Quello che sta accadendo in Cina, alle prese con il suo primo vero lockdown diffuso dopo la prima ondata di gennaio 2020, è qualcosa di assolutamente imprevisto. E non tanto per le modalità brutali con cui si obbligano i cittadini positivi a “deportazioni” in strutture sporche e alienanti o per le regole imposte dal governo, ma per gli effetti che tutto questo ha generato.

Non capita spesso che i cittadini cinesi si ribellino alle decisioni di Pechino e, se accade, sono episodi isolati, di cui a malapena si viene a sapere. Questa volta le proteste sono arrivate in strada, attraverso le urla dalle finestre dei palazzi, sui social cinesi (finché non è intervenuta la censura) e su quelli italiani, grazie all’utilizzo della rete Vpn per aggirare i divieti. E non è un caso.

Emergenza alimentare

Prima di tutto perché i milioni di cinesi finiti in lockdown, soprattutto a Shanghai, non hanno avuto il tempo di riempire le dispense. Molti supermercati sono stati presi d’assalto a ridosso delle chiusure, non tutti sono riusciti comprare provviste a sufficienza.

I sistemi di delivery sono andati presto in tilt (solo a Shanghai vivono 20 milioni di persone), i pacchi forniti dal governo contenevano uova,verdure, talvolta polli, insufficienti per sfamare persone sole, figuriamoci nuclei familiari. L’acqua del rubinetto non è potabile, le bottiglie sono finite, le persone hanno iniziato a farla bollire per consumarla diffondendo immagini nelle chat su come effettuare la giusta bollitura.

I condòmini hanno ripiegato spesso sul baratto, scambiando cibo con altri abitanti del palazzo ma con enormi difficoltà pratiche perché, di fatto, solo le persone autorizzate e con i dispositivi di sicurezza necessari, possono uscire dalla porta di casa. E le porte di casa talvolta sono sigillate da fuori dai responsabili sanitari, così come si è visto il filo spinato a chiudere interi isolati. O, addirittura, gli adesivi alle finestre per accertarsi che nessuno le aprisse anche solo per cantare o protestare.

Scene horror

Tra le scene più distopiche a cui si è assistito, c’è quella del drone che vola per i cieli di Shanghai, di notte, mentre le persone urlano alle finestre che hanno fame. Un’immagine da film dell’orrore, mai vista in nessun luogo del mondo, neppure quando le persone morivano in casa, con gli ospedali saturi.

Perché i cinesi sono resistenti a molte privazioni ma il cibo, per loro, è sacro e sulla fame non sono disposti a chinare la testa. Di inedito, in quello che sta accadendo, c’è anche la massiccia diffusione di testimonianze uscite dai confini nazionali.

Shanghai è una città internazionale, popolata da molti stranieri, culturalmente più emancipata e, soprattutto, una città in cui si parla inglese più che nel resto della Cina. Questo ha fatto sì che le notizie e i video siano usciti da WeChat e Weibo, che i contenuti siano finiti su Instagram e TikTok, con spiegazioni chiare, varcando i confini nazionali e culturali in pochi giorni.

Il video ormai famoso dell’uccisione del cane a Shanghai è stato inutilmente censurato sui social cinesi perché, quando è intervenuta la censura, era già nelle chat di WhatsApp e sui social occidentali di migliaia di persone.

Inoltre, se nel primo lockdown di Wuhan, si era assistito a violazioni piuttosto cruente della libertà individuale, questa volta il governo ha aggredito la dignità di cittadini che hanno barattato sì molti margini di libertà in nome del patto sociale, ma si sono ritrovati improvvisamente senza cibo, senza acqua, con i bambini positivi prelevati e portati via in strutture apposite, spesso lontane dalla città e con animali domestici soppressi barbaramente.

E proprio i video degli addetti ai controlli sanitari che uccidono con crudeltà cani e gatti potenzialmente positivi perché in casa con proprietari positivi hanno contribuito alla circolazione delle notizie sui folli lockdown in Cina.

Folli anche perché nessuno, questa volta, comprende la strategia del governo. Nessun esperto al mondo in epidemiologia potrebbe ritenere plausibile il contenimento del Covid nella variante Omicron in un paese con un miliardo e mezzo di abitanti, in città con densità abitative come per esempio Shanghai.

Ragioni politiche

Soprattutto alla luce della scarsa diffusione del virus in Cina negli ultimi due anni e dell’inefficacia del vaccino cinese. Per questa ragione, c’è più di un sospetto che le cause di questa durezza del governo centrale, soprattutto nei confronti di Shanghai, abbiano delle radici più politiche che sanitarie.

Le elezioni sono alle porte, Xi Jinping aspira al terzo mandato in un momento complesso, Shanghai è una città profondamente progressista. Così progressista che ai primi accenni di contagi pare puntasse a gestire il Covid alla maniera occidentale, con un accenno di convivenza col virus e regole meno ferree che nel resto della Cina fino a quel momento.

Il governo di Pechino ha subito rimesso in riga il governo provinciale, imponendo un contenimento duro (punitivo, se letto politicamente) e nessuno ha più osato parlare di convivenza con il virus.

In questo senso, a destare più di un sospetto, ci sono i numeri sulla diffusione del Covid in Cina: ieri, in un paese di un miliardo e mezzo di abitanti, su 26.000 casi totali registrati nelle varie province e municipi, 25.000 erano nella municipalità di Shanghai (con il 97 per cento di asintomatici).

Tanto per capirci, la provincia del Guangdong conta 113 milioni di abitanti e i casi di positività registrati erano 19. Il Sichuan ha più di 80 milioni di abitanti e registrava 2 casi in tutto. Insomma, la situazione è piuttosto fumosa.

Nel frattempo sono stati soppressi i voli, le strade per gli aeroporti sono sbarrate, è diventato impossibile prendere aerei, per cui moltissimi cinesi e stranieri sono di fatto prigionieri del paese fino a data da destinarsi. Il mito della Shanghai progressista e liberale si è schiantato, secondo molti, sulle ambizioni politiche di un presidente che punta alla rielezione e non esita a “punire” la città del paese più distante dal rigore di Pechino. Questa volta, però, qualcosa è andato storto.

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