Mehringplatz non è un bel posto in cui vivere. Da un punto di vista urbanistico è un buco nero: nel Settecento era stata pensata come una versione prussiana di Piazza del Popolo, un luogo d’aggregazione degno di una nuova capitale neoclassica.

Oggi Mehringplatz è un grosso complesso abitativo sociale, un unico, brutto edificio socialista che circonda ad anello una piazza occupata da un perenne cantiere. Questo angolo di città, incastrato fra Kreuzberg e Friedrichstadt, è un simbolo della povertà che affligge una grossa fetta della società tedesca.

Asena T. ha un piccolissimo fast food turco sul lato sud dell’enorme anello, schiacciato fra un negozio di lane e un medico di base. «Prima del Covid non ce la cavavamo particolarmente bene, però insomma: le cose non fanno altro che peggiorare». L’ultima volta ha votato la Spd, senza convinzione: «Non c’è veramente nessuno di cui ci si possa fidare, non cambia mai nulla».

Le statistiche economiche riportate dall’amministrazione locale, QM Mehringplatz, sono devastanti. Su 5.500 abitanti del complesso, più di duemila ricevono sussidi statali (una quota del 40 per cento contro il 16 per cento a livello cittadino). Nel 2018 la disoccupazione raggiungeva picchi del 8,5 per cento, più del doppio di Berlino, mentre la quota di povertà infantile si aggira fra il 64 per cento e il 72 per cento, a seconda del criterio utilizzato.

L’urgenza delle riforme

Girando per la piazza è impossibile non notare quanti manifesti elettorali siano deturpati, molti di più rispetto ad altri quartieri di una città, comunque, poco rispettosa della politica.

Un’anziana signora siede sotto un poster del candidato della Cdu al seggio uninominale, sulla fronte gli è stato scritto in inglese “Lame” (noioso) con un faccino triste. «Io voterò Linke a questa elezione. Sono gli unici che non hanno mai governato questo paese, ma dicono solo cose giuste. Sanno quello che bisogna fare. A Spd e Verdi non interessa niente di gente come noi». Lo dice con un’aria di sfida: siamo a pochi passi dalla sede federale dei socialdemocratici.

Tutto l’arco parlamentare sembra aver capito che qualcosa deve cambiare. A partire dalla riunificazione, la Germania ha adottato un modello di crescita spesso criticato come “economia duale”, un sistema che distingue fra lavoratrici e lavoratori attivi nelle industrie esportatrice e quelli impiegati in settori economici legati ai consumi domestici.

I primi godono di sindacati forti, aziende che investono molto in ricerca, sviluppo e formazione dei propri impiegati, mentre i secondi fanno parte di quello che il cancelliere Gerhard Schröder, architetto della liberalizzazione del mercato del lavoro, ha definito «il mercato di bassi salari più grande d’Europa».

A vent’anni da quelle riforme, la tendenza politica si è invertita: in parte perché l’export non basta più ad alimentare la crescita economica, in parte perché la pandemia ha mostrato gli effetti del dumping sociale.

Secondo il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung, il secondo lockdown ha avuto effetti particolarmente severi sulla salute mentale di donne e immigrati di prima e seconda generazione, che rappresentano la stragrande maggioranza degli abitanti di Mehringplatz.

Convergenza a sinistra

Basta dare un’occhiata alle promesse fatte dei partiti. Ogni anno il Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung (Wzb) conduce un’analisi comparata dei diversi programmi elettorali, quantificando il peso relativo dato a diversi temi salienti della sfida.

Quest’anno tutte le formazioni politiche pongono al primo posto la necessità di aumentare l’uguaglianza economica. Temi come la riforma del sussidio di disoccupazione e l’estensione dei servizi per l’infanzia sono stati il cuore dei dibattiti fra i candidati cancelliere, e almeno a parole tutti sono d’accordo sul bisogno di rafforzare il sistema di welfare federale.

Queste misure saranno particolarmente importanti nei prossimi anni, per i quali è prevista una ripresa economica piuttosto lenta. Un altro tema importante è la riduzione del precariato, specialmente l’abolizione dei cosiddetti Minijob, contratti con un salario inferiore ai 450 euro e slegato dai meccanismi di previdenza sociale.

Quanto di tutto ciò sarà effettivamente realizzato dipenderà dalla coalizione che riuscirà a formare una maggioranza parlamentare. Anche qui, il Wzb ha analizzato le diverse combinazioni a tre possibili, sondaggi alla mano.

Un governo Rosso-Rosso-Verde (Spd, Linke e Verdi) presenterebbe le maggiori convergenze fra partner: ben il 79 per cento dei programmi elettorali dei tre partiti combacerebbe, con numerose corrispondenze soprattutto nell’ambito della politica sociale.

Anche un’alleanza coi liberali (il “Semaforo” con Spd e Verdi) e una coalizione Kenya (Verdi, Cdu, Spd) sarebbero abbastanza coerenti ideologicamente. La coalizione più eterogenea politicamente, e in primo luogo su welfare e sussidi di stato, sarebbe un governo Jamaica fra ambientalisti, liberali e cristianodemocratici. Lo stesso studio stima che questo sarebbe anche il governo più economicamente a destra fra quelli analizzati.

© Riproduzione riservata