La dichiarazione del sottosegretario alla Difesa britannico James Heappey, che ha apertamente sostenuto che le armi inglesi potrebbero sparare in territorio russo, ha in realtà profonde radici e si iscrive nella tradizionale russofobia inglese.

Il termine russofobia fu coniato dal poeta e diplomatico russo Tuichev all’inizio del Diciannovesimo secolo riferendosi alla crescente ostilità occidentale nei confronti della Russia alla vigilia della guerra di Crimea.

Ma quale è il significato della parola russofobia? Secondo il dizionario Collins russofobo è una persona che sente un intenso e spesso irrazionale odio per la Russia e specialmente per l’Unione sovietica e il suo sistema politico. Questo odio e paura irrazionale sono stati spesso espressi con parole che si riferivano al popolo russo come barbari, mongoli, asiatici, demoni, bestie e così via.

Queste parole erano usate nella stampa popolare, nelle relazioni diplomatiche, nel linguaggio normale dei cittadini inglesi. In questo modo si sottolineava che la Russia possedeva terribili caratteristiche che non appartenevano alla Gran Bretagna e all’Europa.

Questo atteggiamento di disprezzo e odio nei confronti della Russia era condiviso dalla classe dirigente inglese. J M Keynes, il più grande economista del Ventesimo secolo parlava di «bestialità propria della natura russa». Nonostante questa convinzione aveva sposato una ballerina classica russa.

Fino alla fine delle guerre napoleoniche la russofobia non esisteva nelle relazioni fra Russia e Inghilterra che erano esclusivamente economiche. Queste relazioni erano cominciate all’inizio del Sedicesimo secolo con la fondazione della compagnia di Moscovia che divenne una chartered company nel 1555.

La compagnia di Moscovia divenne un importante strumento diplomatico nei rapporti fra l’isolato ducato di Moscovia, non ancora capitale dell’impero russo, e l’Inghilterra. Ivan quarto il terribile concesse molti privilegi alla compagnia fra cui la completa libertà di movimento all’interno del paese e il divieto di arresto nei confronti di cittadini inglesi.

La nascita della russofobia

La russofobia inglese nacque e cominciò a crescere alla fine delle guerre napoleoniche poiché la Russia si era rivelata l’unica potenza europea rimasta a contrastare l’egemonia inglese. La sfilata dei cosacchi a Parigi aveva chiaramente mostrato alla classe dirigente inglese la potenza russa.

Si deve ricordare che la prima espressione della nascente russofobia inglese è stata preceduta da un falso documento chiamato “il testamento di Pietro il Grande” in cui lo zar dichiarava che il dovere dei sui successori era di conquistare l‘Europa. Napoleone dichiarò che il testamento rappresentava la causa principale dell’invasione della Russia.

L’Inghilterra nel Diciannovesimo e Ventesimo secolo diventò il più grande nemico della Russia, superata in questo ruolo dagli Stati Uniti nella seconda metà del Ventesimo secolo.

La russofobia si è sviluppata attraverso un lungo processo. Se ne può individuare la nascita con la pubblicazione nel 1828 di un saggio dal titolo “On the designs of Russia” a opera del colonnello inglese George de Lacy Evans. In questo opuscolo de Lacy dà forma ai crescenti timori che in Inghilterra si stavano diffondendo sulle intenzioni espansionistiche della Russia che erano viste come possibili interferenze nell’Impero ottomano e nelle vie di comunicazione con l’India.

De Lacy fornisce suggerimenti su come affrontare la minaccia: inviare armi a paesi sul confine occidentale della Russia come la Polonia – una misura molto attuale – o realizzare qualcosa di simile alle attuali sanzioni. De Lacy argomentava che l’Europa avrebbe dovuto ridurre il commercio con la Russia, ostacolando gli interessi dei nobili. Sostituendo “nobili” con “oligarchi, si vede che nulla è cambiato.

In quegli anni la maggior parte dei quotidiani e periodici inglesi cominciarono una campagna di stampa contro la Russia.

«La politica della Russia è da sempre stata impregnata da uno spirito di ostilità mortale nei confronti dell’Inghilterra». Così affermava il redattore capo del Morning Herald nell’ottobre del 1828. Da minime indicazioni di sospetto e antipatia nei confronti della Russia, si passò nel giro di pochi anni a paura e odio universalmente espressi. E ciò indipendentemente dalle ragioni strutturali di contrapposizione tra i due paesi quali politiche economiche conflittuali, rivalità crescente nel vicino oriente e in Asia centrale, diversità nei sistemi politici interni.

David Urquhart

Questi sentimenti erano tanto intensi che alcuni contemporanei meno convinti, riconoscendo che si trattava di molto di più di una semplice antipatia, coniarono il sostantivo russofobia. La responsabilità di un’impennata nella diffusione della russofobia è da attribuirsi principalmente a un uomo: David Urquhart, un diplomatico scozzese in servizio a Costantinopoli e successivamente parlamentare dal 1847.

Durante la sua spedizione commerciale a Costantinopoli del 1833, Urquhart ebbe la possibilità di conoscere da vicino le tribù caucasiche nelle vicinanze del Mar Nero, da tempo impegnate in una lotta contro l’Impero zarista nella resistenza ai tentativi di annessione.

