Due paroline che pareva appartenessero a un'altra epoca della storia olimpica: asilo politico. È stata costretta a chiederlo Kristina Timanovskaya, velocista bielorussa classe 1996, vincitrice fra l'altro della medaglia d'oro alle Universiadi 2109 disputate a Napoli. Dal pomeriggio di domenica Timanovskaya è al centro di un caso diplomatico.

Condotta in aeroporto a Tokyo per ordine del comitato olimpico bielorusso, l'atleta ha rifiutato di imbarcarsi per fare ritorno in patria. Aveva paura di cosa potesse succederle. È stata posta immediatamente posta sotto la protezione della polizia e del comitato olimpico internazionale (Cio), quindi ha accettato l'offerta di asilo politico da parte della Polonia, dopo che si era fatta avanti anche la diplomazia della Repubblica Ceca.

Per la cronaca, l'atleta non si era resa protagonista di dissenso politico nei confronti del regime dittatoriale di Aleksander Lukashenko. Aveva soltanto criticato via social una scelta tecnica compiuta dallo staff degli allenatori della velocità che anche dall'esterno appare cervellotica. Ciò che una volta di più mette in evidenza le timidezze del Cio nella gestione delle relazioni politiche coi governi dittatoriali e autocratici.

Il dossier bielorusso è da mesi all'attenzione dei signori dei cinque cerchi. Ma le misure assunte nei confronti del comitato olimpico locale non hanno minimamente scalfito le condizioni che fanno di quel comitato olimpico l'ennesima leva di controllo del regime sulla società bielorussa.

La staffetta cambiata in extremis

Ma come nasce il caso? Tutto avviene nel giro di poche ore. I tecnici della velocità bielorussa non sono soddisfatti delle premesse fatte intravedere dalle ragazze che dovrebbero correre la staffetta 4x400. Inoltre emerge che alcune fra esse non abbiano superato un numero adeguato di test antidoping.

Per questo viene deciso repentinamente di cambiare la formazione della staffetta. A Kristina Timanovskaja, oltre alle gare di 100 e 200, viene imposto di correre la 4x400. Lei la prende male, per molti motivi. Innanzitutto perché i 400 non sono la sua gara. In secondo luogo perché le si richiede uno sforzo supplementare, per il quale ritiene di non avere energie. E infine perché questa scelta dei tecnici le pare una grave mancanza di rispetto nei confronti delle colleghe scartate.

Tutto il malumore dell’atleta viene espresso in un video postato su Instagram che scatena il putiferio. I responsabili della federazione bielorussa di atletica si vedono indirizzare un ironico «Fighi! Ben fatto!», mentre il tecnico della velocità Yuri Moisevich è accusato di avere «incasinato» la situazione nella gestione dei controlli antidoping. Risultato: ordine di rientrare immediatamente in patria. Con quali conseguenze per la libertà personale sarebbe stato tutto da vedere. Ma una volta giunta presso l'aeroporto Haneda di Tokyo, Kristina dice no alla partenza e si consegna in mani sicure. Da lì in poi parte il balletto di versioni e contro-versioni.

Anche il marito costretto a fuggire 

Sul fronte mediatico bielorusso scatta immediatamente l'opera di controinformazione. Si parla di asilo politico soltanto per smentire che sia stato concesso e inoltre viene fatta circolare la versione secondo cui l'atleta sarebbe stata allontanata dai Giochi perché in condizioni psicologiche ed emotive non adeguate. Ciò che sarebbe anche vero, ma non per le ragioni che la versione della federazione bielorussa vorrebbe portare avanti, legate a una presunta fragilità di Kristina.

Sembra più prossima alla verità la versione data dal marito Arsenyi Zdanevich: «L'hanno portata sull'orlo dell'isteria». Zdanevich ha rilasciato queste dichiarazioni da Kiev, Ucraina. Dove si trova da ieri pomeriggio, fuggiasco dal proprio paese. Nelle stesse ore in cui la moglie decideva di fare squatting nell'aeroporto di Tokyo e passarvi la notte sotto protezione del Cio, lui decideva di lasciare il paese perché ha ritenuto di essere a rischio ritorsioni. Nel corso dell'intervista confessa di aver riflettuto per non più di mezz'ora sull’idea di riparare all’estero. Trenta minuti per decidere di scombussolare una vita intera. Si vive così nella Bielorussia di Lukashenko.

Il pugno di cotone del Cio

Quali siano le condizioni dello sport sotto il regime dell'uomo che pretendeva di combattere il Covid con la sauna e con la vodka, il Cio lo sapeva bene. Tanto che nei mesi che hanno preceduto i Giochi il dossier relativo al comitato olimpico di Minsk è stato costantemente sul tavolo dei signori dei cinque cerchi.

Sempre pronti a minacciare sanzioni contro i paesi democratici i cui governi avessero delle minime ingerenze rispetto all'autonomia dello sport (ricordate le geremiadi d'inizio anno sul rischio che il comitato olimpico italiano venisse sospeso causa “invadenza” della politica?), i dirigenti del Cio lasciano poi che autocrati e dittatori facciano e disfino. Il caso bielorusso è stato al centro dell'interesse del comitato olimpico internazionale, per diversi motivi. Fra i quali il fatto che come presidente del comitato olimpico bielorusso fosse stato eletto Viktor Lukashenko, figlio del dittatore.

Ne sono sortite soluzioni di compromesso, che però ancora qualche giorno fa venivano giudicate insufficienti dal comitato olimpico internazionale, tanto da far suggerire ulteriori interventi. Nelle scorse ore i signori dei cinque cerchi, dal cui punto di vista i soli problemi legati alla politica possono essere presentati dal comportamento degli atleti, si sono svegliati dalla narcosi e hanno sfoderato il pugno di cotone. Tramite il capo della comunicazione Mark Adams hanno minacciato nuove sanzioni contro il comitato olimpico bielorusso in conseguenza del caso Timanovskaja. Roba da far tremare i burocrati sportivi di Minsk. Servirà loro una sauna e una buona bottiglia di vodka per riprendersi dallo shock.

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