Dal Sud Sudan al Congo, Bergoglio ha levato la sua voce contro lo sfruttamento, lo schiavismo e per i diritti del continente. È il papa che più di tutti ha "africanizzato” il collegio cardinalizio: una scelta che peserà sull’elezione del successore
Jorge Bergoglio veniva «dalla fine del mondo», come ebbe e a dire in occasione del primo saluto subito dopo la nomina, ma da un contesto che, seppur colonizzato e parte del Sud globale, era molto differente dall’Africa.
Ugualmente, in dodici anni di pontificato, Francesco ha progressivamente saputo e voluto porre l’Africa al centro della chiesa e ha contribuito a inserirla nell’agenda geopolitica internazionale.
Con la sua insistenza sull’essere chiesa in "uscita” e sulla necessità di raggiungere le periferie fisiche ed esistenziali, l’ultimo papa ha inteso e fatto intendere che il futuro della sua chiesa e del mondo intero si giocassero lì e ha gradualmente assunto una coscienza più chiaramente decolonizzata anche grazie al contributo che alla chiesa universale hanno dato figure emergenti di prelati africani.
Francesco passerà alla storia come il papa che più di tutti ha "africanizzato” il collegio cardinalizio: ha creato in tutto 18 cardinali provenienti o residenti in Africa. Ha nominato più cardinali africani lui in 12 anni che i suoi due predecessori in 35: 18 contro 16. Dei 252 cardinali viventi al momento, solo 135 hanno diritto di voto nel conclave. Di questi 18 sono africani (15 creati da Francesco).
Nel C9, il Consiglio dei cardinali suoi collaboratori più stretti, ha voluto il cardinal Friedolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa ed esponente di spicco di una chiesa africana che comincia ad avere un peso e che qualcuno immagina come possibile papa nero.
Quando decise di istituire il Giubileo straordinario della Misericordia, Bergoglio inaugurò l’anno santo volando a Bangui, capitale del Centrafrica, e aprì lì la porta santa della cattedrale il 29 novembre 2015, in un periodo in cui il paese viveva un conflitto durissimo.
Forte espansione
Francesco ha ereditato un cattolicesimo africano in forte espansione. Dal 1980 ha registrato un incremento nel numero di battezzati che rasenta il 250 per cento. L'Africa comprende il 20 per cento dei cattolici del pianeta e il numero di fedeli è passato da 272 milioni nel 2022 a 281 milioni nel 2023, con un aumento del 3,31 per cento.
Ma l’attenzione di Francesco per l’Africa non va ascritta solamente ai numeri in ascesa. Il papa argentino ha guardato all’Africa, oltre che con gli occhi del pastore, con quelli dello statista, del mediatore di pace e giustizia.
Ha seguito con costante attenzione le tante emergenze umanitarie in quel continente non solo facendo i classici appelli all’Angelus ma attuando una serie di strategie e gesti importanti se non clamorosi. Come quando, nell’aprile del 2019, nell’imminenza della settimana santa, invitò a Roma, ufficialmente per un ritiro spirituale, il presidente della Repubblica del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit e il vicepresidente - e nemico storico - Riek Machar. Il più giovane paese al mondo (si è reso indipendente dal Sudan nel 2011) viveva dal 2013 una spaventosa guerra spesso oggetto di apprensione del pontefice.
Al termine degli incontri tenutisi a Casa Santa Marta, Bergoglio, tra lo sgomento di tutti gli astanti, a cominciare dal personale del cerimoniale, si inchina e bacia i piedi a tutti i presenti.
Il gesto, compiuto su leader politici dal curriculum bagnato di sangue, e le parole successive «Vi esorto a cercare ciò che vi unisce, a partire dall’appartenenza allo stesso popolo, e superare tutto ciò che vi divide» ha un forte impatto e contribuirà a una successiva relativa pacificazione e alla tenuta (purtroppo con recenti e gravi scricchiolii, ndr) del governo di unità nazionale.
Papi in viaggio
Giovanni Paolo II è andato 14 volte in Africa e visitato 42 stati (in un pontificato di oltre 27 anni). Benedetto XVI è andato solo due volte in Africa (Camerun, Angola e Benin) in otto anni. Francesco in 12 anni ha visitato 10 paesi africani: Kenya, Uganda e Centrafrica nel 2015, l’Egitto nell’aprile 2017, il Marocco, il Mozambico, il Madagascar e Mauritius nel 2019 e Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo tra la fine del gennaio e l’inizio del febbraio 2023.
I viaggi, il vento africano portato nel collegio cardinalizio o in occasione del Sinodo sulla Sinodalità (2021-24), la nomina di tanti nuovi vescovi africani, hanno contribuito a cambiare la visione del papa del continente che ha assunto sempre più negli anni, accanto a quello pastorale, un profilo geopolitico.
Già in Centrafrica, nel 2015, decise di deviare verso uno dei quartieri musulmani di Bangui fino a quel punto off-limits per qualsiasi cristiano, e incontrare la popolazione inscenando un gesto di richiamo alla concordia tra fedi in un momento in cui le tensioni religiose nel paese avevano raggiunto dimensioni spaventose. La visita condusse a un accordo di tregua (una pace più solida fu raggiunta cinque anni dopo).
In Marocco Francesco richiamò senza mezzi termini il Re Mohammed VI a «rispettare i diritti dei migranti». In Madagascar, in un paese dilaniato da problemi ambientali, si scagliò contro i devastatori della terra. Ma il capolavoro politico africano di Francesco, si compie nel corso del viaggio in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo del 2023.
Nel discorso pronunciato nell’incontro con le autorità e la società civile a Kinshasa il 31 gennaio - passato alla storia come il manifesto panafricanista e anticoloniale di Bergoglio - riassunse la visione che la chiesa e il mondo dovrebbero finalmente assumere nei confronti dell’Africa, depurata da razzismo, sfruttamento, schiavismo.
Spine nel fianco
In «Giù le mani dell’Africa!», lo slogan gridato dal grande stato centro-africano, gravato da instabilità politica e povertà endemica sebbene sia il più ricco di materie prime al mondo, unitamente a «Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare» c’è tutto il credo dell’ultimo papa maturato dopo anni di contatto fisico e morale con il continente.
L’Africa, più recentemente, ha rappresentato anche una grossa spina nel fianco di Francesco. Nei primi mesi del 2024, all’indomani della pubblicazione del documento Fiducia Supplicans che autorizzava la benedizione delle coppie dello stesso sesso, in Africa ci fu una vera e propria sollevazione.
Le conferenze episcopali insorsero, in alcuni casi minacciando lo scisma. Il Cardinal Ambongo, arcivescovo di Kinshasa e fedele consigliere, dovette prendere il primo aereo per Roma e mediare un compromesso. Alla fine il papa dovette fare un passo indietro e dichiarare: «Per loro, l'omosessualità è qualcosa di 'brutto' da un punto di vista culturale; Non lo tollerano».
Nel prossimo conclave, quindi, i 18 cardinali africani votanti avranno di sicuro un peso maggiore rispetto ai precedenti, non solo in termine numerico ma anche politico. Su alcuni temi come giustizia sociale, affrancamento da culture coloniali ed eurocentriche, ambiente, migranti potrebbero essere molto in linea con Francesco.
Ma su argomenti più pastorali o dottrinali alcuni esponenti africani, primo fra tutti il guineano Sarah, faranno valere posizioni molto più conservatrici. Tutti, però, conservatori e progressisti africani, dovranno in qualche modo una nuova rilevanza proprio a papa Francesco.
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