Mattarella: «Nelle relazioni internazionali prevalgono comportamenti teppistici, il dialogo scambiato per remissività»

«Osservando l'instabilità, le tensioni e conflitti, la violenza anche verbale che caratterizzano la nostra contemporaneità, si registra la diffusione di atteggiamenti che, se applicati alla convivenza all'interno delle nostre società nazionali, meriterebbero l’appellativo di teppistici». È quanto ha detto nella serata di domenica il presidente della Repubblica Sergio Mattarella intervenendo all’inaugurazione dell’incontro per la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, svoltasi presso l’auditorium della capitale, e dal titolo “Osare la pace”. «Risulta oscuro - ha aggiunto - come comportamenti ritenuti generalmente riprovevoli, se non severamente censurabili se relativi alle normali relazioni umane, abbiano la pretesa nelle relazioni internazionali di essere considerati fatti politici, Mentre, alla parola "dialogo”, viene attribuito, anziché il carattere della fortezza, il segno di una debolezza, di una remissività». “Le azioni di forza e i “fatti compiuti” – ha proseguito il capo dello Stato – pretendono di assumere la natura di situazioni definitive, mentre non sono che la premessa dell’esplodere di future contrapposizioni. È doveroso contrastarle. Con insensatezza e, ancor più, con cinismo, il “costo”, anche in vite umane, della guerra viene spesso percepito dai belligeranti come inferiore a quello della pace». «Il nazionalismo – ha detto ancora il presidente della Repubblica – da opporre ad altri nazionalismi nasce dal considerare gli altri popoli come nemici, se non come presenze abusive o addirittura inferiori per affermare con la prepotenza e, sovente, con la violenza, pretese di dominio». Leone vola alto, ma la politica non lo ascolta Il presidente è entrato nella grande sala dell’auditorium, accompagnato da Mathilde, regina dei Belgi, già presente in passato a altri incontri della comunità di Sant’Egidio, che ha salutato la folla presente. Prima di Mattarella, sono poi intervenuti il fondatore della comunità, lo storico Andrea Riccardi, e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. L’odio degli estremisti «L’età della forza», ha detto Riccardi che in tal modo ha voluto definire il tempo in cui viviamo, «non è antireligiosa, come lo furono precedenti stagioni bellicose ma ha imparato a servirsi delle religioni per consacrare conflitti e interessi. Crescono nuove religioni della prosperità per benedire la corsa all’auto-affermazione: successo e denaro sono al cuore di esse. E purtroppo anche il mondo delle religioni è toccato dal processo di frantumazione, con le difficoltà di ecumenismo e dialogo». «Dal Novecento ereditiamo una grande acquisizione – ha detto ancora Riccardi – i conflitti religiosi e il disprezzo tra religioni sono ormai solo degli estremisti, il cui odio per la vita umana mette in luce come il loro non sia il Dio delle grandi tradizioni religiose, ma un idolo che giustifica il potere tramite il terrore». Nel corso del Novecento, ha proseguito, «i muri tra religioni si sono incrinati e sono crollati. Non è poco. Si è riacceso l’interesse degli umanisti per esse. In questi anni il dialogo ha messo in luce le convergenze, senza nascondere sostanziali differenze. Ma le religioni insegnano che il male non vince. E il volto più atroce del male – lo vediamo oggi – è la guerra, che sfigura l’uomo ed è madre di tutte le povertà». «Dall’età della forza e della guerra – ha quindi affermato Riccardi – all’età del dialogo e del negoziato: su questa svolta dobbiamo far sentire il nostro peso». A sua volta Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, ha osservato: «Non ci rassegneremo mai all’idea che la guerra possa divenire uno strumento di regolazione delle controversie internazionali. Non ci rassegneremo allo spirito di potenza che pretende di cancellare il diritto, anzi di farsi esso stesso diritto. Non ci rassegneremo all’odio, all’integralismo che nega la dignità all’altro, al fine che giustifica qualunque mezzo per affermarsi». La cooperazione Quindi, fra gli intervenuti ci sono stati il grande imam di Al Azhar, Ahmed al Tayyeb, poi Pinchas Goldsmith, rabbino Capo, Presidente della Conferenza dei rabbini europei e Kondo Koko, sopravvissuta al bombardamento atomico di Hiroshima, infine il cardinale Matteo Zuppi, presidente della conferenza episcopale italiana. «Certo, lo sappiamo – ha detto Zuppi – la guerra è enfatizzata da miti funesti: il nazionalismo, la sovranità assoluta, l’ossessione per la terra o per il potere, l’ideologia della razza, il disprezzo ignorante per ciò che è diverso. Qui c’è un ruolo per le religioni: mai essere motivo di guerra, mai lasciarsi manipolare per la guerra!». La solitudine di Leone XIV, se in pochi si accorgono della giornata di pregheria per la pace «Restiamo uniti – ha detto subito dopo il cardinale – tra di noi, in questo anelito di pace che i tanti Abele di questo mondo portano nel cuore. Se non lo facciamo per convinzione e idealità, facciamolo per sopravvivere! Erasmo da Rotterdam già nel 1517 disse: “qualsiasi pace ingiusta è quasi sempre preferibile alla più giusta delle guerre”. Pace e giustizia, certamente. Ma dobbiamo anche dire che giusta è la pace. Altrimenti l’odio si fa cultura, inquina, riempie di fake news, arma i pensieri e le mani. L’odio non è mai inerte». Per tali ragioni ha aggiunto l’arcivescovo di Bologna, esso «va disarmato subito, al suo inizio, prima che si trasformi e si diffonda. Però crediamo che anche la pace è contagiosa. Serve uno sforzo di immaginazione creativa per superare queste convinzioni e interessi, iniziando sempre a “vedere” gli altri, a riconoscerli, a capire il loro dolore e a pensare che è uguale al nostro».