Cosa farà Donald Trump dal momento in cui il nuovo presidente degli Stati Uniti si sarà ufficialmente insediato? Certo, le contestazioni politiche e giudiziarie continuano, anche se, per ora, con ben pochi risultati per il team psichedelico di avvocati messo su dal comitato elettorale del presidente in carica. Ma pare siano le possibili implicazioni legali legate alla fine dell’immunità presidenziale a non far star tranquillo Trump.

Potrebbe sembrare il classico dibattito su un caso di scuola, ma in realtà sono sempre di più le speculazioni relative alla concreta intenzione dell’attuale presidente di utilizzare l’istituto previsto dall’articolo II sezione 2 della Costituzione, che conferisce al presidente il potere di «concedere grazie e perdoni per reati contro gli Stati Uniti, eccetto nei casi di impeachment». Già il 4 giugno 2018 Trump ha sostenuto su Twitter di avere il diritto di utilizzare l’istituto per perdonare sé stesso.

A una prima lettura della norma può sembrare di trovarsi davanti a una facoltà presidenziale non soggetta a particolari condizioni o finalità. Tuttavia, per molti studiosi, un’azione del genere risulterebbe in una violazione del fondamentale principio per cui nessuno può essere giudice in una controversia che lo vede come attore.

In una memoria del 1974, redatta per il dipartimento di giustizia, si evidenziava l’impossibilità per il presidente Nixon di utilizzare l’istituto per sé stesso. Si ventilava tuttavia la possibilità di dimissioni temporanee del presidente che avrebbe così potuto essere graziato dal vicepresidente per poi riassumere le sue funzioni.

A seguito del Watergate, Nixon si dimise e fu Gerarld Ford a subentrargli. Ford cancellò ogni addebito penale nei confronti di Nixon con la famosa proclamation 4311 per tutti i reati che «aveva o avrebbe commesso» dal 20 gennaio 1969 al 9 agosto 1974, ovvero nell’esercizio delle sue funzioni presidenziali. Nixon non riprese le sue funzioni da presidente.

Ma, nel caso di Trump, Mike Pence sarebbe d’accordo? Inoltre, c’è un precedente della Corte suprema del 1915 in cui si sostiene che la concessione della grazia implicherebbe l’ammissione di colpevolezza del graziato. Questo potrebbe chiudere definitivamente le porte ad una ricandidatura di Trump nel 2024.

Trump, ovviamente, non sarebbe il primo presidente a utilizzare questo potere concesso dalla Costituzione. Lo utilizzò Bill Clinton a favore di circa 450 persone, tra cui un ricco finanziatore del Partito democratico, March Rich, che era fuggito dagli Stati Uniti dopo le accuse di evasione fiscale. Circa un terzo delle decisioni di Bill Clinton sul perdono presidenziale (140) vennero prese il 20 gennaio 2001, suo ultimo giorno da presidente in carica.

Questa decisione sollevò numerose critiche e, da allora, restò nota agli annali con il nome di Pardongate. Per Jimmy Carter, ex presidente democratico, la decisione di Clinton fu «una disgrazia». Anche altri presidenti hanno fatto uso dell’istituto: Ronald Reagan perdonò 393 persone, lo stesso Jimmy Carter 534, George H. W. Bush 75.

Non sfugge alle leggi statali

Ma quanto sarebbe utile il tentativo di Trump? Riuscirebbe a schermarlo da tutti gli eventuali processi? Diversi esperti hanno già fatto notare che l’eventuale “autoperdono” di Trump non sarebbe sufficiente a proteggerlo per le fattispecie di reato in cui verrebbero eventualmente contestate non violazioni del diritto federale, ma violazioni della legislazione statale.

Sarebbe, ad esempio, il caso dei procedimenti iniziati dalla procura del distretto di Manhattan e relativi alle attività della Trump Organization. Gli inquirenti in questo caso sospettano la possibilità che vi siano state manovre fiscali azzardate al fine di ottenere benefici fiscali.

Trump sembra tuttavia assillato dal potere di grazia e ha chiesto il parere di numerosi esperti e non può sfuggire come la crescente rilevanza che va assumendo tale potere presidenziale sia indicativa della definitiva presa di coscienza della sconfitta elettorale.

Lo scorso mercoledì a beneficiare della grazia è stato il generale Michael Flynn, già consigliere per la sicurezza nazionale, condannato per aver mentito all’Fbi nel contesto delle indagini sul Russiagate.

Ma la lista delle persone del cerchio magico in attesa del perdono non è corta. Basta citare, fra gli altri, Roger Stone, Paul Manafort o George Papadopoulos. Manca ancora molto al 20 gennaio e Donald Trump, anche nella sua attività imprenditoriale, ci ha abituato a un uso avventuroso delle strategie legali. Le prossime potrebbero essere settimane non da meno.

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