In un mondo sempre più instabile, il Regno Unito deve prepararsi a ogni scenario possibile, a combattere e a vincere una guerra con il suo esercito e la sua industria. Il premier britannico Keir Starmer, da un impianto scozzese del colosso della difesa Bae Systems, ha usato queste espressioni, non lasciando spazi a tante interpretazioni. Concetti che, almeno per il momento, non sono rimasti lettera morta.

Il governo britannico ha infatti accolto in pieno tutte le raccomandazioni contenute nella Strategic Defence Review, che punta a riformare l’intero settore difensivo del paese. Dall’aumento delle spese militari all’ammodernamento delle forze armate, passando per nuovi investimenti su droni e sottomarini nucleari. Il motivo è che «il mondo è cambiato», si legge nella presentazione della revisione, e «il Regno Unito si trova ad affrontare la guerra in Europa, la crescente aggressività russa, nuovi rischi nucleari e attacchi informatici quotidiani».

«Una nuova era di minacce, richiede una nuova era per la Difesa del Regno Unito», è il monito. A cui Starmer ha fatto eco, puntando il dito esplicitamente contro la «minaccia reale» russa.

Tre curatori

Il rapporto è stato curato dall’ex segretario Nato, George Robertson, dal generale Richard Barrons e dalla accademica ed ex consigliera di Donald Trump, Fiona Hill. Un politico, un soldato e un’esperta di affari esteri. Numero di pagine: 144. All’interno, 62 direttive per rendere l’apparato militare del Regno Unito pronto alla guerra. Con tanto di stime sulle migliaia di nuovi posti di lavoro conseguenti.

A partire dagli investimenti sul nucleare. Londra si impegna a investire 15 miliardi di sterline per lo sviluppo di nuove testate e per mantenere la sua capacità nucleare. Oggi l’arsenale del Regno Unito è dispiegato su alcuni sottomarini del programma Trident, in servizio sempre attivo come deterrente. Nel rapporto si indica la necessità di valutare la reintroduzione - comprandoli dagli Usa - di aerei strategici che possano lanciare armi nucleari. Per avere più jolly. Fermo restando, comunque, che nel piano è prevista la costruzione di 12 nuovi sottomarini d’attacco Aukus, a partire dal 2030.

Altri investimenti necessari, secondo il rapporto, sono quelli nella difesa aerea e missilistica, con la costruzione di 7.000 missili a lungo raggio, per un miliardo di sterline. E quelli per le munizioni, per cui lo stanziamento sarà di sei miliardi per almeno sei nuove fabbriche di armi nel paese. In caso di un conflitto diretto, infatti, le munizioni britanniche oggi finirebbero in pochi giorni. Nei prossimi mesi, poi, dovrà nascere un nuovo comando sulla cybersicurezza e due miliardi saranno destinati alla produzione di droni, incrementando anche lo sviluppo militare dell’intelligenza artificiale.

La revisione tocca un altro aspetto cruciale, cioè lo stato dell’esercito britannico. Obiettivo: invertire l’attuale tendenza che vede diminuire il numero dei soldati. La crisi dell’esercito di Sua Maestà, deteriorato per quantità e qualità, è denunciata da tempo. Ad aprile era stato il Capo di Stato maggiore della Difesa Tony Radakin a lanciare l’ultimo allarme: le forze armate si riducono ogni mese di circa 300 unità. Nella revisione, l’indicazione è di aumentare le unità dell’esercito terrestre da 73mila a 76mila entro la prossima legislatura.

E poi, oltre a far crescere il numero di cadetti del 30 per cento e a riorganizzare i riservisti, Londra è pronta a creare una guardia nazionale. Cittadini addestrati che potranno essere dispiegati a difesa, per esempio, di infrastrutture critiche in momenti di crisi. «Ognuno ha un ruolo da svolgere», ha avvertito Starmer, puntando sul nazionalismo britannico, magari anche per togliere argomenti al suo rivale Nigel Farage.

Il nodo dei soldi

Il vasto programma di riarmo britannico si scontra però con il solito, annoso, problema: dove trovare i soldi. Il governo non ha fornito vere certezze su come e dove ricavare le risorse finanziare per tutte le misure annunciate. Facendo scattare all’attacco le opposizioni. Oggi Londra spende circa il 2,3 per cento del Pil nella difesa. Entro il 2027 arriverà al 2,5 per cento, sacrificando tra gli altri alcuni fondi alla cooperazione internazionale, come annunciato mesi fa dallo stesso Starmer.

Nella review viene caldamente consigliata la soglia del 3 per cento, cifra che il governo laburista - specie il segretario alla Difesa John Healey - si è posto come obiettivo per la prossima legislatura, senza però darsi scadenze. Starmer e i suoi hanno glissato, tutto dipenderà dalle condizioni economiche del paese.

In sostanza, c’è più di un punto interrogativo sul futuro del programma. L’impronta del documento inglese è di una politica “Nato first", per sottolineare l’ancoraggio britannico nell’Alleanza atlantica. Quella stessa Nato, però, che secondo i media inglesi nelle prossime settimane chiederà al Regno Unito di aumentare almeno al 3,5 per cento del Pil le spese militari. Con il segretario Mark Rutte che già punta al 5 per cento, spronato soprattutto dalla Casa Bianca e dai paesi dell’est Europa.

Soldi o non soldi, il Regno Unito ha mandato un segnale: il mondo sta scivolando nel caos, serve un riarmo. Ed è solo l’ultimo paese europeo a farlo. La Germania è il caso più emblematico, con la svolta avvenuta dopo l’inizio della guerra in Ucraina con Olaf Scholz e ora continuata con Friedrich Merz, tra nuovi piani da centinaia di miliardi di euro e bazooka fiscali. La Polonia già vola oltre il 4 per cento del Pil in difesa, la Francia punta a sfruttare la maggiore autonomia strategica europea, l’Italia si è impegnata ad arrivare al fatidico 2 per cento entro quest’anno. La stessa Unione Europea, con il ReArm Europe, si sta muovendo. Una nuova era è iniziata.

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