I discorsi importanti a volte vanno riscritti. Al centro del primo discorso sullo Stato dell’Unione di Joe Biden, che si è tenuto stanotte di fronte al Congresso riunito in presenza al 100%, quasi totalmente senza mascherine, fino a dieci giorni ci doveva essere il rilancio dell’agenda economica, dopo che l’ambizioso piano di conversione ambientale denominato Build Back Better era stato accantonato a causa dell’opposizione di Joe Manchin, senatore dem moderato del West Virginia interessato a proteggere l’estrazione del carbone e del petrolio nel suo stato.

L’economia ha avuto una parte importante, ma non quella iniziale. Com’è ovvio, i riflettori sono per la guerra del presidente russo Vladimir Putin contro il governo di Kiev.

Dopo l’improvvisa aggressione da parte dell’esercito russo all’Ucraina, è cambiato l’ordine delle priorità: la parte iniziale si è spostata sulla principale minaccia al mondo e all’America, riferendosi ovviamente alla situazione in Ucraina, oggetto della telefonata di mezz’ora con il presidente Volodymyr Zelensky, sotto assedio delle forze armate russe a Kiev, al centro di quella lotta che è stata ridefinita come la battaglia della «democrazia contro l’autocrazia».

I toni epici

Proprio all’aggressore Vladimir Putin è stato dedicato un passaggio dai toni epici, sulle sue impressioni della vigilia: «Pensava di aver scosso il Mondo libero dalle fondamenta e che queste nazioni si sarebbero piegate alle sue azioni in Ucraina, ma ha sbagliato di grosso i suoi conti» anche a causa di un «muro di forza» rappresentato dal «popolo ucraino»: molti membri del Congresso indossavano spille gialle e blu in sostegno alla lotta contro l’invasore.

E pazienza se uno dei consueti bisticci verbali del presidente in carica ha definito gli ucraini come “iraniani”, spiegando che «Putin potrà circondare la capitale con i carri armati, ma non potrà conquistare l’anima degli iraniani» e questo ovviamente è stato sbeffeggiato dall’account Twitter dei membri repubblicani della commissione giustizia della Camera.

A buon diritto il presidente può dire non solo di aver definito un killer il suo omologo russo ma soprattutto di aver messo in guardia il mondo dall’imminente invasione dell’Ucraina, un atto «premeditato» mentre i leader delle cancellerie europee tentavano disperatamente di cambiare il corso degli eventi, sul quale Joe Biden sta svolgendo il ruolo di collante e di leader dell’alleanza di quello che un tempo veniva chiamato «mondo occidentale» che oggi invece assiste lo sforzo ucraino dal punto di vista «militare, economico e umanitario», mentre la Russia «si indebolisce» e il resto del mondo «si è rafforzato».

Non solo, quasi a voler rovesciare il famoso discorso putiniano sui terroristi ceceni «da inseguire fino nei cessi», il presidente Biden ha annunciato la costituzione di una task force da parte del Dipartimento di Giustizia per perseguire «i crimini degli oligarchi» e confiscare i «loro appartamenti di lusso e i loro yacht» insieme agli alleati europei per dire loro che «stiamo venendo a prendere i vostri guadagni sporchi».

Economia e covid

Dopo la parte da leader del mondo libero però, è arrivata anche quella dedicata agli sforzi effettuati sul piano interno nell’ultimo anno, a partire dall’American Rescue Plan approvato lo scorso anno che ha creato 6 milioni e seicentomila nuovi posti di lavoro e che ha portato una crescita del 5,7 per cento del Pil nonostante la durezza dell’ondata autunnale provocata dalla variante Delta, che però sta «diventando una malattia come altre», alla quale «non consentiremo più di prendere il controllo delle nostre vite».

Anche lo scorso anno, ha detto il presidente «dovevamo agire e lo abbiamo fatto». Non è mancata in questo passaggio una stoccata ai repubblicani: il Covid è «solo una dannata malattia» e non qualcosa che «ci divide su linee partitiche».

L’azione dell’amministrazione Biden però non è legata solo all’emergenza post pandemica, ma anche una “nuova visione economica” che il presidente ha riassunto in tre punti: «Investire in America, istruire gli americani e far crescere la forza lavoro».

