Dopo la rottura definitiva sulla legge di bilancio, il miliardario ha deciso di fronteggiare Trump sul suo terreno, con un partito che intende rompere un bipolarismo definito «di facciata». I soldi contano molto, ma non sono basteranno a garantirgli il successo di un’operazione che parte decisamente in salita
Non è stato ancora registrato alla commissione federale per le elezioni (la Federal election commission), ma Elon Musk ha formalmente annunciato la nascita del suo partito, l’America Party, il “Partito dell’America”. Che sarebbe pronto a sfidare un bipartitismo – ha sostenuto il miliardario – ormai solo di facciata.
«Quando si tratta di mandare in bancarotta il nostro Paese con sprechi e ruberie, viviamo in un sistema monopartitico, non in una democrazia», ha tuonato Musk. La cui rottura definitiva con Donald Trump si è consumata sull’ultima legge di bilancio, che secondo tutte le proiezioni dovrebbe produrre deficit di migliaia di miliardi di dollari nel prossimo decennio. Aumentando così ancor di più un debito già passato, nel XXI secolo, dal 50 al 120% del Pil.
Trump minaccia di interrompere il copioso flusso di denaro pubblico che sussidia numerose iniziative imprenditoriali di Musk. Sollecitato da influenti figure del movimento Maga, a partire dal giornalista Steve Bannon, paventa addirittura la possibilità di avviare un’indagine sul percorso che ha portato il sudafricano Musk a ottenere la cittadinanza statunitense e di procedere eventualmente alla sua espulsione. Dispiegando cioè la stessa arbitrarietà utilizzata finora in tanti casi che hanno coinvolto studenti o immigrati.
L’oligarca e il monarca
Difficile parteggiare, in questo scontro tra l’oligarca e l’autocrate, tra le immense risorse economiche del primo e lo spregiudicato uso delle leve del potere e, se necessario, della violenza di Stato da parte del secondo. Musk lamenta giustamente una spesa pubblica andata fuori controllo, ma è stato il primo beneficiario di questa, della deregolamentazione di tante attività economiche e di quei tagli alle tasse che favoriscono largamente redditi altissimi, da impresa e da capitale.
Se fosse dipeso da lui, avrebbe chiesto riduzioni ancor più radicali della spesa pensionistica e di quella destinata alla sanità, oltre che l’attuazione dei provvedimenti mirati all’eliminazione di varie agenzie federali e, con esse, di milioni di posti di lavoro pubblici. Uno Stato minimo, quello di Musk, coerente con la sua concezione privatistica di un governo da lasciare in mano a un’aristocrazia tecnocratica: ai pochi e migliori che hanno dimostrato di saper immaginare il futuro e realizzarlo, come ha spesso sostenuto il suo sodale Peter Thiel.
Questo distopico futuro tende a non conoscere barriere o frontiere, e ha quindi una dimensione globalista che Musk peraltro ben incarna e simboleggia, con i suoi satelliti, la sua Starlink e i suoi affari senza confini (inclusi i tanti in Cina). Ad esso, Trump contrappone invece un passato parimenti distopico: un progetto politico nel quale centrali sono nostalgie fatte di muri, tariffe, inscalfibili gerarchie sociali e razziali.
L’originale vince
È uno scontro, si diceva, nel quale all’oligarca, post-democratico e globale si contrappone il monarca, dispotico e nazionalista, che esercita un potere assoluto privo di costrizioni legali e costituzionali.
Dal nome del suo partito – America Party – alla retorica e alla postura adottata nel tempo, Musk ha cercato e cerca di offrire anch’egli un messaggio patriottico, nazionalista e se necessario anche razzista. Parte però ad handicap, in questa sua sfida all’originale. La sua biografia, il suo accento, la sua goffaggine relazionale e, appunto, il suo “globalismo” lo rendono poco credibile nel ruolo, come dimostra peraltro anche la sua bassissima popolarità negli Usa.
Le risorse economiche pesano molto, troppo nella politica statunitense; ma da sole non bastano, come ha ben evidenziato l’ultima, onerosa campagna elettorale di Musk: quella, persa, per far eleggere un giudice conservatore alla Corte Suprema del Wisconsin.
Soprattutto, la storia recente e lontana induce a essere scettici sulla praticabilità di questo progetto politico. Da un lato il sistema bipartitico ha retto a sfide ben più credibili di questa; dall’altra, lo spazio politico che Musk ambisce ad occupare sembra essere oggi del tutto saturato dal nativismo radicale di Donald Trump.
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