospite.

L’applicazione della direttiva è però complessa: la sua attivazione avviene dietro proposta della Commissione europea e deve essere approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio dell’Ue. Uno scenario difficilmente immaginabile al momento in Europa e che non si è concretizzato nemmeno in passato nonostante le difficoltà nel gestire i flussi migratori provenienti dalla Siria e dalla Libia.

Anche nel caso afghano, diversi leader comunitari hanno già precisato di essere contrari a politiche di accoglienza su larga scala e la stessa Germania, che nel 2015 accolse un milione di siriani, è ora sulla difensiva.  

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