La diminuita visibilità di Donald Trump non ha cambiato uno dei concetti chiave non solo della sua presidenza, ma anche della sua esistenza: al centro del suo mondo, c’è lui. E non ci può essere nessun altro.

Si ricorda la durata lampo dell’appariscente Anthony Scaramucci: soltanto dieci giorni nella sua veste di direttore della comunicazione della Casa Bianca. Lo stesso è accaduto con Steve Bannon, che si è fatto conoscere per le sue sparate millenaristiche sulla distruzione dello «stato amministrativo»: non proprio l’ideale per tenere insieme i pezzi di una coalizione vittoriosa alle elezioni. Dopo sette mesi ha lasciato la Casa Bianca.

Chi è che fa carriera all’ombra di Trump? Già l’uso dell’espressione “all’ombra” non è casuale: perché la sua preferenza è per chi lo serve con lealtà, anche sopra l’onestà personale.

Lo confermano anche James Comey, ex direttore dell’Fbi che nei primi mesi del 2017 è stato sostituito proprio per non aver ottemperato alla richiesta. Il biografo dell’ex presidente, Michael D’Antonio, lo ha confermato anche in una recente analisi scritta per il sito della Cnn a proposito di Devin Nunes, il quale ha annunciato la sua decisione di dimettersi dal Congresso per andare a ricoprire la carica di amministratore delegato del Trump Media & Technology Group, l’azienda tech di Donald Trump fondata lo scorso febbraio per combattere direttamente Big Tech, colpevole di averlo “bannato” dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio.

Finanziatori segreti

E pensare che nel 2020 Donald Trump era stato uno dei maggiori inserzionisti di Facebook, se non il più grande a livello mondiale. L’azienda però è stata varata solo lo scorso ottobre, con un finanziamento di un miliardo di dollari raccolto da vari finanziatori tenuti segreti e un lancio che si prevede nel primo trimestre del 2022.

La nuova piattaforma si dovrebbe chiamare Truth Social e dovrebbe essere senza moderazione. Ogni utente sarebbe responsabile di ciò che scrive, sulla base della sezione 230 legge sulla decenza dei contenuti online, varata nel 1996 per regolamentare la diffusione della pornografia su internet.

Per semplificare, stiamo parlando di quella norma che ritiene i colossi della Silicon Valley non paragonabili a un editore. La stessa norma che Trump ha contestato duramente nel corso del suo ultimo anno di presidenza.

Secondo quanto riporta il Washington Post, Truth Social è modellato su Twitter, con tanto di “Truth” e “retruths”. Con una lieve differenza: non è possibile “prendersi gioco” del sito e della sua dirigenza. Insomma, criticare o fare satira su Trump e i suoi seguaci è esplicitamente proibito.

L’antesignano

Non si sa come andrà Truth Social, ma di sicuro si sa che un social trumpiano simile esiste già, creato da Jason Miller, ex collaboratore del presidente alla Casa Bianca, creatore del blog “Dalla scrivania del presidente”: un’esperienza non fortunatissima durata dal 4 maggio al 3 giugno di quest’anno.

Il giorno dopo è stato sostituito da un nuovo social, Gettr, un acronimo di “Get together”, riuniamoci, ma anche di “Get Trump”. La missione del nuovo social, che a novembre ha raggiunto tre milioni di account e 400mila utenti attivi su base quotidiana è, nemmeno a dirlo, «la lotta contro la cancel culture».

Su questa piattaforma una forma di moderazione dovrebbe esistere, secondo Miller. Il 2 giugno durante un’apparizione su Newsmax, uno dei due canali estremisti preferiti dal presidente, ha detto che i moderatori sono «persone di sinistra» e che erano già attivi per scovare potenziali contenuti critici quali pedopornografia e propaganda terroristica. Ma non di estrema destra, bensì dello Stato islamico.

Secondo un’analisi dell’attività del social network fatta da Politico lo scorso agosto, questi contenuti sono ben presenti e il sistema di moderazione è più che altro basato sulle segnalazioni. Non è l’unica criticità: alcuni hacker avevano preso il controllo degli account dello stesso Miller, di Steve Bannon e di Marjorie Taylor Green, scrivendo messaggi filopalestinesi.

Infine, il cruccio più grande di Miller: Trump non ha ancora aperto un account lì, nonostante i suo appelli pubblici. Come abbiamo visto, l’ex presidente ha altri piani, sotto il suo diretto controllo. Ma Miller non si ferma e cerca di sfondare anche all’estero.

Assalto al Brasile

Il secondo paese per numero di utenti, dopo gli Stati Uniti, è il Brasile, grazie ai supporter del presidente Jair Bolsonaro. Miller è andato il 3 e il 4 settembre a parlare alla conferenza del Conservative political action committee a Brasilia, dove ha incontrato il capo di stato brasiliano: probabilmente anche per consigliarlo sul suo futuro, politico e mediatico.

Nella testa del fondatore di Gettr c’è di sicuro la sua dimensione internazionale: il 14 dicembre è stato ospitato alla sede di Strasburgo del Parlamento europeo dal gruppo Identità e Democrazia, del quale fa parte anche la Lega di Salvini, per un evento interno moderato dal deputato francese del Rassemblement National Jerome Riviere.

Forse questi segnali riportano al 2016, quando si sussurrava che il progetto di Trump in realtà era quello di aprire una nuova rete televisiva insieme all’ex boss di Fox News Roger Ailes.

Che nel 2024 sia la volta buona di un Trump che diventa dominus dell’informazione senza il peso della carica presidenziale e della campagna elettorale? 

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