Stimare il numero di abusi commessi dai membri del clero cattolico e il numero di abusatori e insieme delinearne il profilo sociale e psicologico è impresa ardua: i dati sono spesso frammentati, incompleti o troppo approssimativi e dunque poco affidabili. Le ragioni di tutto questo sono diverse: a) una larghissima parte di abusi non viene purtroppo denunciata e rimane quindi invisibile per sempre; b) è relativamente limitato rispetto alla diffusione globale del cattolicesimo il numero di inchieste sistematiche sul fenomeno volute da governi, parlamenti, conferenze episcopali, singole diocesi.

Tali inchieste (sinora di fatto limitate ai paesi anglosassoni, all’Olanda, alla Francia e alla Germania) rappresentano senza alcun dubbio lo strumento più adatto a raccogliere dati quantitativi sistematici e affidabili sul tema e hanno anche il pregio inequivocabile di sollecitare con decisione l’emersione di abusi consumati in un passato anche remoto e mai denunciati; c) le legislazioni nazionali presentano significative differenze circa la definizione delle fattispecie di reato legate agli abusi sessuali e questo rende complicata ogni forma di comparazione.

Ancora più difficile è fornire una risposta a un’altra domanda di grande rilevanza nel dibattito sulla faccenda: e cioè se i preti cattolici commettano più o meno abusi rispetto ad altre categorie professionali, in particolare a quelle che si trovano ad avere regolarmente a che fare con i minori (ad esempio, gli insegnanti o gli istruttori sportivi).

Su quest’ultimo punto qualche dato ci viene dal report della francese commissione Ciase che ha comparato gli abusi avvenuti nella chiesa cattolica con quelli avvenuti in altri contesti.

Dal confronto è emerso che l'ambiente cattolico è il più rischioso per l'integrità sessuale dei minori, in una misura più che tripla rispetto alle scuole pubbliche, ai campi estivi, ai club sportivi e a quelli nei quali si svolgono attività culturali o artistiche.

Numeri disponibili 

AP

Passiamo in ogni caso all’analisi dei dati disponibili. Iniziamo con le stime circa il numero di preti cattolici che hanno abusato di minori sul totale dei preti in servizio in un certo periodo di tempo.

Nel primo Rapporto John Jay (quello del 2004, d’ora in poi Jjr) si legge che, per gli Stati Uniti e nel mezzo secolo che intercorre tra il 1950 e il 2002, i sacerdoti abusatori sarebbero stati intorno al 4 per cento dei preti diocesani e al 2,7 di quelli appartenenti a un ordine religioso.

Nel secondo Jjr, pubblicato sette anni dopo, nel 2011, in conseguenza dell’emersione di moltissimi nuovi casi, la percentuale di abusatori calcolata sul totale dei preti nordamericani è salita al 5,9 per cento.

I pochi dati provenienti da altri paesi confermano sostanzialmente la stima dell’autorevole commissione nordamericana.

A seguito della sua indagine, il giornalista e sociologo spagnolo Pepe Rodriguez, quasi trent’anni orsono, stimò nel 7 per cento il numero di abusatori clericali in Spagna (con un’enorme quantità di vittime: 262mila maschi e 44.800 femmine).

Da tre rapporti irlandesi (il Ferns, il Cloyne e il Murphy) si possono ricavare le seguenti stime di preti abusatori sul totale del clero in servizio: rispettivamente l’8,9 per cento (per la diocesi di Fern), il 7,6 per cento (per la diocesi di Cloyne) e il 6,14 per cento (per la diocesi di Dublino).

Nella relazione della Royal Commission australiana leggiamo che il numero di preti abusatori in Australia (calcolato per il periodo 1950-2010) eccederebbe quello dei presbiteri abusatori statunitensi arrivando al 7,9 per cento per i sacerdoti diocesani e al 5.6 per i preti appartenenti a un ordine religioso.

Scorrendo i risultati dello studio Mhg tedesco apprendiamo che, in Germania, la percentuale di abusatori sul totale dei membri del clero raggiunge il 5,1 per cento nel caso del clero diocesano scendendo poi al 2,1 per cento per i preti appartenenti a un ordine religioso e all’1 per cento nel caso dei diaconi (non obbligati al celibato).

