Kiev è tornata sotto attacco missilistico e i servizi segreti lettoni non escludono un secondo tentativo d’attacco alla capitale ucraina: il fallimento dei primi di marzo brucia e Vladimir Putin, forse, vuole rifarsi puntando ancora al controllo totale del paese e al cambio di dirigenza. La Russia ha affermato che gli attacchi missilistici hanno distrutto i carri armati forniti dagli alleati dell’Ucraina, poiché il presidente Vladimir Putin ha avvertito le nazioni occidentali di non inviare missili a lungo raggio. Un segnale che Mosca sta arrivando ai confini della Nato per sondare la determinazione occidentale di deterrenza e contenimento contro l’espansionismo russo. «Siete pronti a morire per Kiev come avvenne per Danzica?», sembra dire il cruise di Putin sulla capitale ucraina.

In questo quadro sembra che sia gli Stati Uniti di Joe Biden, in vista del voto di midterm, sia la Cina di Xi Jinping, in vista del rinnovo del terzo mandato, abbiano interesse a far continuare la guerra in Ucraina più a lungo possibile: Washington, ritenuta ormai fallita la politica di integrazione tra Mosca e l’occidente, ha rinunciato al “regime change” a cui aveva pensato all’inizio, ma ora punta a indebolire Mosca in Europa e non consentirgli più altre azioni di attacco simili. Pechino, che punta a impadronirsi delle strategiche materie prime in campo energetico russe, preferisce avere un alleato in difficoltà e impegnato in un conflitto logorante sullo stile di quello afghano, la “tomba di ogni impero”.

L’Europa, invece, sembra essersi svegliata dal lungo letargo e come in ogni crisi sta ponendo le basi per nuove integrazioni in materia di politica estera e di difesa comune, mentre la Nato si è svegliata dal “coma” di cui aveva parlato prematuramente il presidente francese Emmanuel Macron.

Come se non bastasse Mosca ha fatto volare un missile cruise “criticamente basso” sopra la centrale nucleare di Pivdennoukrainska. Ovviamente queste provocazioni non aiutano il possibile avvio di negoziati e così l’Ucraina ha respinto la proposta di Putin per sbloccare il grano, pari a 22 milioni di tonnellate, che si accumula nei porti. Kiev non accetta che i carichi passino dalla Bielorussia né che le navi salpino solo dai porti controllati da Mosca.  

La riunione sul grano

Intanto la carestia minaccia parti del continente africano. Per cercare una soluzione si terrà nei prossimi giorni a Istanbul una riunione tra Onu, Russia e Ucraina per discutere dello sblocco alle esportazioni di grano attraverso i porti del mar Nero.

Lo riferisce la Cnn turca, secondo la quale «parteciperanno rappresentanti di Ucraina, Russia e Nazioni unite». Mercoledì è atteso in Turchia il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e sabato, in un’intervista all’agenzia di stampa Anadolu, il portavoce del presidente turco, Ibrahim Kalin, ha anticipato che nel corso della visita dovrebbe essere firmato un memorandum per consentire il passaggio delle navi cariche di grano e altre derrate alimentari attraverso il mar Nero e gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, controllati dalla Turchia secondo gli accordi di Montreaux.

Possibile che si arrivi a un accordo? La matassa diplomatica è molto intricata. Senza contare che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, da vent’anni al potere, di fronte agli iscritti del suo partito conservatore, l’Akp, ha ribadito che sull’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato «non cambieremo il nostro atteggiamento finché le nostre aspettative, non saranno soddisfatte».

La salute mentale di Zelensky

Anche l’Ungheria ha voluto dire la sua dopo aver praticamente cercato di sabotare il pacchetto delle sanzioni europee alla Russia. Il ministero degli Esteri ucraino «attende l’annuncio del presidente del parlamento ungherese, Laszlo Kever, sullo stato della sua salute mentale».

È stato il caustico commento del portavoce del ministero degli Esteri di Kiev, Oleg Nikolenko, alle pesanti insinuazioni sulla «salute mentale» del presidente Volodymyr Zelensky giunte da Budapest. «In generale i politici ungheresi continuano costantemente a gettare fango sull’Ucraina», il che non sorprende, poiché «storicamente, l’Ungheria si è più di una volta orientata dalla parte del male».

Appello del papa

Il papa, che l’altro ieri ha ribadito che non è ancora il momento di una sua visita pastorale a Kiev, ha lanciato un «appello ai responsabili delle nazioni: non portate l’umanità alla rovina». «Si mettano in atto veri negoziati, concrete trattative per un cessate il fuoco», ha detto Francesco al Regina Coeli parlando della guerra in Ucraina.

E ha affermato: «Si ascolti il grido disperato della gente che soffre, lo vediamo sui media tutti i giorni. Si abbia il rispetto della vita umana, si fermi la macabra distruzione di città. Continuiamo a pregare, a impegnarci per la pace senza stancarci». Ma Putin sembra aver scelto, con i missili su Kiev, la strada dell’escalation e della prova di forza.

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