Giorgia Meloni sembra pronta a prendere spunto dalla strategia britannica contro l’immigrazione irregolare. La visita a Londra è stata l’occasione per la presidente del Consiglio di lodare pubblicamente la linea dura del governo inglese contro i barchini di migranti che attraversano il canale della Manica in direzione Regno Unito.

Da circa un anno, infatti, i Tories - prima con Boris Johnson, poi con Liz Truss e ora con Rishi Sunak - stanno portando avanti una politica ferrea con lo scopo di ridurre il numero dei migranti in arrivo nel paese.

Il memorandum firmato dai due capi di governo allinea Italia e Regno Unito su alcune questioni come la difesa, con la cooperazione sul Global Combat Air Programme (il caccia da realizzare anche insieme al Giappone), o come la condanna dell’invasione russa e il supporto all’Ucraina.

Tuttavia, tra i punti dell’intesa c’è in particolare quello dell’immigrazione: sia il governo italiano che quello britannico lo considerano un tema dirimente e Roma guarda con attenzione alle mosse di Londra.

Il modello inglese

La premier italiana non fa fatica a dirlo, a favor di telecamere, proprio a Sunak: «Contrastare i trafficanti e l’immigrazione illegale è una cosa che il tuo governo sta facendo molto bene. Sto seguendo il tuo lavoro e sono assolutamente d’accordo».

Per fermare i barchini - una promessa fatta prima di diventare primo ministro - Sunak ha avanzato una proposta di legge che prevede l’arresto e l’espulsione per chiunque provi a entrare in maniera illegale nel Regno Unito. Anche per quelli che magari hanno diritto d’asilo ma non trovano altro modo per raggiungere il paese se non tramite i canali irregolari.

Inoltre, il governo inglese sta rafforzando il suo piano Ruanda, cioè il programma di trasferimento forzato nel paese africano dei migranti in attesa dell’iter burocratico per entrare nel Regno Unito. A Kigali - grazie all’intesa firmata ad aprile del 2022 - andranno circa 120 milioni di sterline, in cambio dovrà ospitare i richiedenti asilo e i respinti da Londra.

Lo scorso marzo la ministra degli interni Suella Braverman è volata in Ruanda per visitare le strutture in costruzione e per implementare un piano che in realtà oggi è ancora bloccato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel frattempo Sunak ha anche stretto un accordo con Parigi, prevedendo la creazione di centri di detenzione per migranti sulla costa francese, il tutto finanziato dal Regno Unito.

Sono queste le misure che Meloni trova ragionevoli. Almeno a parole, perché nel memorandum firmato, frutto di un lungo lavoro diplomatico, l’approccio sulle migrazioni è stato più cauto. I due paesi si dicono pronti a lavorare insieme «per proteggere i nostri confini, le vite delle vittime innocenti del traffico di esseri umani e la sicurezza del continente europeo» e convinti della necessità di «rendere prioritaria la dimensione esterna come soluzione strutturale».

La cornice del piano Mattei e l’Ue

A ottobre, secondo quanto dichiarato da Meloni stessa, dovrebbe essere annunciato ufficialmente il piano Mattei ed è lì che – almeno in parte – il governo italiano potrebbe prendere spunto da Londra. Roma, con la sua strategia, punta a far diventare la penisola un hub energetico per l’Europa e a contrastare i flussi migratori provenienti dall’Africa. Per ora non ci sono dettagli e i recenti viaggi della premier, per esempio in Algeria e in Etiopia, sembrano rappresentare di fatto la prosecuzione della strategia impostata già dal governo di Mario Draghi.

Il cambio di passo che vorrebbe intraprendere l’esecutivo italiano è proprio sull’immigrazione. Nonostante la mancanza di riferimenti concreti sul piano dedicato al fondatore dell’Eni, si parla di accordi singoli, comprensivi di investimenti italiani, con i paesi africani per frenare le partenze e per ottenere dai governi locali delle politiche di controllo dei confini più restrittive.

Ma è un’operazione a lungo termine e dai risultati incerti, viste le profonde problematiche presenti in molte realtà del continente. Per questo si sta facendo strada la tentazione di sventolare – anche solo sulla carta - una misura più immediata (e facile da rivendere al proprio elettorato), importando qualcosa di simile al modello britannico. Tra l’altro, anche in campagna elettorale Meloni aveva puntato sulla realizzazione di hot spot in Africa, dove prendere in carico le pratiche delle richieste di asilo dei migranti.

Il problema per Meloni è che gli occhi dell’Ue, e soprattutto i soldi europei in arrivo, non permettono grossi scatti in avanti sulle migrazioni. Nello stesso memorandum è inserito un inciso significativo, in cui si legge che l’Italia dovrà tenere conto «degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea».

Per questo, da quando è al governo, la premier sta cercando di convincere Bruxelles della sfida comune rappresentata dai flussi migratori. In attesa, Meloni torna dalla capitale britannica forte del «nuovo inizio» nelle relazioni con il Regno Unito e magari con qualche consiglio ricevuto da Sunak sul tema migrazioni. Tutti appunti sulla sua agenda.

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