Oggi i cittadini albanesi si recheranno alle urne per eleggere il parlamento. Il partito socialista, in testa ai sondaggi, guidato dall’attuale premier Edi Rama, sembra favorito e, se vittorioso, guiderà l’Albania per il terzo mandato consecutivo. Sarebbe la prima volta che succede, dopo la caduta del regime negli anni Novanta. La vittoria di Rama – pur molto apprezzato dai media internazionali – non è però scontata, nonostante una riforma elettorale che rende ancora più difficile l’emergere di forze nuove.

«Il potere, in Albania, dopo trent’anni dalla caduta del regime, ha generato un palazzo». A parlare è Fatos Lubonja, scrittore, che ha scontato 17 anni nelle carceri del regime. Un tempo sostenitore di Rama, oggi suo acerrimo nemico, è il simbolo di quegli intellettuali che hanno perso la fiducia nel premier. «Nel seminterrato ci sono le organizzazioni criminali. A pian terreno trovi gli oligarchi, quella ristretta cerchia di ricchissimi che hanno preso tutto quello che era dello stato.

E che continuano a farlo con gli appalti, tra nuove assurde costruzioni a Tirana e altrove per riciclare i proventi dei traffici illegali. Al secondo piano ci sono i media, di proprietà degli oligarchi, che fanno da camera di compensazione di racconto tra affari e politica. E all’ultimo piano c’è la politica, quella dei tre partiti chiave, che sono l’ultimo livello di realizzazione pratica degli interessi degli altri piani e a quegli interessi rispondono. Dentro questo palazzo c’è la magistratura, soprattutto dopo l’ultima riforma, fuori la società civile».

La fiducia persa

Secondo Lubonja e molti altri, però, gli elettori albanesi hanno perso fiducia nei partiti tradizionali e non vedono un’alternativa al suo dominio, tanto che sarà l’astensionismo a dire se qualcosa può cambiare nel paese che per Trasparency International è tra quelli dove la cittadinanza ha la più alta percezione di corruzione nel sistema pubblico. I socialisti governano da soli dal 2017, avendo superando il 48 per cento delle preferenze e la soglia dei 70 seggi (su 140) che garantiscono la maggioranza in parlamento. L’obiettivo di Rama e dei suoi è di governare ancora in solitaria, ma l’ultimo mandato è stato caratterizzato da aspre polemiche. L’ultima è di questi giorni: il portale Lapsi.al ha pubblicato un’inchiesta nella quale il governo viene accusato di avere creato, usando il lavoro dei dipendenti pubblici, un database con i dati personali sensibili di 910mila cittadini per scopi di profilazione elettorale.

L’episodio ha infiammato ancora di più una contesa politica polarizzata, dove però l’opposizione tradizionale, cioè il Partito democratico, del candidato premier Lulzim Basha, e il Lsi – il Movimento socialista per l’integrazione – guidato da Monika Kryemadhi, ma ancora nelle mani dell’attuale presidente della Repubblica Ilir Meta, marito della Kryemadhi e storico ago della bilancia delle maggioranze parlamentari, sembrano oramai travolti da Rama e dagli errori del passato. Quello che è più interessante, allora, è vedere come cresce in Albania un dissenso che, se non sarà pronto a sconfiggere Rama alle urne, rappresenterà per quest’ultimo un problema nel mandato di governo.

Voci nuove

La prima di queste voci è quella dei lavoratori dei sindacati indipendenti. Dal 2018 a oggi, sono almeno quattro i settori chiave dove i lavoratori in Albania che si sono auto organizzati: il tessile, i call center, la raffineria di Ballsh e i minatori. Questi ultimi, in particolare, hanno espresso il primo candidato indipendente al parlamento della storia dell’Albania ex comunista. «Mi chiamo Elton Debreshi, minatore, figlio di minatore, come quasi tutti qui a Bulqize. Ho fondato il primo sindacato indipendente dei minatori, nel 2018. Venni sùbito licenziato al primo sciopero, ma non mi fermerò fino a quando non potremo far sentire la voce nostra e di tutti i lavoratori in Albania».

Elton è il portavoce di un mondo sommerso: nonostante il cromo (l’Albania è tra i leader della produzione del minerale che viene utilizzato per batterie elettriche) sia molto richiesto, i minatori guadagnano circa 400 euro al mese per turni massacranti e senza adeguate sicurezze. Dal 2014 sono almeno 32 le persone morte nei tunnel di Bulqize e dintorni. «Dopo le privatizzazioni selvagge degli anni Novanta, non sappiamo neanche per chi lavoriamo, per chi rischiamo la vita ogni giorno. Chiediamo uno statuto per i lavoratori, delle forme previdenziali adeguate, il riconoscimento delle malattie professionali e tutele per noi e per tutti i lavoratori sfruttati di questo paese», dice. Debreshi è sostenuto da Organizata Politike, un movimento radicale di sinistra nato a Tirana tra gli studenti durante le proteste contro la riforma dell’Università – sempre più privatizzata – e oggi molto presente nelle lotte dei lavoratori e in quelle contro la gentrificazione dello spazio pubblico.

