Tra le critiche più frequenti nei confronti del pontefice argentino c’è quella di una presunta «ambiguità» sul conflitto in Ucraina, a cominciare dalla famosa frase sulla «Nato che abbaia». In realtà il papa ha sempre parlato con chiarezza della Russia come del «paese invasore», insistendo sulla necessità del dialogo. Era «il linguaggio di Gesù», da non confondersi con quello della politica
Anche nelle pagine di questo quotidiano, l’eredità politica, spirituale e culturale di papa Francesco è stata oggetto di analisi, di sinceri apprezzamenti e di critiche, volte a individuare una certa «irrilevanza», «ambiguità» e un «grave errore» del pontefice nella guerra in Ucraina. In sostanza, i detrattori considerano le dichiarazioni di Bergoglio come “filorusse”, e, come tali, hanno messo in grave difficoltà la Santa Sede che ora, con la scelta del suo successore, potrebbe riparare al danno di immagine attraverso una nuova figura che abbia «una visione chiara e il più possibile condivisa per restituire un ruolo autorevole alla Chiesa».
Ma quali sono queste dichiarazioni? La più significativa è stata la frase che Francesco ha ripreso da un capo di Stato, sulla «Nato che sta abbaiando ancora alle porte della Russia», non capendo che «i russi sono ancora imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro», lasciando intendere che i leader occidentali non avrebbero compreso che era meglio non provocare, ma semmai impedire che la Russia invadesse l’Ucraina.
Una pace possibile
Se prima di scrivere si facesse una breve ricerca su Google, emergerebbe che il Papa ha sempre parlato di Russia come «paese invasore», ma ha sempre ritenuto che il dialogo e la mediazione fossero l’unica «potente arma» per evitare la degenerazione del conflitto con migliaia di morti, torture e, ora, con il rischio che non si arrivi né a una pace «giusta», né a una «duratura», ma ad una «possibile» che potrebbe implicare una vera e propria resa ucraina.
Come ha ricordato lo storico Giovanni Savino, nel marzo 2022, il pontefice ha consacrato la Russia e l’Ucraina al Cuore immacolato di Maria, gesto ripetuto nella Via Crucis del 15 aprile, affidando la croce a due donne di origine ucraina e russa, simbolicamente unite per la pace, ripetendo il gesto un anno dopo con le meditazioni di due giovani. Una situazione che aveva generato forti critiche da parte dei greco-cattolici ucraini nella persona dell’ambasciatore, Andrii Yurash, presso la Santa Sede, ma che sono ben lungi da poter giudicare un’accondiscendenza del papa verso Vladimir Putin.
Al contrario, Bergoglio ha criticato aspramente la Chiesa ortodossa russa che ha dimenticato il «linguaggio di Gesù» per sostituirlo con la «lingua della politica», definendo il patriarca russo Kirill come il «chierichetto di Putin», cancellando il momento storico della dichiarazione congiunta del patriarca e del papa nel 2016 all’Avana che aveva avviato un proficuo dialogo ecumenico tra le parti.
Dall’inizio della guerra papa Francesco ha incontrato il presidente ucraino per sostenere la «necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione» e facilitare il rientro di circa 20 mila bambini ucraini sfollati/deportati in Russia attraverso l’invio del cardinale Matteo Maria Zuppi a Mosca.
La lettera agli ucraini
Il 24 novembre del 2022 il Pontefice ha inviato una “lettera al popolo ucraino”, ricordando il «terribile genocidio dell’Holodomor», chiedendosi «come possono degli uomini trattare così altri uomini»? E altri interventi del pontefice ribadiscono che «chi invade è lo Stato russo, questo è molto chiaro». Tuttavia, Bergoglio riteneva necessario dialogare anche con l’invasore Putin perché il dialogo e la fede cristiana sono profondamente interconnessi.
Chi critica le diverse azioni intraprese da papa Francesco dimentica, deliberatamente o meno, che ogni papato, anche quello di Giovanni Paolo II, ha sempre assunto posizioni pacifiste.
Come ha rilevato recentemente il nunzio apostolico di Kyiv (ma lituano), Visvaldas Kulbokas, «Bergoglio capì per primo l’esigenza del dialogo con Putin, ma non era filorusso», così come, non ci sono Angelus in cui il pontefice non si sia mai dimenticato di pregare per l’Ucraina, associando l’aggettivo «martoriato» al popolo ucraino. Quel popolo, anche di alcune comunità ortodosse, che alla notizia della morte di Bergoglio, che «ha scosso tutta l’Ucraina», si sono riunite per pregare in diverse chiese del paese.
Ma, davvero, si pretendevano parole di guerra e di riarmo da un pontefice? O, forse, siamo giunti ad una polarizzazione del dibattito che non perdona nemmeno ad un papa di uscire dalla narrazione mainstream? È bene ricordare che nelle democrazie vige ancora la libertà di espressione: etichettare/diffamare chiunque cerchi di far ragionare i politici e l’opinione pubblica con serie argomentazioni, è promotore della cultura dell’odio e della degenerazione illiberale dei nostri sistemi politici.
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