Nella nuova èra trumpiana, la space economy sarà favorita e si mira a smantellare la Ai Safety Institute. Ma con l’uscita dall’accordo di Parigi e dall’Oms e la minaccia dei tagli alla ricerca, si preannunciano tempi bui per il mondo della scienza
Gli Stati Uniti sono uno di quei pochi paesi che dispongono di un ufficio dedicato a fornire al capo del potere esecutivo le più aggiornate e adeguate conoscenze scientifiche disponibili. Durante l’amministrazione Biden il direttore dell’Ostp (Office of Science and Technology Policy), pur essendo cambiato nel corso del mandato presidenziale, aveva un posto riservato nella ristretta cerchia dei consiglieri di gabinetto che assistono il presidente in tutte le sue decisioni.
Durante i due mandati di Barack Obama, il fisico John Holdren, a capo dell’Ostp, aveva contribuito a modellare le politiche climatiche degli Stati Uniti, che in quegli anni firmarono l’accordo di Parigi.
Ora si attende la riconferma a capo dell’Ostp di Michael Kratsios, che ha già occupato lo stesso ruolo durante la prima amministrazione Trump. In passato Kratsios ha lavorato al dipartimento della difesa, ma il suo è un trascorso da dirigente d’azienda più che da politico o scienziato: ha lavorato in ambito di intelligenza artificiale (Scale AI) e alla Thiel Capital, fondo di investimento del libertarian conservatore Peter Thiel, che è stato fondatore di PayPal (vecchia conoscenza di Elon Musk), di Palantir, e tra i primi finanziatori del Facebook di Mark Zuckerberg.
Lo sviluppo digitale
Durante il primo governo Trump, Kratsios aveva supportato lo sviluppo dell’Ia e delle tecnologie quantistiche, lavorando all’American Ai Initiative e alla National Quantum Initiative. Il secondo governo Trump continuerà a sostenere questa linea, interpretando lo sviluppo di nuove tecnologie informatiche come una corsa agli armamenti da combattere soprattutto contro la Cina.
Anche Biden aveva supportato lo sviluppo di computer quantistici e Ia, ma aveva anche firmato, nel 2023, un ordine esecutivo che difendeva uno sviluppo responsabile, etico ed equo dei sistemi basati sui big data, che possono altrimenti escludere e discriminare le minoranze.
Trump invece mira a smantellare l’Ai Safety Institute creato da Biden, poiché ritiene questo genere di iniziative imposizioni della sinistra radicale che rallentano l’innovazione. Lo stesso pensa dei limiti alle emissioni di gas serra e delle sostanze inquinanti, tanto che ha già dichiarato guerra alle regolamentazioni dell’Epa, l’agenzia per la protezione dell’ambiente, andando contro a ogni evidenza scientifica sia in ambito ambientale, sia sanitario.
Anche la space economy godrà del favore generale della nuova amministrazione. Sebbene la Nasa sia in leggero ritardo sulla tabella di marcia della missione Artemis, che punta a tornare sulla luna (ma potrebbe riuscirci prima la Cina), Trump ha già rilanciato dichiarando di voler piantare per primo la bandiera a stelle e strisce su Marte, anche con l’aiuto di compagnie private come la SpaceX di Musk.
I rischi per il clima
La Nasa è anche responsabile di programmi di monitoraggio della Terra e del suo sistema climatico, che invece potrebbero subire tagli. La stessa sorte potrebbe toccare alla National Oceanic and Atmosferic Administration, una delle fonti di dati su clima, oceani, terre emerse e meteo più importanti al mondo.
Se quindi c’è da attendersi un rinnovato sostegno alla ricerca che concorre alla transizione digitale, quella alla base della transizione ecologica ed energetica vivrà tempi duri sotto l’amministrazione Trump.
L’accordo di Parigi individua il grado e mezzo come soglia critica di riscaldamento da non superare, e il 2050 come data di arrivo, non per opportunità politica, ma sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili, riassunte nei rapporti dell’Ipcc: se non si rispetteranno questi limiti entro questi tempi, i rischi e i costi del cambiamento climatico aumenteranno a dismisura. L’uscita, per la seconda volta, degli Stati Uniti dall’accordo sul clima è il più plateale atto di negazionismo scientifico, ma non l’unico di questa amministrazione.
