In queste drammatiche ore del conflitto fra la Russia e l’Ucraina, è passata inosservata la notizia dell’esito del referendum costituzionale in Bielorussia. Quando è scoppiata la rivolta dei bielorussi dopo la rielezione del presidente Aleksandr Lukashenko, anche su sollecitazione della presidenza russa, è stata avviata una fase di transizione, volta al cambiamento dell’assetto istituzionale per cercare di risolvere, politicamente e pacificamente, la tormentata situazione nel paese.

Annunciata dal presidente Lukashenko qualche mese fa, la riforma costituzionale rispecchia, per molti aspetti, alcune delle modifiche apportate alla Costituzione della Federazione russa, approvate nel referendum costituzionale del luglio 2020. Entriamo nel dettaglio.

Un primo aspetto comune agli articoli delle due costituzioni è il richiamo alla difesa e alla preservazione della memoria collettiva dei cittadini attraverso l’arma del patriottismo e dell’orgoglio nazionale. Un patriottismo, nella narrazione emersa durante la campagna elettorale, costantemente minacciato dall’Occidente che interferisce nelle dinamiche politiche del paese, sostenendo economicamente l’attività dell’opposizione politica, rappresentata da Svetlána Tikhanovskaya. In questo modo, il presidente bielorusso si propone come l’unico difensore della patria e pronto ad affrontare le minacce provenienti da Ovest. Un ulteriore atteggiamento di (definitiva?) chiusura dei rapporti internazionali con i paesi europei.

Eterno Lukashenko

Il secondo aspetto riguarda i nuovi rapporti di forza all’interno dell’assetto istituzionale. In primo luogo, è stato introdotto il limite di due mandati consecutivi alla presidenza e, al contempo, è stato concepito un nuovo organo, “l’Assemblea popolare Bielorussa” che dispone di ampi poteri in ambito giudiziario, come l’elezione dei giudici del presidente della Corte Suprema e l’annullamento di atti giuridici ritenuti “contrari alla sicurezza nazionale”.

Emerge, immediatamente, una certa somiglianza con il “Consiglio di Stato” in Russia - di cui è vicepresidente l’ex presidente russo, Dimitrij Medvedev -, che è stato inserito nella Costituzione e che, secondo le voci di corridoio nel gennaio 2020, sarebbe stato guidato da Vladimir Putin alla fine della sua presidenza nel 2024.

Alla base di questa iniziativa ci sono due opzioni per Lukashenko: la volontà di assumere un nuovo ruolo, vincolante l’azione di un nuovo capo di Stato, che gli consente di sopravvivere politicamente e che spiega l’avvicinamento graduale, ma, costante e ben saldo, con il suo omologo russo, costruito in questi ultimi due anni.

In alternativa, da un lato, all’elettorato verrebbe “concessa” l’elezione di un nuovo presidente per segnalare un cambiamento di regime dopo anni di protesta e repressione politica, dall’altro, le sorti politiche del paese rimarrebbero strettamente nelle mani di Lukashenko a capo dell’Assemblea, evitando particolari turbolenze politiche con il partner russo.

Tuttavia, questa modifica non escluderebbe anche a Lukashenko di ricandidarsi nel 2025 e rimanere al potere (per due mandati) sino al 2035 (e Putin sino al 2036): con quali probabilità di successo è abbastanza prevedibile se pensiamo al recente passato.

Per salvaguardare ulteriormente l’integrità di Lukashenko, una delle modifiche costituzionali prevede l’impossibilità per i presidenti e gli ex presidenti di essere perseguiti per crimini o violazioni di leggi che sono avvenute durante il loro mandato.

Sempre al fine di indebolire l’opposizione politica bielorussa il referendum introduce il divieto per i partiti bielorussi di ottenere aiuti dall’estero; un chiaro segnale, volto ad evitare qualsiasi interferenza occidentale a sostegno delle forze politiche d’opposizione.

A cosa serve il nucleare

Infine, l’aspetto più inquietante, se pensiamo al conflitto di questi giorni, è la parte dell’articolo 46, relativo alle politiche ambientali, dove è stata inserita una frase (“zona denuclearizzata”) sulla risorsa energetica derivante dal nucleare, espressa anche dall’annuncio della costruzione della prima centrale bielorussa nella città di Astravyets, a soli 55 chilometri dalla capitale lituana

Si tratta di una notizia che ha suscitato polemiche in Europa nonostante le ripetute rassicurazioni della presidenza bielorussa sulla volontà di utilizzare il nucleare per meri scopi civili.

Il presidente della commissione elettorale centrale Bielorussia, Igor Karpenko, ha annunciato che «il 65,16 per cento degli elettori ha votato a favore degli emendamenti alla Costituzione della Repubblica di Bielorussia», solo il 10,07 per cento ha votato contro mentre l'affluenza è stata del 78,63 per cento con un quorum al 50 per cento.

E, così, mentre i paesi dell’Unione Europea e gli Stati Uniti affrontavano gli effetti sociali ed economici della grave crisi pandemica del Covid-19, il presidente Putin ha approfittato della nostra vulnerabilità e ha pianificato tutti i passaggi necessari per colpire l’Occidente insieme al suo prezioso e “ritrovato amico”.

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