Trump il sovrano prende tre sberle: «Colpa dello shutdown, dem kamikaze»

Sarebbe ora di finirla di concedere a Donald Trump una sorta di salvacondotto per le cose stupide o orrende che dice. Come se esistesse nelle leggi un “comma Trump” che gli permette di non rispondere delle sue malefatte verbali. Anche quando incidono profondamente nella vita democratica di un grande paese quale sono almeno sinora, e sempre che non si verifichi la prova contraria, gli Stati Uniti d'America. L'invasione di campo del presidente nelle elezioni per il sindaco di New York non possono essere semplicemente derubricate a folclore solo perché ha comunque prevalso il candidato largamente in testa nei sondaggi, cioè il socialista, musulmano, pro-pal, immigrato, Zohran Mamdani. Trump aveva ovviamente il diritto di appoggiare il suo rivale, Andrew Cuomo, non quello di inquinare a prescindere il voto usando a scopo preventivo e come “arma di fine del mondo” le prerogative di un potere che ritiene debba essere assoluto perché è stato unto una volta e per sempre, par di capire, dal popolo. The Sex and the Mayor. Siamo tutti un po’ newyorkesi Golpe bianco Dunque l'inquilino della Casa Bianca aveva minacciato anzitutto di arrestare Mamdani nel caso non si impegni nel contrasto dell'immigrazione illegale e dunque con una quota di discrezionalità che si arroga nel giudizio sull'operato che apre la stura ad ogni possibile abuso. Poi di tagliare i fondi federali alla metropoli che non dorme mai nel caso di vittoria di chi non è di suo gradimento e infine di mandare la guardia nazionale a garantire l'ordine pubblico. Un golpe bianco annunciato, insomma, un atteggiamento tecnicamente eversivo perché, per estensione, postula il diritto del presidente di entrare a gamba tesa in ogni consultazione popolare, dall'Atlantico al Pacifico, dal Canada al Messico, per torcere a suo vantaggio il risultato. New York è la città di Donald Trump. Ha dimostrato una dose importante di maturità e coraggio non lasciandosi intimidire, ma proseguendo coerentemente nel cammino di un rinnovamento della classe dirigente, addirittura di un cambio di paradigma sull'idea stessa di metropoli. Tutto starà ora nel vedere se Zohran, 34 anni, figlio di un ugandese e di una indiana, riuscirà a tramutare il programma in fatti. Alcuni fattori inducono all'ottimismo. Non ha semplicemente esercitato bella grafia per confezionare un irrealizzabile libro dei sogni. Ha elencato le priorità: trasporti pubblici gratis e più efficienti, affitti calmierati per quattro anni per due milioni di persone, supermercati gestiti direttamente dal comune per calmierare i prezzi, salario minimo a 30 euro entro il 2030. Usa senza sussidi alimentari, lo shutdown adesso fa male È di tutta evidenza il tentativo di salvare il tessuto sociale di una città diventata troppo cara e dalla quale il ceto medio sarebbe presto scomparso e che sarebbe stata egemonizzata dai ricchi (sembra sentire echeggiare lo stesso grido d'allarme per esempio da Milano...). Ha spiegato come avrebbe coperte le uscite con nuovo entrare. L'uno per cento in più di tasse a chi dichiara più di un milione di euro di reddito; e tasse alzate all'11,5 per cento per le imprese, la stessa aliquota del New Jersey (totale, 14,5 miliardi di dollari). E se non bastasse si rosicchia qua e là nel mastodontico bilancio di 119 miliardi di dollari. Evidente l'idea di una seppur timida redistribuzione del reddito nel cuore pulsante del capitalismo. Lo hanno seguito le classi meno abbienti e soprattutto i giovani andati a iscriversi in massa alle liste elettorali per favorire la svolta nello sclerotizzato panorama politico dove gli altri due candidati erano un vecchio arnese repubblicano, peraltro invitato dallo stesso Trump a ritirarsi, e un vecchio arnese democratico di derivazione dinastica (il padre di Andrew, Mario Cuomo, fu rimpianto governatore dello Stato), inseguito tra l'altro da ben undici scandali sessuali. Giovani, social, e una piattaforma assai radicale, a conferma che la sinistra vince solo se è se stessa, parla al cuore della gente, fa sognare, invece di inseguire un chimerico centro dove tutto si annacqua in proposte indistinguibili le une dalle altre e si finisce per perdere la vocazione della difesa di una classe tornata prepotentemente alla ribalta: quella finita nella parte sbagliata della forbice sempre più larga tra ricchezza e povertà e che stenta ad arrivare alla fine del mese. Dal sostegno a Cuomo alle minacce di tagliare i fondi federali: le mosse (inutili) di Trump contro Mamdani L’ira di Donald Donald Trump non l'ha presa bene. E nelle giustificazioni che ha portato per la sconfitta sembra il John Belushi del film The Blues Brothers quando deve spiegazioni alla donna che lo aveva atteso invano all'altare. Si è perso perché non c'era il suo nome sulle schede (pure il sindaco voleva fare...), perché c'è lo shutdown con il quale i «democratici kamikaze» stanno distruggendo il paese e sono dunque loro a dover essere criticati. E così si è favorito dall'altra parte un «comunista» che adesso dovrà vedersela con lui. Mentre persino l’ideologo della prima ora, Steve Bannon, parla della sconfitta come di un «campanello d’allarme» per Trump, dovrebbe dirsi, Donald, che è il suo estremismo ad averne alimentato uno uguale e contrario dall'altra parte. Dove però hanno vinto senza assaltare il Campidoglio ma elaborando un credibile progetto alternativo all'America Maga. Questa di New York è America Magari.