«Nel 2025 uccisi 67 giornalisti». Ecco l’allarme di Rsf

«Odio e impunità conducono a questo». Non usa mezzi termini Thibaut Bruttin, direttore generale di Reporters sans frontières, per commentare i dati diffusi dall’organizzazione non governativa che promuove e difende la libertà di informazione e di stampa: negli ultimi dodici mesi sono stati uccisi 67 giornalisti, quasi la metà a Gaza. Un dato che, letto insieme a quello sui 503 reporter detenuti in tutto il mondo, rende l’idea di quanto la libertà di stampa sia sempre più a rischio. «Non si tratta di vittime casuali o collaterali – precisa Bruttin – Sono stati presi di mira e uccisi per il loro lavoro». Striscia mortale Sono ancora vive nella memoria di tutti le immagini del raid israeliano sul Nasser Hospital, a Gaza, il 25 agosto di quest’anno. Una serie di attacchi che causarono oltre venti vittime tra civili e operatori sanitari. Ancor di più rimasero impressi i raid successivi, deliberatamente volti a colpire e uccidere i cinque giornalisti accorsi per documentare l’ennesimo bombardamento su una struttura ospedaliera: il cameraman Hossam al-Masri dell’agenzia di stampa Reuters, il fotoreporter di Al Jazeera Mohammed Salama, il reporter Moaz Abu Taha e i freelance Mariam Dagga e Ahmad Abu Aziz. Una scena «mostruosa e crudele», come la definì Medici senza frontiere, che Israele provò a far passare come un «tragico incidente» ma che mostra in realtà quello che accade a Gaza ogni giorno da due anni. Sin dall’inizio del conflitto, giornalisti e reporter sono stati bersagli dell’Idf nel tentativo di impedire la copertura di quanto stava accadendo nella Striscia. Solo negli ultimi dodici mesi a Gaza sono stati uccisi 29 giornalisti, il 43 per cento del totale. Dal 7 ottobre 2023 ad oggi sono stati addirittura 220 i giornalisti uccisi dai militari israeliani, di questi almeno 65 colpiti mentre tentavano di documentare quello che accadeva intorno a loro. In Ucraina la Russia sta trasformando i giornalisti in bersagli di guerra «L’esercito israeliano – si legge non a caso nel report – è il peggior nemico dei giornalisti» che, soprattutto in questo contesto, sono sempre più osteggiati perché «testimoni chiave della storia». Una storia che qualcuno vorrebbe raccontare diversamente. Ma la guerra non è certo l’unico fronte in cui si tenta di silenziare i media con la violenza. A minacciare quotidianamente la libertà di stampa è anche la criminalità organizzata che, in molte aree, ha alzato il tiro nei confronti dei reporter. Accade, ad esempio, in Messico, dove nel 2025 sono stati uccisi nove giornalisti perché impegnati in inchieste su narcotraffico, corruzione e legami tra politica e criminalità. A destare preoccupazioni è soprattutto il Jalisco New Generation Cartel, l’organizzazione criminale più potente del Messico responsabile di almeno tre dei nove omicidi. Si tratta del dato più alto degli ultimi tre anni che arriva nonostante l’elezione, oltre un anno fa, di Claudia Sheinbaum che in campagna elettorale aveva assunto l’impegno di garantire maggior protezione per i media in un paese in cui sono da sempre vittime di attacchi e violenze. «Il tempo delle parole è finito – commenta Rsf – ora è tempo di mettere in atto azioni decisive che portino a risultati tangibili». Ma l’organizzazione parla addirittura di «messicanizzazione dell’America Latina». Honduras, Colombia, Ecuador, Perù, una violenza diffusa rende il continente latinoamericano il più pericoloso con quasi un quarto del totale dei giornalisti uccisi. Contesti diversi, ma con un tratto in comune: chi racconta ciò che accade sul proprio territorio lo fa senza protezioni reali, esposto a minacce, intimidazioni e violenze spesso ignorate dalle autorità. Secondo Rsf, la quasi totalità dei giornalisti uccisi nel 2025 lavorava nel proprio paese, segno di quanto siano proprio i reporter “di prossimità” a pagare il prezzo più alto per aver scelto di raccontare la realtà in cui vivono. Una situazione frutto del diffuso clima di impunità e del «declino globale del coraggio dei governi, che dovrebbero attuare politiche pubbliche protettive». Nell’assenza del limite i giornalisti si sono trasformati in bersaglio Dietro le sbarre Accanto ai reporter uccisi, c’è l’universo silenzioso delle carceri: 503 giornalisti detenuti nel mondo, secondo Rsf. La Cina guida la lista con 121 reporter imprigionati, rinchiusi per aver raccontato proteste, diritti negati o semplici verità scomode. Segue la Russia, con 48 giornalisti detenuti, tra cui 26 ucraini arrestati nei territori occupati, a dimostrazione di come l’informazione sia diventata un terreno di guerra. E ovviamente Israele: 20 giornalisti palestinesi sono in carcere, molti arrestati negli ultimi due anni di conflitto. Paesi in cui il carcere non punisce un reato, ma serve a dire, chiaramente, che raccontare la realtà ha un prezzo. Gaza scompare: c’è solo il 7 ottobre. Così Israele scolpisce la sua storia