«Non vogliamo, per ora, diventare un partito, ma vogliamo restare un movimento che unisce le lotte degli studenti e quelle dei lavoratori», ci spiega Redi Muci, docente universitario e tra i fondatori del movimento. «Tre partiti e una sola oligarchia non sono l’idea di democrazia che avevano i nostri genitori quando si sono ribellati al regime, negli anni Novanta», spiega Muci, «la generazione di trentenni oggi ha solo due possibilità: migrare o cedere alle logiche di una società corrotta. Lottiamo per far capire agli albanesi che non vogliamo il ritorno del regime, anzi, ma non è accettabile che operai e studenti stessero meglio all’epoca. Abbiamo deciso di organizzarci quando abbiamo visto Rama, alla tv italiana, con Matteo Renzi, invitare gli imprenditori italiani a investire in Albania perché non ci sono sindacati. Ci ha umiliati, ci ha spinti a reagire».

L’appeal in calo

Secondo un recente sondaggio della fondazione tedesca Friedrich Ebert, il 40 per cento dei giovani vuol lasciare il paese. Un’altra novità della scena politica albanese è l’arrivo, dal Kosovo, del partito Vetvendosje che ha vinto le recenti elezioni nel paese albanofono. «Partiamo con tre candidati, ma il nostro è un progetto a lungo termine», dice Boiken Abazi, il candidato a Tirana. «Siamo partiti da tempo a lavorare nel territorio, in particolare per contrastare le “relazioni” di Rama che flirta in modo evidente con i leader serbi e ungheresi, convinto come loro che l’autoritarismo soft sia la soluzione. Noi non la pensiamo così, crediamo nei pilastri dell’identità albanese e non ci nascondiamo: immaginiamo che in futuro all’Albania si possano unire tutte le persone di lingua albanese divise dalle frontiere con il Kosovo e la Macedonia del Nord. Ma per quello c’è tempo.

Oggi le priorità sono la corruzione del governo e dell’opposizione, l’emigrazione di massa, la svendita dei beni dello stato. Se eleggiamo i nostri candidati, la prima cosa che faremo sarà chiedere una commissione d’inchiesta sulle privatizzazioni di questi anni». Il campo di battaglia comune delle opposizioni è stata la lotta per il teatro Kombetari, opera degli occupanti italiani negli anni Trenta e simbolo della città. Rama, senza ascoltare nessuno, lo ha fatto radere al suolo per lasciare il posto all’ennesimo centro commerciale di una città piena di cantieri per palazzi enormi, vuoti, con prezzi inaccessibili per gli stipendi medi albanesi. Un sistema, quello di vendere pezzi storici della capitale, che per la Global Initiative Against Crime and Corruption ha reso lo spazio pubblico della capitale albanese il più denso di capitali riciclati dalla malavita. Anche i movimenti ambientalisti sono ormai per il governo una spina nel fianco. In particolare l’ong EcoAlbania e il suo portavoce, Olsi Nika, capace di coinvolgere personaggi del calibro di Leonardo Di Caprio e Manu Chao nella sua battaglia per bloccare il programma del governo di costruire decine di piccole centrali idroelettriche lungo il corso del fiume Vjosa, l’ultimo fiume libero d’Europa.

«Rama, dopo anni di battaglie delle comunità locali e di pressioni internazionali contro il progetto, a settembre ha annunciato che è sospeso. Non gli crediamo più. Stiamo portando avanti la nostra campagna perché il Vjosa diventi un parco nazionale, che nessuno potrà più toccare», dice l’attivista. Ma anche questo potrebbe non bastare, come per il nuovo progetto dell’aeroporto di Valona, che dovrebbe sorgere nel cuore di un’oasi naturalistica difesa dalla legge. Alexander Trajce, leader dell’ong Ppnea, non fa sconti: «È incredibile, ci saremmo immaginati di dover lottare contro gli interessi degli investitori, con la stato dalla nostra parte, a far valere la legge. E invece no, anzi, accade il contrario: lo stato decide che un pezzo di riserva può essere cancellata per lasciare spazio all’aeroporto. Son passati trent’anni dalla fine del regime, ma ancora non c’è alcun rispetto della volontà dei cittadini», racconta Trajce.

Se anche Rama dovesse vincere dopo le elezioni di oggi, il suo appeal sembra in calo e l’Albania potrebbe conoscere un periodo di instabilità. Con l’Europa che, dopo trent’anni, sembra ancora più lontana.

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