Armin Laschet ha scelto Aquisgrana per il suo ultimo comizio. La città di Carlo Magno, capitale del suo impero. Ma non voleva essere un messaggio politico di sfida o di arroganza, oppure europeista, da prossimo cancelliere. Tutt’altro.

Laschet voleva semplicemente tornare a casa propria, nella città dove è nato, e tra la propria gente, insieme alla cancelliera, che lo ha accompagnato in quest’ultimo comizio, provare a colmare il distacco dai rivali della Spd guidati da Olaf Scholz, che ancora oggi i sondaggi quantificano in almeno due punti percentuali. Tanti, probabilmente troppi.

Anche per Merkel era l’ultimo atto di una campagna elettorale alla quale ha cercato di dare il suo contributo perché, in fondo, in gioco c’è anche la sua eredità. E Laschet è il politico dell’Union che più di tutti rappresentava la continuità con la Kanzlerin.

Il comizio

La piazza ha cominciato a riempirsi dalle dieci, l’intervento di Laschet e Merkel era previsto alle 12. Giovani e anziani, anche qualche bambino a seguire l’ultimo comizio. Piazza volutamente piccola? Difficile dirlo. Tanti cartelli di partito, per Laschet e per Angie, che in Germania sostituiscono le bandiere per “fare massa”.

Uno diceva: «Siamo a tanto così», forse anche per darsi fiducia e per compattare i ranghi in queste ultime ore di campagna elettorale. Ma questa prova di piazza non è stata di certo una passeggiata per Laschet. 

Un comizio che è apparso un po’ una sintesi di questa difficilissima campagna elettorale, tutta in salita per i conservatori, attaccati su tutti i fronti, anche e soprattutto per i loro errori.

E che certamente all’inizio non si aspettavano finisse così, tra i dubbi addirittura di perdere, scavalcati da quella Spd che a inizio anno era addirittura sotto il 15 percento. Del resto, accanto al palco gli organizzatori avevano piazzato un manifesto con uno slogan: «Combattere altre ventiquattro ore».

L’aria sa di qualcosa che era semplicemente innominabile fino a qualche mese fa: sconfitta. Laschet è preoccupato, teme di finire come quel Rainer Barzel che sognava di prendere il posto di Willy Brandt e nel 1972 organizzò, fallendo, il primo voto di sfiducia costruttiva della repubblica federale proponendosi al posto del cancelliere in carica.

L’incubo per Laschet è quello di essere una meteora nella storia politica tedesca, dopo un cancellierato che ancora non è finito e già appartiene alla storia.

La piazza di Merkel

Lo sanno i militanti della Cdu e lo sa Angela Merkel, che intona il ritornello delle ultime settimane: «Non è indifferente chi manderete al governo. Domani sceglierete i vostri rappresentanti e chi governerà il vostro paese».

Riesce anche a ricordare che l’Europa va rafforzata ma senza l’unione del debito. Fa il suo, la cancelliera, come venerdì a Monaco, come al Bundestag qualche settimana fa. Come al solito, come sempre negli ultimi sedici anni.

Prova a scherzare all’inizio: «L’ho invitato nel mio collegio elettorale. Allora lui ha ricambiato l’invito». Ed eccoci qui. Ma poi attacca, praticamente su tutto: ricorda i successi degli ultimi sedici anni, la disoccupazione al minimo, le scelte per il clima – rivendica di aver convinto insieme a Blair un Bush che non voleva saperne di accordi sul cambiamento climatico – e ai ragazzi di Fridays for future che quasi sotto il palco sventolano i loro cartelli proprio sul clima col suo tono didascalico ricorda: «Se vogliamo davvero fare qualcosa, abbiamo bisogno di gente motivata, di studiosi e di ricercatori, di nuove tecnologie».

Insomma, la sfida ecologica non è una passeggiata. La piazza sembra divisa ma tutto sommato ascolta con attenzione il messaggio della Cancelliera.

A volte qualcuno scandisce “Danke Danke Danke”, tributo alla cancelliera dei sedici anni. Altri restano in silenzio. La lezione è quella del 1998 contro Kohl: mai prendere di petto i miti, ci si fa solo male. Li si rispetta: Laschet, citandola, la metterà accanto ad Adenauer e Kohl.

Ma quando parla Laschet, si levano anche grida di protesta. Qualche buh. Sul fondo sono annidati i contestatori. Gruppi isolati ma rumorosi. Una mano anonima ha appeso uno striscione proprio accanto al palco: «È discriminatorio parlare di iscritti alla Cdu. Oggi si dice persone con un retroterra di corruzione».

Una  mazzata per Laschet, che dagli scandali della Cdu proprio sugli acquisti di mascherine ha visto il suo consenso lentamente ma inesorabilmente assottigliarsi. C’è dell’altro: l’hashtag #Einzelfälle, casi singoli, mele marce insomma, con la quale il partito aveva provato a prendere le distanze dai parlamentari inquisiti.

Un altro è, se possibile, ancor più diretto: «In Laschet la C sta per competenza». Per dire: non c’è. Una provocazione, ma gli striscioni restano. Laschet da parte sua ce la mette tutta. E galvanizza i suoi.

Gioca sulle incongruenze degli altri: la Spd si allea con la Linke che ha votato contro tutti i trattati europei, vuole uscire dalla Nato e si è astenuta anche contro l’ultima azione dell’esercito in Afghanistan per l’evacuazione.

Noi invece «vogliamo che AfD sparisca dal parlamento e con loro non vogliamo avere niente a che fare». Condivide la linea Merkel sul clima, assicura che «solo con i divieti non si va da nessuna parte» e qui forse rispondeva al cartello che sventolava a pochi metri: «Voli a breve percorrenza, nazionali, solo per gli insetti», che in molti vorrebbero vietare per investire nei treni.

Conferma che «la patrimoniale è sbagliata» e ricorda il padre di uno dei fondatori di BioNtech che ha scoperto il vaccino. «Un signore che sarebbe dovuto restare solo tre anni, poi invece qui ha cresciuto suo figlio che ha studiato e alla fine ci ha regalato il vaccino».

Insomma, ribadisce tutto il programma elettorale dell’Union. La piazza applaude, esattamente come quando, provando già a parlare da cancelliere, ricorda che «Bisogna tener insieme l’Europa».

Però poi commette una delle sue: chiede retoricamente «Volete la coalizione rosso-rosso-verde?» e i suoi contestatori sono più rapidi dei militanti della Cdu: un chiarissimo «sì» rimbomba fino al palco. Laschet incassa, «ho sentito qualcuno dire di sì, so chi sono», i suoi applaudono.

Il candidato dell’Union chiede ancora uno sforzo per le prossime ore: «Convincete chi sapete che possa essere convinto». Finisce così, dolci a forma di cuore per la cancelliera (un grande Grazie al centro) e per Laschet. S’intona l’inno nazionale e poi tutti a casa. Presto si vedrà se è stato sufficiente. 

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