È un brutto colpo per il presidente americano, Joe Biden. L'Opec+, l’organizzazione che raccoglie i maggiori paesi produttori di greggio tra cui l’Arabia Saudita e la Russia, ha deciso di aumentare la produzione di petrolio a settembre di soli 100mila barili al giorno, un quantitativo più contenuto dei 600mila barili al giorno in più che erano stati pompati a luglio e agosto in un mercato affamato di greggio, dove le quotazioni sono alle stelle e mettono in crisi le economie occidentali.

L’Opec+ ha deciso di venire incontro in linea di principio alle pressanti richieste di incremento della produzione degli Stati Uniti ma in modo simbolico, così da non scontentare la Russia, potente partner dell’organizzazione stessa, decidendo un aumento che secondo gli analisti è da considerare un mezzo fallimento per il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, dopo il suo viaggio in Arabia Saudita messo in atto tra le polemiche proprio per chiedere al leader del gruppo di produttori di greggio di pompare di più per aiutare a uscire dalle secche gli Stati Uniti e l’economia globale in frenata, secondo le ultime stime del Fmi.

L’aumento di greggio deciso dagli emiri, equivalente allo 0,1 per cento della domanda globale, segue settimane di dibattiti secondo cui il viaggio di Biden in medio oriente e l’autorizzazione di Washington delle vendite di sistemi di difesa missilistica a Riad e negli Emirati Arabi Uniti avrebbero portato più greggio nel mercato mondiale. Ma così non è stato.

Martedì, Washington ha approvato la vendita di sistemi missilistici difensivi per un valore di 5,3 miliardi di dollari agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita, ma non ha ancora revocato il divieto di vendita di armi offensive a Riad.

L’Opec+, che si riunirà il 5 settembre, ha affermato che la capacità inutilizzata limitata richiede che venga utilizzata con grande cautela in risposta a gravi interruzioni dell'approvvigionamento.  

Entro settembre, l’Opec+ avrebbe dovuto ridurre i tagli alla produzione attuati nel 2020 in risposta all’impatto della pandemia. Ma a giugno, la produzione dell’Opec+ era di 3 milioni di barili al giorno al di sotto delle sue quote poiché le sanzioni su alcuni membri e i bassi investimenti da parte di altri hanno paralizzato la sua capacità di aumentare la produzione. Si ritiene che solo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti abbiano una capacità di riserva.

Erdogan a Sochi

In questo quadro di greggio ai massimi e inflazione galoppante (in Turchia i prezzi al dettaglio sono aumentati dell’80 per cento annuo) va registrato l’attivismo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che dopo il primo passaggio negli stretti del Bosforo di una nave mercantile contenente grano ucraino diretto in Libano, vuole risolvere la questione curda in Siria e porsi come unico interlocutore della Russia di Vladimir Putin.  

Il presidente turco vorrebbe compiere un intervento militare in Siria «per ripulire» l’area dai terroristi separatisti curdi di Ypg. Un tema caldo per Ankara che finirà anche nell’agenda dell’incontro con il presidente russo previsto oggi a Sochi, un'occasione per Erdogan per ribadire le intenzioni bellicose della Turchia al leader russo, al momento restio, come pure gli iraniani, a dare ad Ankara il disco verde all’invasione.

Durante il trilaterale di Teheran con Russia e Iran del 19 luglio scorso il presidente turco non è riuscito a convincere i due paesi a dare il via libera a un’operazione militare che Erdogan ha minacciato spesso, anche perché diretta a colpire i separatisti curdi che il suo partner, il partito nazionalista Mhp, considera una minaccia alla sicurezza nazionale.

L’organizzazione Ypg, alleata degli Usa nella lotta all’Isis, costituisce l’ala siriana del Pkk, con cui Ankara è in guerra dal 1984. L’esercito turco vorrebbe prendere il controllo di due province del nord della Siria, Tal Rifat e Manbij, obiettivo della politica neo ottomana di Ankara.

Comunque un negoziato condotto da Mosca e Ankara nel 2019 convinse Erdogan a fermare il raid contro Ypg nel nord della Siria, convinto dalle rassicurazioni prima degli americani e poi di Mosca, che aveva garantito l'abbandono di province come Tal Rifat e Manbij da parte di Ypg e la costituzione di un’area cuscinetto di 30 chilometri di profondità.

Un piano mai attuato, l’area cuscinetto che Ankara pretende non è mai stata completata e Manbij e Tal Rifat sono rimaste sotto il controllo di Ypg. Erdogan ha posto la questione dell’appoggio ai curdi di Helsinki e Stoccolma anche nei colloqui per far entrare Finlandia e Svezia nella Nato.

Erdogan punta al controllo di un territorio che Ankara gestirebbe tenendo lontani i separatisti curdi e costruendo case per favorire il ritorno dei numerosi profughi siriani attualmente in Turchia.

Per Erdogan sarebbe un successo in vista delle elezioni del 2023, con i sondaggi che al momento lo vedono in svantaggio, anche per l’inflazione fuori controllo e la valuta in picchiata.

Tuttavia Mosca è contraria all’intervento turco in Siria. A Putin il presidente turco oggi ricorderà che se la Turchia dovesse sentirsi minacciata l’opzione di un intervento rimane sul tavolo.

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