Il tema della salute
Con l’attivista anti-vaccini di lungo corso, Robert Kennedy jr, a capo del dipartimento della salute è atteso un riorientamento delle politiche sanitarie in favore del contrasto alle malattie croniche, come obesità, disturbi cardiovascolari, diabete, andando però a scapito della prevenzione e della ricerca sulla malattie infettive.
L’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità poi espone tutti a un aumentato rischio epidemico: osservato speciale è il virus dell’influenza aviaria H5N1, che è già ampiamente diffuso tra gli allevamenti (specialmente intensivi) di bovini. A inizio gennaio diverse decine persone risultavano infettate e una in Lousiana è deceduta a causa del virus, che però non si è adattato a diffondersi tra esseri umani. Gli Stati Uniti inoltre erano tra i paesi che contribuivano maggiormente al budget dell’Oms, che ora rischia di veder depotenziata la propria missione globale.
Il dipartimento della salute gestisce un budget consistente che viene distribuito a diverse agenzie, quali la Fda (Food & Drug Administration, l’agenzia che approva i nuovi farmaci), l’Nih (National Institute of Health, tra i maggiori finanziatori delle ricerca biomedica di base al mondo) e il Cdc (Center for Disease Control and Prevention, che ha coordinato la risposta alla pandemia da Covid 19).
La scure di Musk
Su tutte queste potrebbe abbattersi la scure di Elon Musk, a capo del nuovo dipartimento per l’efficientamento della spesa pubblica, che aveva promesso un taglio di 2.000 miliardi di dollari: l’obiettivo è ritenuto da molti irraggiungibile.
In un articolo ospitato sul Wall Street Journal lo scorso novembre, Musk aveva parlato di «burocrati non eletti» che pongono inutili regolamentazioni all’industria e che «rappresentano un rischio per la nostra repubblica». In questo calderone rientrano anche migliaia di ricercatori e scienziati sostenuti da fondi pubblici.
A rischio tagli è anche la Nsf (National Science Foundation), un’agenzia che sostiene la ricerca di base, ovvero quella non direttamente destinata ad applicazioni industriali o con immediati sbocchi commerciali. Il suo budget sarebbe dovuto raddoppiare in 5 anni, dopo l’adozione nel 2022 del Chips and Science Act di Biden. L’aumento di fondi, già contestato dai repubblicani alla Camera, ora è ancora più in discussione.
La comunità dei ricercatori inoltre vive di collaborazioni internazionali. Soprattutto quelle tra Stati Uniti e Cina, i due maggiori produttori di lavori scientifici al mondo, potrebbero tornare a vacillare: nel suo primo mandato, con la China Initiative, Trump aveva fatto arrestare alcuni ricercatori di origine cinese con l’accusa di spionaggio e reso difficile il lavoro ad altri su suolo statunitense. Il programma era stato chiuso da Biden.
«La ricerca e l’innovazione sono campi sovrapposti in cui gli Stati Uniti sono stati leader mondiali per generazioni», ha scritto Nature in un editoriale rivolto a Trump. «Il lavoro degli scienziati è alla base di salute e prosperità. Si consideri lo Human Genome Project: l’investimento di tre miliardi di dollari ha rivoluzionato la nostra comprensione delle malattie. Nel giro di un decennio dal completamento del progetto, ha aggiunto all’economia americana un valore stimato di 1.000 miliardi di dollari».
Se si prendono però per buone le parole pronunciate nel 2021 dal vice presidente J.D. Vance, secondo cui «le università sono il nemico» e culle di radicalismo, si capisce che la nuova amministrazione non vede questo legame tra innovazione, di cui vorrebbe essere leader mondiale, e ricerca. La scienza al più viene vista come un’arma per fare soldi e per imporsi sugli altri, come del resto pensano i tech bro multimiliardari, in prima fila all’inaugurazione di Trump.
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