Macron chiede aiuto a Xi e attacca gli Stati Uniti: «Pronti a tradire Kiev»

Il presidente Xi Jinping ha scelto l’ala nord della Grande sala del Popolo, a Piazza Tienanmenn, per dare il benvenuto ad Emmanuel Macron, alla sua quarta visita in Cina. Questa durerà tre giorni. Il benvenuto a Pechino è avvenuto con lunghissimi tappeti rossi, enormi bandiere rosse (quelle nazionali), e rosso anche il vestito della first lady cinese, tra decine di soldati impettiti sull’attenti. Il presidente francese ha lanciato un monito, ribadendo che il dialogo tra Cina e Francia è ora «più essenziale che mai». Il primo incontro tra leader ha avuto per parola chiave la convergenza, per superare le differenze in nome del «bene comune». Macron ha chiesto aiuto a Xi, rimarcando che ha la «capacità decisiva» per influenzare Mosca e spingerla ad accettare la fine della guerra in Ucraina, in un momento in cui si rischia la «disintegrazione dell’ordine internazionale che ha portato la pace nel mondo per decenni». Il numero uno dell’Eliseo incontrerà anche il premier Li Qiang: non si discuterà solo di Kiev, ma anche di rapporti commerciali; attese diverse firme su accordi bilaterali nei settori energetici e alimentari. L’Ue non accetta la “pax americana” e rimane sola Lo scoop dello Spiegel L’alfiere Macron, che ha appena ricevuto Volodymyr Zelensky a Parigi, ha di recente elogiato l’iniziativa negoziale statunitense e la Casa Bianca di Trump che «esercita pressione sulla Russia». Ma non è lo stesso messaggio che si legge in filigrana nelle trascrizioni delle telefonate che il leader, insieme agli omologhi Ue, compie dietro le quinte, a porte chiuse. È trapelata fino allo Spiegel quella della telefonata collettiva avvenuta tra capi di Stato e Zelensky nel giorno in cui ha cominciato a circolare la bozza del piano in 28 punti stilata dagli statunitensi, un documento criticato da europei e ucraini perché considerato vantaggioso per i russi. Durante quel colloquio Macron ha suggerito che gli Usa sarebbero pronti a buttare in pasto ai russi l’Ucraina: «C’è la possibilità che gli Stati Uniti tradiscano l’Ucraina sulla questione territoriale senza chiarezza sulle garanzie di sicurezza», in vista c’è «un grande pericolo» per Zelensky. L’Eliseo ha, in qualche modo, smentito la forma, ma non il contenuto del messaggio: «Il presidente non ha usato quelle parole». Anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha chiesto a Zelensky di essere «estremamente cauto nei prossimi giorni»: «Stanno giocando, sia con voi che con noi». Si riferiva evidentemente agli americani Steve Witkoff e Jared Kushner, l’inviato speciale e genero di Trump che martedì sono rimasti cinque ore con Putin al Cremlino per parlare del piano di pace. Ha fatto eco il finlandese Alexander Stubb: «Non possiamo lasciare l’Ucraina e Volodymyr da soli con questi ragazzi». Tutti hanno fatto scudo intorno al presidente ucraino: «Dobbiamo proteggere Volodymyr», ha concluso il segretario generale Nato Mark Rutte. Questa indiscrezione può diventare un boomerang politico per chi era con la cornetta in mano ad ascoltare tutto: insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, al premier polacco Tusk, all’omologo danese Mette Frederiksen, a quello norvegese Jonas Gahr Store e al presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, c’era anche la premier italiana Giorgia Meloni. Nato, avviso alla Russia: «Putin non cambia idea? Manderemo altre armi» Budapest vs Bruxelles Un altro contraccolpo potrebbe abbattersi contro l’Unione, che rischia di sfaldarsi come un puzzle che perde pezzi: Mosca potrebbe decidere un giorno di rivalersi in tribunale per riavere i suoi 140 miliardi che si trovano ora nelle banche del Belgio (se verrà presa la decisione di scongelare gli asset russi per salvare Kiev), ma c’è chi si dice già pronto a marciare contro Bruxelles. Il governo di Orbán – che ha già ottenuto da Trump un’esenzione dalle sanzioni antirusse, dopo una visita del premier magiaro dal repubblicano – contesterà alla Corte di giustizia europea il RePower Eu, cioè il divieto pianificato sulle importazioni di energia dalla Russia dal 2027. Secondo Péter Szijjártó, ministro degli Esteri magiaro, con questo «diktat di Bruxelles» – una misura sanzionatoria «mascherata da politica commerciale» – si mina la sicurezza energetica nazionale. La strategia dei due presidenti: indebolire Kiev e accerchiare l’Ue Senza Druzhba – l’oleodotto russo dell’Amicizia (così è stato battezzato in epoca sovietica), che rifornisce l’Ungheria e che gli ucraini hanno rivendicato di aver bombardato di nuovo nel giorno in cui l’Ue annunciava lo stop all’energia russa – è impossibile trovare greggio e gas naturale sufficienti: «Non è politicamente impossibile, ma fisicamente impossibile». Inoltre le famiglie ungheresi vedrebbero sulle bollette costi triplicati: «Sapevamo benissimo che, oltre agli accordi a Washington e a Mosca, avremmo dovuto combattere anche a Bruxelles». Ma, a voler ribaltare questa «frode legale», ha detto il ministro ungherese, «non siamo soli»: si unirà alla battaglia di Budapest anche Bratislava, che, in passato, ha ottenuto garanzie energetiche dall’Unione europea per non esercitare il suo veto contro le sanzioni antirusse che richiedono voto unanime. «Abbiamo sufficienti basi giuridiche per valutare la possibilità di intentare una causa», è corso a dichiarare mercoledì il primo ministro slovacco Robert Fico.