Tali incontri accesero in lui un forte antagonismo nei confronti della Russia e del suo potere crescente. Tornato a Londra l’odio nei confronti della Russia divenne presto la sua principale ragione di vita, al limite della mania patologica: Urquhart vedeva ovunque intrighi russi e chiunque non condividesse le sue idee e fantasie – Bakunin, Kossuth, Mazzini, Cobden, Lord Palmerstron – era ai suoi occhi un agente russo, una spia dello zar. Nel 1835 Urquart fondò il settimanale “Portfolio” il cui scopo principale era aumentare il sentimento anti russo nella società inglese e danneggiare le buone relazioni tra Austria e Russia.

In questo contesto si inquadra la vicenda del Vixen. Grazie al trattato di Adrianopoli i russi vantavano diritto di sovranità sul territorio della Circassia e avevano imposto un blocco navale su tutta la costa orientale. La Gran Bretagna pur non riconoscendo questa sovranità non interveniva.

Urquhart, indignato da quella che considerava l’acquiescenza di Palmerston di fronte all’ennesimo tentativo russo di soggiogare un popolo indipendente e di bloccare il commercio con questa regione, organizzò la spedizione di un’imbarcazione battente bandiera inglese, il Vixen, contenente sale, da Costantinopoli al porto di Sujuk Kale, nel nord della costa circassa. Se la nave fosse stata sequestrata, Urquhart sperava che l’indignazione pubblica avrebbe spinto il governo a intervenire opponendosi alle pretese russe sulla regione. Si trattava di una azione fortemente provocatoria che però ebbe successo. Appena la notizia raggiunse Londra la stampa inglese si mobilitò ferocemente contro quella che venne interpretata come l’ennesimo episodio di infamia russa.

La guerra di Crimea

Dopo l’affaire Vixen, la russofobia inglese trovò un altro bersaglio: dalla “questione orientale” si passò al cosiddetto “great game” dove Russia e Inghilterra si scontravano per il controllo dell’Afghanistan e della Persia. Nonostante le diverse occasioni di scontro tra Russia e Inghilterra, non si arrivò a un conflitto diretto se non nel 1853 con la guerra di Crimea.

Il pericolo che l’Impero ottomano in declino fosse facilmente sconfitto dalla Russia è la causa scatenante. L’intervento britannico fu favorito dal sostegno dell’opinione pubblica inglese che per gli scritti e le idee di de Lacy e Urquhart era ormai violentemente russofobico, specialmente dopo la distruzione della flotta ottomana da parte della Russia nella battaglia di Sinope del 1853.

La guerra aveva radici anche nel riaccendersi nel 1849 della disputa sulla proprietà dei luoghi sacri in Palestina: per lo zar Nicola questo motivo religioso era veramente importante e dopo la sconfitta il popolo russo non perdonò l’Inghilterra di avere combattuto una potenza cristiana con l’aiuto di una potenza mussulmana.

In realtà la Russia era economicamente e tecnologicamente arretrata e quindi debole. La capacità di espandersi oltre le sue frontiere era quindi limitata e i suoi piani strategici erano in gran parte incoerenti; come tali non rappresentavano una minaccia reale per l’impero britannico. La russofobia non era giustificata ma si rivelò uno strumento efficace nel convincere la società inglese che la guerra contro la Russia era giusta da un punto di vista etico e che i nemici erano l’incarnazione del male, del sottosviluppo e della tirannia.

La diffusione della russofobia nell’Inghilterra vittoriana era pervasiva e coinvolgeva anche la narrativa. L’esempio più noto è il romanzo di Bram Stoker su Dracula in cui si descrive la lotta tra le forze imperiali britanniche e un nemico detestabile, slavo o russo. Stoker risponde agli stereotipi politici e sociali che uguagliano i russi e i loro vicini slavi con barbarie, ferocia e autocrazia orientale.

Dal Ventesimo secolo e dei giorni nostri

Dopo la rivoluzione bolscevica nell’ottobre del 1917 l’atteggiamento negativo nei confronti della Russia aumentò drasticamente. Il maggiore generale sir Edward Spears, ufficiale di collegamento a Parigi tra il ministero della Guerra francese e War Office inglese, riporta che le forze bolsceviche seppellivano persone vive, tagliavano carne da bestiame vivo, avevano gettato neonati da treni in corsa e massacrato infermi. Molti ufficiali erano convinti che il comportamento dei bolscevichi subito dopo la rivoluzione non era altro che un esempio della barbarie russa. Winston Churchill ammoniva che «il fantasma dell’orso russo avanza attraverso l’immenso campo di neve». Essere russi e comunisti era una combinazione terribile che alimentò la russofobia durante la seconda guerra mondiale.

L’Unione sovietica e la Gran Bretagna erano alleati ma Churchill affermò di «essere stato informato che i russi non erano per niente esseri umani» e avvertì che «sarebbe stato un disastro smisurato se la barbarie russa avesse sopraffatto la cultura e l’indipendenza degli antichi stati d’Europa». Alla fine del 1945 l’attaché militare a Varsavia commentò il comportamento dei soldati russi nella capitale polacca affermando che «sarebbe stato irragionevole aspettarsi standard anglosassoni da parte di una razza primitiva e largamente asiatica».

Durante la Guerra fredda gli Stati Uniti hanno dipinto la Russia sovietica come una minaccia maligna per la pace e la civilizzazione mondiale, culminando con il noto riferimento di Ronald Reagan all’impero del male.

Al di là delle giuste reazioni all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, le reazioni scomposte a cui si assiste in questi giorni da parte del governo britannico appaiono sempre di più una contemporanea variante dell’antica avversione.

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