L’agenzia di rating americana Moody’s ha una sola certezza: la Cina. Qualunque cosa succeda nella notte elettorale statunitense, chiunque vinca tra il presidente uscente Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden, il nuovo capo di stato degli Stati Uniti di America continuerà a mantenere la linea dura con la Repubblica Popolare cinese, e quindi – le due cose vanno di pari passo – a difendere la manifattura statunitense da quella che ormai da un decennio è diventata la fabbrica del mondo.

Lo scontro sugli investimenti sulla sanità

Per il resto, dice un report preparato dal responsabile della strategia globale di Intermonte Sim che cita l’analisi di Moody’s, i programmi economici dei due sfidanti hanno poco in comune. Se Biden promette di rafforzare il welfare e il sistema di assicurazioni sanitarie dell’Obamacare, il programma bandiera della  amministrazione Obama, regista di questa candidatura democratica, Trump ha in agenda l’esatto opposto: ulteriori tagli alle tasse, abrogazione totale dell’Obamacare e di sicuro nessun allargamento di quello che i repubblicani hanno sempre definito con dileggio il big State.

Questo per dire di questioni con impatto soprattutto interno. Sui due più importanti fronti esterni, le politiche economiche per tentare di ridurre il cambiamento climatico e il multilateralismo, assi di quella che è stata la globalizzazione, la lontanza è netta e nota.

Il divario tra mercati finanziari e economia reale

Trump ha sempre nel cassetto il suo famoso piano di investimenti da 400 miliardi di dollari destinati solo alle infrastrutture, cioè la categoria di investimenti che ha il ritorno maggiore e che può anche soddisfare i suoi grandi elettori. Ma Biden risponde con un programma di investimenti pari a sei volte tanto: 2400 miliardi di dollari sempre nell’arco del primo mandato, a cui si aggiunge una buona dose di spesa pubblica in sanità. 

Intermonte ricorda che in tutti modelli sviluppati dal servizio analisi di Moodys’, l’elezione di Biden ha un effetto maggiormente positivo sia sull’occupazione che sulla crescita del Pil.  Se i mercati dunque non votassero seguendo interessi particolari o in base all’andamento delle borse, ma guardando all’andamento dell’economia nel suo complesso, non dovrebbero avere dubbi sul loro candidato.
 

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Le cifre di Moody’s spiegano bene la distanza tra andamento dell’economia finanziaria e reale. Le due candidature valgono uguali se si considera l’impatto sulle borse e sui rendimenti dei titoli a dieci anni del Tesoro americano, mentre la loro ricaduta sulla crescita del Pil diverge di oltre un punto percentuale.

Considerato il quadriennio 2021 2024, l’elezione di Trump porterebbe a una crescita del Pil reale del 3,1 per cento, quella di Biden del 4,2, mentre gli interessi sul debito sono stimati rispettivamente a 2,4 per cento e 2,5 per cento, anche se una vittoria di Biden che porterebbe sulla carta un aumento della spesa pubblica è ovviamente associata a un aumento dello spread nel lungo termine. 

La crescita dell’indice S&P 500, uno dei principali indicatori dello stato di salute di Wall Street, è stimata al 3,2 per cento in caso di vittoria repubblicana e al 3,8 per cento coi democratici. Sul tavolo degli investitori di Mood’ys una vittoria di Biden è associata anche a una crescita maggiore degli indici finanziari legati alle pmi e all’impennata del valore dei titoli legati alle energie rinnovabili. 

La scelta del 46 esimo presidente potrebbe, infine, mettere fine alla stagione del dollaro debole a danno dei paesi con vocazione esportatrice come l’Italia e questo a prescindere da che presidente sarà. 

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