Intervista al Vicario della Custodia Terra Santa: «Il presidente americano deve trovare una soluzione complessiva, la sua idea di una “riviera” a Gaza invece complica tutto. Anche in Cisgiordania c’è tanta violenza. Tanti israeliani sono favorevoli ad uno Stato palestinese, ma l’unica voce che si sente è quella dei fanatici»
Padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, è da anni impegnato come mediatore di pace tra israeliani e palestinesi. Nel 2002, il francescano di origine egiziana difese, insieme ad altri frati minori, la Basilica della Natività a Betlemme dove si erano rifugiati circa 240 tra miliziani palestinesi e civili durante la Seconda intifada.
Questa settimana si è recato a Ashdod, nel sud di Israele, il per partecipare alla cerimonia di accoglienza del carico di aiuti inviati dall’Italia, insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani e alla ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini. Domani lo ha incontrato nella sede della Curia all’interno della Custodia di Terra Santa nel quartiere cristiano della città vecchia di Gerusalemme.
Padre Faltas, che ne pensa del piano del presidente Trump per il futuro di Gaza?
Mi aspettavo da lui che trovasse una soluzione per tutto il problema israelo-palestinese. Invece con questa proposta complica il problema, perché vuole portare la gente via da dove sono nati e vissuti. E poi non torneranno più. Questo non è giusto. Devono aiutare le persone a restare nella loro terra. Lui deve trovare una soluzione a tutto il problema. Ha parlato solo di Gaza. Ma ora, ci sono tanti morti anche in Cisgiordania, ci sono tante persone senza un tetto. A Jenin, a Tulkarem. Gli chiedo veramente di trovare una soluzione a tutto il problema che dura da più di 70 anni. È vero Gaza è distrutta e non si può vivere lì in questo momento. Che colpa hanno queste donne e questi bambini, anziani che sono stati uccisi? Non avevano nessuna colpa. Hanno perso la casa, hanno perso i figli, i fratelli, i genitori.
Hanno perso tutto. E poi alla fine viene proposta una soluzione del genere? Se Trump vuole fare una cosa per passare alla storia, deve trovare una soluzione a tutto il conflitto. Ci sarà uno stato palestinese sì o no? Tutti sanno che la soluzione è di avere due stati per i due popoli. Anche altri presidenti americani l’hanno detto, ma da lui non ho sentito questo.
Qual è la situazione dei cristiani rimasti a Gaza?
Non arrivano a 600 persone, rifugiati presso una chiesa latina e una ortodossa. Prima della guerra erano circa 5mila. Non sono tutti morti, molti sono riusciti a lasciare la Striscia. Gli altri vogliono tutti rimanere. La maggior parte sono da 16 mesi ospiti del convento della Sacra Famiglia del Patriarcato Latino. Puoi immaginare quanto sia difficile. Gli manca tutto. E tutti hanno perso le loro case.
Pensa che paesi come la Giordania o l’Egitto accetteranno di accogliere gli abitanti di Gaza nell’ambito della proposta di Trump?
Mi pare molto difficile. Il re di Giordania parlerà con Trump e vedremo che cosa ne uscirà. Sicuramente incontrerà anche il presidente egiziano. Non penso che possano accettare una proposta del genere. Inoltre, gli abitanti di Gaza sono tutti profughi. Non vogliono rivivere lo stesso trauma. Una volta andati via non torneranno mai più. Lui pensa di trasformarla in una riviera… Basta vedere i vari video di abitanti di Gaza, anche di molti bambini, che hanno risposto all’idea di Trump.
Come sono cambiati i rapporti tra cristiani ed ebrei in Terra Santa dopo il 7 ottobre?
È cambiato tutto. Gli israeliani vedono i cristiani solo come arabi. Prima c’erano buoni rapporti. Ora c’è paura, diffidenza. Non parlo della chiesa, parlo della gente. Prima si frequentavano, andavano a cena insieme. Ora non lo fanno più.
E con la Chiesa sono cambiati i rapporti?
La Chiesa deve essere vicina al popolo. La gente sta soffrendo, quindi la Chiesa ha chiesto aiuto allo Stato israeliano. Per esempio, per i permessi per venire a lavorare in Israele dalla Cisgiordania. Ma non li stanno dando. Prima della guerra migliaia di persone venivano ogni giorno a lavorare in Israele. Dal 7 di ottobre non possono più farlo. La maggior parte dei cristiani lavorano nel settore del turismo. Ma ora è tutto bloccato. La gente ha perso il lavoro. Anche quelli che venivano dalla Cisgiordania hanno perso il lavoro. Moltissimi cristiani di Betlemme se ne sono andati e tanti altri se ne vogliono andare. 147 famiglie sono già andate via. Sedici mesi senza lavoro, senza entrate, senza niente. La gente sta malissimo. Se a Gaza non c’è il pane e la gente muore di fame, a Betlemme c’è il pane, ma la gente non ha i soldi per comprarlo. Anche la Cisgiordania è diventata un carcere a cielo aperto, è molto difficile entrare e uscire.
Ci sono molti più checkpoint israeliani.
Certo. Ora ci sono zone interamente isolate. Inoltre, ci sono problemi coi coloni.
Le comunità cristiane hanno sperimentato episodi di violenza?
La violenza nei confronti di tutti i palestinesi è aumentata moltissimo. Le distruzioni delle loro proprietà, dei loro campi e delle loro attività. In tanti si sono rivolti ai tribunali israeliani, ma i tempi sono molto lunghi. Non sappiamo cosa succederà.
E nella città vecchia di Gerusalemme, dove le varie comunità religiose vivono una accanto all’altra, le cose sono cambiate?
C’è tensione. Tra arabi e israeliani, c’è tensione. Ma ci sono anche situazioni felici. Noi, nella città vecchia abbiamo dato 427 case gratis ai cristiani per farli vivere qui. Abbiamo anche una scuola, all’interno della Custodia, dove studia e lavora gente che parla ebraico, arabo e inglese. Sono ebrei, cristiani e musulmani che studiano musica insieme. Senza problemi. 200 persone compresi gli insegnanti. La musica è la loro lingua comune. La musica unisce, come lo sport. In tutta la terra Santa noi gestiamo 18 scuole, solo a Gerusalemme sono cinque.
Chi crede ancora in Terra Santa alla soluzione dei due Stati?
Non è vero che gli israeliani non ci credano più. I fanatici, questi estremisti di destra, non la vogliono. Io ne conosco tanti di israeliani che sanno che questa è l’unica soluzione. Il problema è che la voce che arriva è solo quella degli estremisti. E tutti i palestinesi ci credono.
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