Peacekeepers e garanzie. Si fa presto a dire pace

Eserciti di 26 paesi pronti a garantire insieme agli Stati Uniti supporto a Kiev con interventi «via terra, via mare e via aerea», con truppe da mobilitare in poche ore, pattugliamenti navali, scudo aereo. C’è stato un momento a settembre in cui il dibattito sulla forma da dare alla “coalizione dei volenterosi” sembrava poter essere una concreta base negoziale per il cessate il fuoco in Ucraina. Meno di tre mesi dopo si discute di concessioni di territori a Mosca a tavolino, di come dividere il controllo di una centrale nucleare, di quanti soldati in meno debba avere l’esercito di Kiev e di caccia Nato in Polonia, che però di fatto sono sempre stati in Polonia. Tra i punti non c’è esplicito riferimento alla eventuale presenza di una forza internazionale. Nelle bozze c’è un punto sulle «garanzie di sicurezza» per Kiev, ma la formula – nel piano europeo – non specifica nulla di più che definirle “robuste”. «Penso sia estremamente improbabile che qualunque presenza europea in Ucraina venga inserita in un piano accettabile per tutte le parti», spiega in un’intervista a Domani l’analista ed esperto in proiezione di potenza della Russia alla Chatham House di Londra, Keir Giles. «Questo perché i paesi della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” non vogliono inserirsi nella situazione in Ucraina prima che la guerra sia finita. Questa riluttanza – o incapacità – a fare qualcosa di realmente incisivo sul conflitto suggerisce che nessun leader europeo abbia il coraggio o la fiducia nelle proprie forze armate per confrontarsi con la Russia in questo modo», conclude Giles. Ucraina sul filo del rasoio. Trump: «Accordo vicino», Mosca verso il no al piano La posizione di Macron Il 25 novembre, due giorni dopo la controproposta europea al piano Usa, il presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista ha parlato di una forza – l’ha chiamata “les forces de réassurance” – da schierare anche a Odessa o Kiev «lontano dalla zona del fronte», aggiungendo l’inciso che nei piani europei «mai abbiamo previsto di essere nella zona del fronte, poiché non è il nostro ruolo». Ha parlato di soldati francesi ed europei – «britannici, francesi, turchi» - che svolgeranno «addestramenti, operazioni di messa in sicurezza, come d’altronde facciamo in alcuni paesi sul fianco est della Nato» e di «una forza di rassicurazione aerea». La condizione è che sarà tutto schierato «il giorno in cui la pace sarà firmata». Tutte queste cose nel piano europeo – presentato anche dalla Francia – non sono state messe per iscritto. Come spiega da Washington Mark Cancian – senior adviser al Center for Strategic and International Studies – in una intervista a Domani, questa forza «non era nella risposta europea ai 28 punti. Quindi, questo mi dice che Macron non è stato in grado di convincere gli altri paesi a includerla». Nelle proposte europee tra i punti c’è il garantire per iscritto che la Nato non farà stazionare truppe dell’Alleanza atlantica in Ucraina. Per Macron «sarà un caso diverso perché non si tratta della Nato: è una coalizione intergovernativa». Ucraina e dazi, il doppio ricatto di Trump all’Ue: sicurezza a caro prezzo e attacco alle regole Minaccia o deterrenza Cancian sostiene invece che qualsiasi forza esterna in campo sarebbe considerata da Mosca come una minaccia. «La vedrebbero come Nato, non come una forza multilaterale, ma come la Nato che si spinge ulteriormente verso est e li minaccia ancora di più», spiega a Domani. «Il problema fondamentale con una forza di peacekeeping nel post-guerra è che qualsiasi forza dotata di sufficiente potenza militare da proteggere l’Ucraina sarebbe inaccettabile per i russi. I russi accetterebbero al massimo una forza di monitoraggio della pace, non progettata per il combattimento ma