Mozambique Lng, l’Italia è l’unica in Ue a proseguire il progetto nonostante i rischi per i diritti umani

E ora che farà l'Italia? Resterà l'unico Paese europeo a garantire con soldi pubblici il progetto? Dopo che Regno Unito e Olanda hanno ritirato il loro sostegno finanziario a Mozambique Lng, molti osservatori si chiedono infatti che cosa deciderà di fare il governo guidato da Giorgia Meloni. Continuerà a sostenere l'operazione con fondi pubblici oppure, come Londra e L’Aia, cambierà idea visti i rischi ambientali e i sospetti di gravi violazioni dei diritti umani? «Violazioni strutturali dei diritti umani» Mozambique Lng, progetto da oltre 20 miliardi di dollari, prevede la realizzazione di un impianto di estrazione in mare nella parte settentrionale del Mozambico, con un gasdotto che collegherà il giacimento all'impianto di liquefazione, le strutture di stoccaggio e il terminale marino per il carico del metano sulle navi. La capacità produttiva massima prevista è di 43 milioni di tonnellate di gas liquefatto all'anno. Azionista principale e operatore è Total, seguita dalla giapponese Mitsui (20 per cento), dalla società statale del Mozambico Enh (15 per cento), da tre aziende indiane e da una thailandese. Lunedì scorso il ministro per gli Affari economici del Regno Unito, Peter Kyle, ha comunicato l'annullamento dell'operazione da 1,1 miliardi di dollari a sostegno del progetto. «Il governo di Sua Maestà ritiene che i rischi siano aumentati rispetto al 2020», ha detto Kyle aggiungendo che gli interessi dei contribuenti britannici «saranno tutelati al meglio ponendo fine alla nostra partecipazione al progetto». Lo stesso giorno il ministro delle Finanze olandese, Eelco Heinen, ha dichiarato al Parlamento nazionale che «i Paesi Bassi non saranno più coinvolti nel finanziamento del progetto in Mozambico», cancellando la copertura assicurativa pubblica del valore di altri 1,1 miliardi di dollari. Motivando la sua decisione, il governo olandese ha citato uno studio, commissionato a ricercatori indipendenti, che ha rilevato «violazioni strutturali dei diritti umani da parte dei servizi di sicurezza mozambicani nella regione, con un picco dopo l'attacco a Palma nel marzo 2021». Il disastro in Mozambico dimostra come i paesi africani continuano a non essere attrezzati contro la crisi climatica Il massacro dei container e le accuse a Total Nel marzo del 2021 un gruppo jihadista affiliato all'Isis ha attaccato la città di Palma, vicino all'impianto di gas, uccidendo 1.354 persone e rapendone altre 209. Subito dopo, ad aprile, Total ha sospeso la costruzione del progetto Mozambique Lng invocando cause di forza maggiore, clausola contrattuale che consente alle aziende di sospendere gli obblighi in caso di eventi straordinari. Poi, tra luglio e settembre del 2021, c'è stata un'altra strage nella zona, con almeno 97 civili uccisi. È il cosiddetto “massacro dei container”. Secondo un'inchiesta di Politico.eu, questa volta la responsabilità sarebbe stata però dell'esercito mozambicano e della Joint Task Force, un gruppo di soldati e paramilitari mozambicani «pagati, equipaggiati e ospitati da Total». In sostanza, persone che fuggivano dalle violenze del gruppo jihadista cercando riparo all'intero dell'impianto gestito dalla Total sarebbero stati torturati e uccisi dalle forze di sicurezza pagate dalla stessa azienda francese. Sulla base di queste notizie Ecchr, una ong tedesca, ha presentato in Francia una denuncia contro Total per complicità in crimini di guerra, tortura e sparizioni forzate. La multinazionale finora ha sempre respinto le accuse, ma è in questo contesto che sono scaturite le decisioni dei governi di Olanda e Regno Unito. Non è chiaro quanto questa decisione metterà a rischio il progetto, ma è probabile un aumento dei costi di finanziamento dato che gli azionisti dovranno trovare nuovi prestiti e garanzie per sostituire le risorse di Olanda e Gran Bretagna. Ad ogni modo Total ha subito gettato acqua sul fuoco assicurando che l'operazione andrà avanti: «I partner di Mozambique Lng – ha fatto sapere la società - hanno concordato all'unanimità di fornire capitale aggiuntivo per sostituire i contributi Ukef e Atradius (agenzie di credito all'esportazione di Regno Unito e Olanda, ndr), che rappresentano complessivamente circa il 10 per cento del finanziamento esterno». Sfrutta la Nigeria e scappa, le accuse dell’Onu a Eni & co Le italiane Tolta l'Olanda e il Regno Unito, secondo uno studio del 2024 dell'ong internazionale BankTrack le agenzie di credito pubbliche che al momento continuano a fornire le garanzie finanziarie per il progetto sono quella di Stati Uniti, Giappone, Sudafrica, Thailandia, Corea del Sud e, appunto, Italia. ReCommon, ong basata a Roma che monitora la vicenda da anni, dice che il nostro paese dovrebbe ritirarsi: «Dopo l'uscita delle agenzie di credito all’export di Regno Unito e Paesi Bassi, sarebbe scandaloso se centinaia di milioni dei contribuenti italiani continuassero a essere destinati per un progetto così rischioso e macchiato da possibili gravi violazioni dei diritti umani», spiega Simone Ogno. Per l’Italia sono coinvolte principalmente Saipem e Sace: aziende controllate direttamente o indirettamente dallo Stato. Lo ha ufficializzato lo scorso 24 gennaio Fausta Bergamotto, sottosegretaria per le imprese e il made in Italy, rispondendo a un'interrogazione del deputato di Avs Angelo Bonelli. Bergamotto ha chiarito che Saipem è stata scelta tra i fornitori del progetto, mentre Sace avrà il ruolo fondamentale di garantire le linea di credito dei finanziatori, tra i quali diverse banche internazionali. Tra carbone, petrolio e gas, i paesi non rispettano i piani sul clima. L’eccezione Colombia Davanti ai chiarimenti forniti dal governo, Bonelli ha definito di una «gravità inaudita» il fatto che Sace partecipi al controverso progetto, e che lo faccia per di più «in violazione di alcuni impegni internazionali che l'Italia ha assunto nelle Cop sul clima, ovvero quello di non finanziare, in nessun modo, gli interventi di estrazione oil & gas in territorio straniero». La garanzia di Sace dovrebbe valere 950 milioni. Sulla bilancia del governo ci sono i diritti umani della popolazione mozambicana, l'impatto ambientale del progetto fossile e gli interessi delle sue partecipate. Senza dimenticare il Piano Mattei. Perché è proprio grazie al suo gas che il Mozambico è al centro del progetto geopolitico varato da Meloni. Obiettivo ufficiale, dice Palazzo Chigi, è «imprimere un cambio di paradigma nei rapporti con il Continente africano e costruire partenariati su base paritaria».