A cosa serve oggi l’Onu? Questa è la domanda cruciale che bisogna porsi di fronte alla guerra in Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo recente discorso tenuto in videoconferenza al palazzo di Vetro di New York ha puntato il dito sull’Organizzazione fondata alla fine della Seconda guerra mondiale: «Mantenere la pace è il primo punto del primo capitolo della carta delle Nazioni unite. E invece non c’è pace né sicurezza in Ucraina, nonostante ci sia un Consiglio preposto a garantirla». Poi ha lanciato la sfida: «Rimuovete la Russia dai membri permanenti del Consiglio affinché non possa più mettere il veto sulle risoluzioni contro le sue aggressioni. Diritto di veto non può significare diritto di uccidere». Invitando a «trasformare il sistema di sicurezza internazionale attraverso una conferenza mondiale da tenere a Kiev per consegnare alle prossime generazioni una Onu efficace, capace di rispondere a chi mina la pace. Riformate il Consiglio: o scioglietevi del tutto», ha concluso il presidente ucraino provocatoriamente.

Immediata la replica della Russia. L’ambasciatore russo all’Onu, Vasily Nebenzya, si è rivolto a Zelensky affermando che le sue accuse sono «infondate e non confermate da testimoni oculari». Anche Papa Francesco ha parlato di “impotenza” delle Nazioni unite di fronte alla “guerra sacrilega” come aveva definito il conflitto durante il viaggio apostolico a Malta.

Russia sospesa

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Come a rispondere alle accuse di immobilismo e impotenza ieri l’Onu ha battuto un colpo. L’Assemblea generale dell’Onu ha infatti approvato con 93 voti a favore 24 contrari e 58 astenuti la richiesta degli Usa di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra.

Per il via libera serviva la maggioranza dei due terzi dei paesi votanti (dei 193 membri delle Nazioni Unite) e le astensioni non contano. Nella bozza di risoluzione - tra i cosponsor c’è anche l’Italia - si chiede di «sospendere il diritto della Russia di far parte» del Consiglio esprimendo «grave preoccupazione per la crisi umanitaria in Ucraina, in particolare per le notizie di violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario da parte di Mosca». Un timido passo nella giusta direzione. Basterà?

Pronta la dura reazione cinese. «Il dialogo e il negoziato sono l’unica via per uscire dalla crisi in Ucraina. Ci opponiamo fermamente alla politicizzazione delle questioni relative ai diritti umani», ha detto l’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, dopo il voto sulla sospensione della Russia.

Pechino è tra i paesi che hanno votato no. «Questa risoluzione aggrava le divisioni tra gli stati membri, aggiunge benzina al fuoco, e non aiuta i colloqui di pace». Insomma Pechino è uscita allo scoperto in difesa di Mosca ma ciò che conta è che lo ha fatto al palazzo di Vetro, di fronte a tutti gli altri paesi.

La richiesta del G7

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A chiedere che qualcosa cambiasse all’Onu era stato ieri il G7 scosso dalle notizie di crimini di guerra avvenuti in Ucraina sulla popolazione civile nonostante le smentite e le accuse di falsificazioni degli eventi da parte russa che rigetta ogni accusa. «Siamo convinti che ora sia il momento di sospendere l’adesione della Russia al Consiglio per i diritti umani». È quanto riportato nella dichiarazione dei ministri degli Esteri del G7 al termine della riunione tenutasi ieri a Bruxelles.

Ovviamente il fatto che la Russia non abbia ratificato il trattato (come gli Stati Uniti) che ha istituito la Corte penale internazionale rende più difficile assicurare i responsabili alla giustizia. Questo non è tuttavia l'unico ostacolo con cui gli investigatori che lavorano sul caso dovranno fare i conti.

Dall’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio, l’Assemblea generale ha adottato due risoluzioni promosse dagli occidentali: la prima (che ha ottenuto 141 voti a favore) denuncia Mosca per l'aggressione, la seconda sulla situazione umanitaria (140 i sì). In questo caso la situazione è stata molto più incerta perché sul tema dei diritti umani sono in molti a opporre resistenza al dibattito.