Nel report della francese commissione Ciase la stima per il clero ordinato si abbassa sino al 3 per cento (con un alto numero di vittime per ciascun abusatore). 

Riguardo al genere e all’età delle vittime, nel primo Jjr leggiamo che costoro sono maschi nell’81 per cento dei casi e in larghissima misura (78 per cento) adolescenti con un’età compresa tra gli 11 e i 17 anni, mentre il 17 per cento ha tra gli otto e i dieci anni e il 5 per cento ne ha sette o meno.

Non mancano, anche se non sono molti, coloro che abusano dei maschi come delle femmine.

Sempre nel Jjr, si sostiene che il 40 per cento dei preti abusatori (la percentuale più alta) ha iniziato ad abusare in un’età compresa tra i 30 e i 39 anni, in media undici anni dopo l’ordinazione.

Ancora secondo il Jjr poco più del 55 per cento dei preti abusatori ha ricevuto una sola denuncia (cioè è stato denunciato da una sola vittima), il 26 per cento ne ha avute due o tre, il 17 per cento ne ha prese da quattro a nove, il 3,5 per cento ha visto ricadere sul proprio capo dieci denunce o più. 

Gli abusatori denunciati sono quasi tutti preti, anche se non manca qualche suora. Su quest’ultimo versante è altamente plausibile che l’entità del fenomeno sia, sulla base dei dati oggi disponibili, ampiamente sottostimata.

Riguardo alla durata nel tempo degli abusi, il primo Jjr riporta questo dato: in poco meno del 40 per cento dei casi (il 38,4 per l’esattezza) l’abuso è durato un anno o meno; in circa un quinto dei casi (il 21,8 per cento) l’abuso è durato tra uno e due anni.

Nel 28 per cento delle situazioni l’abuso si è protratto tra i due e i quattro anni, nel 10,2 per cento tra i cinque e i nove anni e nel restante 1 per cento dieci o più anni.

Dallo studio Mhg tedesco ricaviamo altre informazioni, sia sugli abusatori che sulle vittime e cioè  che circa il 54 per cento dei preti abusatori tedeschi è stato accusato di aver abusato un solo minore, che la media di vittime per ogni abusatore si attesta, in cifra assoluta, al 2,5, che tra coloro che hanno abusato di più di un minore la media sfiora le cinque unità (4,7), che il 62,8 per cento di abusati sono maschi, che l’età media delle vittime è di 12 anni e che due terzi di loro aveva meno di tredici anni al momento dell’abuso.

Sempre nello studio Mhg tedesco troviamo un’altra informazione molto rilevante: quella sulla natura dell’atto sessuale commesso dall’abusatore col minore.

Gli atti più diffusi (in quasi il 30 per cento dei casi) sono i “toccamenti sopra i vestiti”, seguiti dal “toccamento dei genitali sotto i vestiti” (22,5 per cento). Solo nell’11 per cento dei casi è avvenuta una penetrazione genitale.

E veniamo a uno dei punti più salienti e controversi: quello della comparazione tra preti cattolici e il personale religioso di altre confessioni cristiane.

Il Jjr ascrive alle chiese cattoliche di rito orientale (nelle quali, come è noto, non è previsto il celibato obbligatorio) una presenza di abusatori decisamente più bassa rispetto alla chiesa latina (nella quale il celibato è invece obbligatorio). Il rapporto della Royal Commission australiana conferma questo dato anche per il paese oceanico. 

Il rapporto australiano contiene tuttavia dei dati ulteriori, piuttosto sensazionali. Vi si legge infatti che, su cento segnalazioni di abusi “certificate” (cioè giudicate affidabili) all’interno dei contesti istituzionali religiosi in quello sterminato paese, quasi due terzi, esattamente il 62,7 per cento, sono avvenute in un contesto cattolico (in larghissima misura a opera di sacerdoti). In Australia i cattolici non sono più di un quarto della popolazione totale.