solo per osservare e riferire», sottolinea Cancian, aggiungendo come potrebbero essere coinvolti paesi come Turchia e India. «Il punto chiave è che la Russia metterà alla prova e attaccherà qualsiasi forza che ostacoli i suoi obiettivi», spiega a Domani ancora Keir Giles. Secondo l’analista gli esempi recenti non sono replicabili nel contesto attuale, con una guerra ad alta intensità che va avanti da quasi quattro anni. I modelli di riferimento non possono essere né quello degli osservatori della Special Monitoring Mission to Ukraine dell’Osce – dispiegati nel 2014 in Ucraina – né quello delle squadre di monitoraggio della European Union Monitoring Mission, mandati in Georgia a ottobre del 2008. «Queste missioni venivano regolarmente prese di mira dalle forze russe. E per via del loro mandato, non potevano fare nulla», spiega l’analista a Domani. «Perciò, qualsiasi forza inserita in Ucraina deve essere una forza vera, non una missione, e deve essere abbastanza protetta da impedire alla Russia di pensare di poterla attaccare senza conseguenze». Il ché vorrebbe dire una forza in grado di rispondere al fuoco. Niente tetto all’esercito, no al ritiro di Kiev: Ucraina e Usa riscrivono il piano Trump I modelli e i numeri Secondo Cancian «i modelli di successo sono quelli in cui ci sono forze da combattimento sostanziali. Gli Stati Uniti hanno ancora forze da combattimento in Corea, per esempio. Gli Stati Uniti, la Nato, inviarono forze da combattimento in Bosnia e in Kosovo. Quelli ebbero successo», spiega a Domani. Su dove schierarli, Odessa o Kiev poco cambia perché – dice a Domani - «avere forze in Ucraina invia un forte messaggio politico indipendentemente da dove siano. Le forze possono muoversi molto rapidamente». E «tre brigate sarebbero una dimensione sufficiente a convincere la Russia che gli altri paesi fanno sul serio», spiega Cancian che è ex colonnello dei marines con più di trent’anni di carriera nell’esercito Usa, tra Vietnam e Iraq. L’analista Kirill Shamiev in un suo commento per l’European Council on Foreign Relations ha parlato di una forza Ue tra i tra i 10.000 e i 40.000 uomini come numeri realistici. Che «rischia però di essere insufficiente e di trasformarsi in un bersaglio facile per gli attacchi russi», sostiene. In un report dell’Iss di Washington si ipotizza una forza schierata dai “volenterosi” con «una capacità militare europea almeno sufficiente a difendere se stessa». E tre opzioni possibili: 10.000 soldati, o una divisione da 25.000 unità oppure un corpo d’armata fino a 100.000 soldati, supportati da navi e aerei. Lo scenario è quello di forze «dispiegate visibilmente in città ucraine o presso infrastrutture critiche per aumentare la deterrenza contro violazioni russe del cessate il fuoco pur aumentando l’esposizione ad eventuali attacchi», si legge nel report. E in caso di una forza per garantire una zona cuscinetto, ipotizzano «una forza superiore al corpo Nato da 60.000 uomini che svolse questo ruolo in Bosnia-Erzegovina nel 1995–96, su una linea del fronte molto più breve». In più sulle operazioni di pattugliamento e sminamento del Mar Nero, prevedono un coinvolgimento di Bulgaria, Romania e Turchia. Paesi che sono esentati dai vincoli di navigazione per navi militari straniere previste dalla convenzione di Montreux. Tutti scenari sul tavolo, proiettando i numeri di una forza che al momento non esiste, mentre si è chiesto e si potrebbe tornare a chiedere all’Ucraina di ridurre ulteriormente il numero dei soldati del suo esercito. «Chiamarlo un paradosso è troppo gentile. È idiozia», dice Giles a Domani. «Il fatto che questa idea sia entrata nelle controproposte europee dimostra quanto la Russia sia riuscita ad avvelenare l’ambiente informativo», spiega. «Ridurre l’esercito ucraino non è un punto negoziabile. È un termine da resa».