Solo cinque paesi avevano votato contro i testi precedenti: Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Siria ed Eritrea. Mentre gli astenuti erano stati rispettivamente 35 e 38 (tra cui la Cina). In questo caso le astensioni sono state molte di più, 58.

La Russia, intanto, ha sponsorizzato ieri mattina una riunione informale del Consiglio di Sicurezza per discutere ancora una volta la questione dei presunti laboratori biologici. Usa e Gran Bretagna l'hanno disertata.

La storia dell’Onu

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L’Onu ieri ha dato segni di risveglio ma la partita per il suo aggiornamento è ancora lunga. Le Nazioni unite sono state fondate il 24 Ottobre 1945 da 51 nazioni impegnate a preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale. Oggi, praticamente, fanno parte dell’Onu quasi tutte le nazioni del pianeta; in totale, 193 paesi.

Il sito dell’Onu ricorda che quando uno stato diviene membro delle Nazioni unite, esso accetta gli obblighi dello Statuto Onu, un trattato internazionale che fissa i principi fondamentali delle relazioni internazionali. Ma per fare cosa? Secondo quanto disposto dallo statuto, l’Onu svolge quattro funzioni: mantenere la pace e la sicurezza internazionali, come ha ricordato provocatoriamente il presidente ucraino Zelensky; sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni; cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani; rappresentare un centro per l’armonizzazione delle diverse iniziative nazionali. A giudicare dai risultati l’obiettivo non è stato raggiunto.

L’Onu però ricorda, a sua discolpa, che «i membri dell’Onu sono degli stati sovrani. Le Nazioni unite non sono un governo mondiale e non legiferano. Esse, tuttavia, forniscono i mezzi per aiutare a risolvere i conflitti internazionali e formulano politiche appropriate su questioni di interesse comune».

Insomma fanno quelle che possono con i mezzi che hanno in un mondo imperfetto. Ma c’è di più. Secondo l’Onu non tutti i paesi, come nella “fattoria degli animali” di George Orwell, sono uguali: qualcuno è più uguale degli altri e hanno un diritto di veto con cui possono bloccare una deliberazione da parte della maggioranza, un diritto riservato in seno al Consiglio di sicurezza a ciascuno dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina).

Secondo le intenzioni delle Nazioni unite tutti gli stati membri - grandi e piccoli, con differenti visioni politiche e sistemi di governo - fanno valere i propri diritti e votano per dar forma alle politiche della comunità internazionale. Ma questa voce viene sentita da chi fa il prepotente? Non sempre.

L’Onu nasce dalle ceneri della Società delle nazioni, progetto fortemente voluto dal presidente statunitense Woodrow Wilson. La Società fallì il suo scopo in seguito all’invasione giapponese della Manciuria nel 1933 e all’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia.

Dopo la Seconda guerra mondiale il presidente democratico Franklin D Roosevelt ci riprovò: il testo della Dichiarazione delle Nazioni Unite fu redatto alla Casa Bianca il 29 dicembre 1941 da Roosevelt, dal primo ministro britannico Winston Churchill, che poi estesero nel 1942 all’Urss e alla Cina la proposta che venne accettata. Così il 25 aprile del 1945 si aprì a San Francisco la Conferenza per le Nazioni Unite. Successivamente venne scelta New York come sede principale accompagnata da Ginevra, Vienna e Nairobi.

Nonostante le buone intenzioni sono comunque numerosi gli insuccessi sul campo: dal fallimento in Somalia dopo la tragica battaglia di Mogadiscio, a quella in Bosnia che non fermò la pulizia etnica in corso, alla missione di assistenza delle Nazioni Unite per il Ruanda nel 1994, incapace di fermare il genocidio anche a causa delle divisioni del Consiglio di sicurezza.

Che l’Onu abbia bisogno di un reset profondo è indubbio, ma è altrettanto certo che la sua assenza o marginalizzazione potrebbe solo aggravare i problemi perché mancherebbe un forum globale accettato da tutti dove sfidarsi e confrontarsi e, se possibile, accordarsi.

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