In sintesi, un ambizioso piano di rientro delle produzioni industriali intermedie dalle delocalizzazioni degli scorsi anni per far sì che «i soldi delle tasse vadano a sostenere posti di lavoro americani e aziende americane», in tacita continuità con l’America First promossa dall’amministrazione di Donald Trump e in particolare dal suo consigliere economico Peter Navarro in funzione anticinese. Non si parla più di rendere «l’America nuovamente grande» ma di costruire «un’America migliore».

Il protezionismo gentile

Cambiano i toni ma non i fini: l’economia americana va rafforzata anche con questo protezionismo gentile e non muscolare con cui tornare a competere con la Cina, citata come il principale avversario tecnologico di Washington e come principale motivo per cui il Bipartisan Innovation Act, fermo alla Camera dallo scorso giugno dopo una difficile approvazione al Senato, dovrebbe essere «presto sulla mia scrivania per l’approvazione».

Tra i tanti temi trattati in un discorso lungo e a volte tormentato dai bisticci verbali del presidente, anche il tema dell’inflazione è stato affrontato parlando di un fenomeno «che ruba lo stipendio agli americani» e per il quale bisogna mettere i prezzi sotto controllo, un’affermazione che mina alla radice uno degli assunti base dell’economia post-reaganiana sull’autoregolamentazione dei mercati. In questo lungo elenco ci sono state le spese mediche, con l’esempio pratico del costo dell’insulina, che in alcuni casi ha superato diverse centinaia di dollari a fiala.

Il prezzo va fissato per legge, secondo il presidente «a trentacinque dollari, per renderla alla portata di tutti». Molti temi affrontati sono stati una manna anche per l’ala progressista: la necessità di ridurre le spese per gli asili, il salario minimo a 15 dollari l’ora e la libertà di sindacalizzarsi per i lavoratori, senza dimenticare l’istituzione di controlli verso quelle imprese che si sono illecitamente appropriate dei fondi destinati ai ristori.

Ma su un punto è stato categorico: è finita l’epoca del Defund the Police promosso nel 2020 da Alexandria Ocasio Cortez e dagli altri membri della Squad progressista. Con un efficace gioco di parole, il presidente ha affermato con forza che è ora di «finanziare la polizia», per «rinnovare la fiducia e la credibilità delle forze dell’ordine e migliorare la sicurezza dei quartieri», uno dei punti sui cui l’opposizione repubblicana ha maggiormente criticato il presidente, fino ad oggi ritenuto troppo ambiguo sulla questione.

I veterani

In conclusione, c’è stato l’accenno finale ai veterani, definiti «la colonna portante» del paese, come il figlio Beau, citato in modo commosso dal presidente e scomparso per un cancro al cervello nel 2015. Proprio il cancro è uno dei punti della “Unity Agenda”, insieme al sostegno ai veterani, alla lotta contro la crisi degli oppioidi e a una migliore cura delle malattie mentali, quattro punti su cui ci potrebbe essere, secondo il presidente, un consenso bipartisan.

Altri provvedimenti di bandiera, come quello sulla proibizione delle armi d’assalto così come il disegno di legge per la protezione del diritto di voto, sono stati citati senza però un’effettiva speranza di vederli approvati entro la fine del 2022, l’ultimo anno in cui i democratici avranno una maggioranza alla Camera dei rappresentanti.

I sondaggi non hanno ancora misurato l’impatto della crisi ucraina sulla popolarità del presidente. Forse per i repubblicani è troppo ghiotta l’occasione per definirlo comunque come il presidente dell’inflazione e del crimine in crescita nelle città, rendendo difficile una convergenza anche sui temi “unitari”.

Anche se la governatrice dell’Iowa Kim Reynolds, autrice del discorso di risposta a Joe Biden per i repubblicani, ha spesso citato il piano bipartisan di rinnovamento infrastrutturale come cruciale per il rilancio dell’economia del suo Stato. Senza ovviamente citare che il suo promotore è proprio il presidente degli Stati Uniti oggetto delle sue critiche.

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