Negli altri gruppi religiosi cristiani il numero di abusi segnalati è decisamente più basso. Ad esempio, gli anglicani, che ammontano al 17,1 per cento della popolazione, fanno registrare, nei loro contesti istituzionali, solo il 12,4 per cento del totale delle denunce. Gli altri gruppi protestanti mostrano una tendenza analoga. 

Si tratta di un dato confermato dalle rilevazioni presentate dalla polizia dello stato australiano di Vittoria alla commissione di inchiesta allestita in sede locale: più del 70 per cento degli abusi denunciati tra il 1956 e il 2002 ai danni di 514 vittime è avvenuto all’interno delle chiese cattoliche e, in larga misura, ad opera di preti.

Parrocchie e oratori si confermano i luoghi meno sicuri per i minori. 

Predatori seriali?

LAPRESSE

Dai rapporti del John Jay e della Royal Commission australiana si possono ricavare anche altre considerazioni. La prima riguarda il profilo del “prete predatore seriale” (cioè di colui che ha abusato di dieci o più minori). In questa categoria rientra un numero ridottissimo e stabile nel tempo di preti abusatori, non più del 5 per cento del totale secondo il Jjr.

Anche se sono poco numerosi, i preti abusatori seriali sono ovviamente pericolosissimi: in Australia, una piccola quantità di loro ha commesso circa un terzo del totale degli abusi.

La seconda considerazione riguarda un fenomeno purtroppo diffuso a ogni latitudine: quello (noto da secoli ai dirigenti della chiesa) del “riciclaggio” dei seminaristi da un istituto all’altro: allontanato da un seminario, un candidato al sacerdozio viene accettato in un altro istituto, spesso in un’altra regione, ordinato prete e mandato a servire la chiesa sul territorio.

È probabile che i problemi che avevano indotto il primo seminario a scartare il seminarista (spesso attinenti la sfera della sessualità) si ripresentino, spesso in una forma aggravata, anche nel nuovo contesto.

Più in generale, il fenomeno del “riciclaggio” di preti diocesani o religiosi da una diocesi all’altra e talvolta da un paese all’altro ha una significativa correlazione con quello della commissione di abusi o con il maldestro tentativo di prevenirla.

Gli abusi diminuiscono

AP

C’è anche una buona notizia. Secondo la Royal Commission australiana il numero di abusi ha imboccato, negli ultimi anni, una china discendente.

Tra le cause, nel rapporto australiano si indicano: a) il fatto che la questione sia balzata di recente all’onore delle cronache; b) il miglioramento della legislazione pubblica e, in qualche contesto, anche di quella ecclesiastica, nella direzione di una più efficace protezione dei minori; c) un’accentuata attenzione da parte delle famiglie; d) la diminuzione del numero di preti e l’aumento della loro età media; e) la riduzione allo stato laicale di alcuni preti o religiosi autori di crimini di natura sessuale da parte delle autorità ecclesiastiche; f) la quasi pressoché totale estinzione dei chierichetti; g) la riduzione del numero di fedeli che ricorrono al sacramento della confessione: h) la riduzione della presenza di presbiteri (sostituti da laici) nelle istituzioni formative cattoliche. 

Qualunque ne sia la causa, il fenomeno è interessante e va sicuramente incoraggiato, senza però indulgere a troppo facili ottimismi e quindi senza abbassare la guardia prematuramente.

Anche perché, nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo (incluso il nostro), il problema è ancora largamente sepolto sotto il tappeto e moltissime delle cause strutturali più profonde sono ancora perfettamente all’opera.

Prima di dichiarare risolta la questione è dunque necessario indagarne ancora a lungo le cause, per evitare che persista, e rendere giustizia ai milioni di vittime che sono ancora in vita e che debbono avere la possibilità di non dover tenere per sempre all’interno delle loro coscienze l’enorme fardello psicologico di essere state abusate da un prete.


Questo articolo è un estratto da Gli abusi clericali nel cattolicesimo: uno sguardo sistemico di Marco Marzano, pubblicato nel volume In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea, (Mimesis, 2022) a cura di Lorenzo Benadusi e Vincenzo Lagioia.

© Riproduzione riservata