Da giorni in Italia e anche in alcune (poche) testate straniere circola una notizia tanto sensazionale quanto falsa.

Un gruppo di Talebani avrebbe decapitato una giovane pallavolista afghana di nome Mahjubin Hakimi, giocatrice della squadra della Municipality di Kabul. Il fatto sarebbe accaduto a inizio ottobre nella capitale del paese, ma la notizia è circolata solo nei giorni scorsi dopo essere stata pubblicata dall’Independent Persian, testata legata al gruppo dell’Independent britannico. 

Il giornale cita come fonte principale una delle allenatrici squadra di pallavolo, che sotto pseudonimo ha raccontato della decapitazione dell’atleta. Un’esecuzione macabra rimasta in sordina nelle ultime settimane perché i famigliari della vittima erano stati minacciati dai Talebani.

Il giro della notizia

Una volta pubblicata, con tanto di foto della giovane sbandierata ovunque, la news è stata ripresa dai più autorevoli giornali indiani prima di arrivare in Europa. In Italia, Ansa e Agi hanno diffuso le loro agenzie stampa, che sono state riprese anche dai quotidiani nazionali, che hanno pubblicato commenti e analisi legata alla notizia. Il quotidiano La Repubblica ha dato la notizia nel giornale del 21 ottobre in prima pagina con il titolo “Orrore afghano giovane pallavolista fatta decapitare” con un richiamo all’interno della sezione mondo del giornale. Il Corriere della Sera cita addirittura come fonte che conferma i fatti l’ex ct della nazionale italiana di volley Mauro Berruto, oggi responsabile sport del Partito democratico.

Normale amministrazione, se non fosse che più fonti locali smontano la notizia orginariamente data dall’Independent Persia, derubricandola a fake news. Tra questi c’è Miraqa Popal, ex direttore di Tolonews, una delle testate afghane più autorevoli che il 17 agosto, due giorni dopo la presa di Kabul, continuava a far condurre il telegiornale alle sue giornaliste donne. 

Secondo Popal, Mahjubin Hakimi si sarebbe suicidata prima della presa di Kabul da parte dei Talebani, in un periodo in cui lui era ancora direttore della redazione prima di lasciare il paese. In un thread su Twitter Popal dice: «La nuova sede londinese di Afghanistan International TV @AfgIntl e l’Independent Persian @indypersian dovrebbero fare attenzione ad affidarsi alle voci di Facebook. Ho visto diverse storie non vere nelle ultime settimane pubblicate sui entrambi i media».

Non è il solo, anche Mohammed Zubair, fact-checker e fondatore di Altnews ha pubblicato sul suo profilo Twitter un lungo articolo della redazione in cui accusava i media indiani di aver diffuso una fake news priva fondamento. 

Nell’articolo vengono citate dichiarazioni dei suoi famigliari, alcuni loro post e foto pubblicati su Facebook e Twitter. Il risultato che ne esce fuori è una vicenda complicata in cui non si può dire con certezza quali siano state le cause della sua morte, se per suicidio o se è stata uccisa da un suo parente.

Ma in tutta la marasma ci sono due punti fermi: Mahjubin Hakimi non è stata decapitata dai Talebani e la sua morte risale ai primi giorni di agosto prima della presa di Kabul da parte dei talebani. A testimoniarlo c’è anche una foto della sua lapide, che secondo Altnews, citando i famigliari, si trova a Kabul.

Resta da provare a capire il perché l’Independent Persian abbia pubblicato la notizia e come mai le nostre agenzie stampa e i quotidiani l’abbiano ripresa a cuor leggero senza cercare di fare un controllo con le proprie fonti. Sulla Stampa, Francesca Mannocchi ha anche commentato la tragica notizia falsa con un richiamo all’etica giornalistica: «Cosa fa di un evento una storia, una notizia? Un testimone, una fonte storica, affidabile, che possa osservare, resocontare, interpretare un evento, una lacerazione individuale e collettiva provocata da una violenza estrema, così che diventi memoria culturale. Questo siamo chiamati a fare noi giornalisti. Cercare documenti. Vedere. Raccontare», ha scritto Mannocchi.

Independent Persian

Il gruppo editoriale che controlla l’Independent Persian ha firmato nel 2018 un accordo con una società editoriale saudita, la Saudi Research and Marketing Group, che, secondo il Guardian, ha legami stretti con il principe ereditario Mohammed bin Salman. 

Secondo l’accordo, gli arabi hanno fornito il proprio personale per alcuni siti dell’independent lanciati in lingua araba, turca e persiana, appunto. Una scelta che comunque non è stata presa bene da una parte dello staff dell’Indipendent britannico, viste le violazioni dei diritti umani e le limitazioni alla libertà di stampa che occorrono in Arabia Saudita.

Ad oggi, la direttrice della testata persiana è la giornalista Camelia Entekhabifard una giornalista iraniana che vive a New York, da sempre vicina alle tematiche delle donne nel mondo arabo. In passato ha lavorato anche per la Associated Press, Reuters ed è diventata columnist di Arab News. Eppure, nonostante l’esperienza, è stata tra le prime a pubblicare su Twitter la notizia del suo giornale.

La stampa estera

La fake news non è circolata soltanto in Italia, ma anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti dove è stata ripresa da testate scandalistiche come il Daily Mail e il New York Post. A mantenere cautela sono stati invece i grandi dell’informazione come il Guardian, il New York Times e il Washington Post: nei loro siti non c’è traccia della notizia. Un indicatore che già doveva far suonare un allarme nelle testate italiane. 

Che la notizia fosse falsa non cambia la gravità della condizione delle donne in Afghanistan. All’interno dell’articolo incriminato, l’allenatrice citata sotto pseudonimo ha chiesto aiuto per le atlete afghane affinché vengano evacuate dal paese. 

È doveroso aiutarle, così come aiutare chiunque sia minacciato dalla furia e dal terrore dei Talebani. Ma riportare una fake news cruenta e sensazionale farà bene a una causa giusta?

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