I megaprogetti di riarmo annunciati da Keir Starmer vengono rafforzati dall'escalation Israele-Iran e dalle minacce di Teheran di attaccare basi britanniche in Medio Oriente. Una ruolo cruciale lo giocano i sottomarini atomici basati ad est della Scozia. L’analista Miles Pomper: «Nel lungo periodo Londra potrebbe sviluppare nuove testate da montare su missili da crociera»
Accendere la radio sul quarto canale della Bbc, controllare se Today è in onda come tutte le mattine dal 1958. Se non succede per più di tre giorni, la Royal Navy britannica autorizza il comandante di uno dei sottomarini nucleari in pattugliamento a pensare che il Regno Unito sia stato colpito da un attacco atomico. E a procedere con l'apertura della “Letter of Last Resort”, una lettera con istruzioni segrete scritta a mano dal primo ministro in carica, chiusa in una cassaforte. Contiene le disposizioni per procedere a un contrattacco nel caso in cui sia impossibile verificare se a Londra esista ancora una catena di comando.
Le lettere sono quattro, per i quattro sottomarini Ssbn Vanguard armati con missili balistici a testata nucleare che sono basati nell'est della Scozia. Uno di questi dal 1969 è in pattugliamento costante, «in immersione e non rilevabile», come si legge sul sito del governo britannico. È la missione Relentless, che si fonda sul principio Casd della deterrenza continua in mare - Continuous At Sea Deterrent - e che ancora oggi regge la postura di deterrenza nucleare della Gran Bretagna, insieme alla Francia l'unico paese in Europa ad avere armi di questo tipo.
Il super-riarmo
Postura che è appena stata rafforzata dal premier Keir Starmer, che a inizio giugno ha annunciato una serie di misure di riarmo che includono produzione continua fino a 12 nuovi sottomarini a propulsione nucleare, un esercito «10 volte più letale», una forza aerea di nuova generazione, 7.000 nuovi missili a lungo raggio e un piano da 20 miliardi di euro per rafforzare l'arsenale di missili nucleari. Il più «profondo cambiamento della Difesa del Regno Unito degli ultimi 150 anni», come è stato definito dal generale Barrons, che ha contribuito al testo. Un piano da 144 pagine per rendere la Gran Bretagna «più sicura a casa» e «più forte all'estero», come si legge dal titolo. Una esigenza data dal fatto che «la minaccia che affrontiamo oggi è più grave, più immediata e più imprevedibile dai tempi della guerra fredda», ha detto Starmer. Guerra in Europa, nuovi rischi nucleari, attacchi informatici, aggressività crescente russa in mare, ha aggiunto il premier. Sintetizzando che «la linea del fronte è qui».
Minacce iraniane
In più l'escalation Israele-Iran e le minacce di Teheran di attaccare basi Usa e britanniche in Medio Oriente hanno portato Starmer ad annunciare l'invio di squadre di Typhoon della Royal Air Force e aerei per rifornimento in volo a protezione della basi nell'area. Londra ha una base aerea a Cipro ad Akrotiri e basi anche in Qatar, Emirati arabi uniti e in Oman. Dal 1935 ha anche una base navale in Bahrain. «Le minacce odierne sono generalmente meno prevedibili, soprattutto a causa del maggior numero di attori potenzialmente coinvolti in conflitti, anche nucleari, che vanno oltre il classico asse Usa-Russia», dice a Domani da Washington l'analista Miles Pomper.
“Imperativi strategici”
L'annuncio di Starmer amplia la difesa in mare, che il documento definisce «un imperativo strategico per il Regno Unito». Come sottolinea Pomper, non si tratta solo di retorica, ma in parte di un vero cambiamento nell'inquadrare la questione della deterrenza nucleare in Gran Bretagna. «Si costruiranno ulteriori sottomarini d’attacco (Ssn) per difendersi da minacce ibride, come gli attacchi ai cavi sottomarini delle telecomunicazioni», mentre i quattro sottomarini Ssbn restano il pilastro della deterrenza in mare, racconta a Domani Pomper, che è Senior Fellow al James Martin Center for non proliferation studies.
In più per Starmer la deterrenza nucleare è la «garanzia finale» per la sicurezza, concetto che spiega una evoluzione dello scenario internazionale che ha inciso sul cambiamento delle politiche. «C’è stato un periodo in cui le armi nucleari del Regno Unito non sembravano più così necessarie, tanto che poco più di un decennio fa si parlava di eliminare del tutto la deterrenza, e il numero di testate fu ridotto», spiega Pomper a Domani. «La rinnovata minaccia russa dal 2014 e la retorica nucleare aggressiva da parte di Mosca hanno riportato le armi nucleari al centro della strategia», continua Pomper.
La svolta del 2022
Con un cambiamento netto dal febbraio del 2022, l'invasione russa su larga scala dell'Ucraina smentisce le parole pronunciate solo qualche mese prima da Boris Johnson - che parlava della fine dell'era «di grandi battaglie tra carri armati sul continente europeo» - e riporta gli alleati Nato a ridiscutere le politiche di difesa. Con una nuova centralità in Europa anche per Londra sul piano militare. «Poiché il Regno Unito è l’unico altro alleato Nato - oltre agli Stati Uniti - a dedicare esplicitamente le proprie armi nucleari alla difesa della Nato (l’arsenale francese è indipendente, anche se coordinato), i dubbi sull’impegno nucleare statunitense rendono l’arsenale britannico più importante», spiega Pomper. E sottolinea un aspetto decisivo della nuova strategia britannica. «Il riferimento, nella Strategic Defence Review, a una strategia britannica “Nato First” ne è una dimostrazione».
Il piano mette in atto le politiche di riarmo – 2,5 per cento del Pil in spese difesa e 3 per cento entro il 2034 – ed è stato accolto con entusiasmo dal Segretario Generale dell'Alleanza Atlantica Mark Rutte, in visita a Londra il 9 giugno. «Con questo approccio, il Regno Unito diventa un attore molto più centrale nella deterrenza nucleare della Nato, non più soltanto una riserva strategica o un elemento complicante per i piani russi», spiega Pomper.
E se la Francia continua a rilanciare l'idea di allargamento dell'ombrello nucleare, il ruolo della Gran Bretagna – con le sue 225 testate - è altrettanto centrale. «L’arsenale britannico è già formalmente esteso alla Nato», afferma sempre l’analista. «Quello che potrebbe cambiare ora è la sua concreta operatività, con l’eventuale acquisizione di nuove capacità pensate per questo tipo di missioni», spiega.
E ancora: «Nel breve termine, ciò potrebbe comportare il ritorno del Regno Unito agli accordi di condivisione nucleare con gli Stati Uniti, ad esempio integrando i jet F-35 britannici con bombe nucleari a caduta statunitensi», aggiunge. Ma l'imprevedibilità citata da Starmer apre a nuovi scenari, conferma l'analista a Domani. «Nel lungo periodo, Londra potrebbe sviluppare nuove testate proprie da montare su missili da crociera lanciati dall’aria».
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