Porto Rico ci riprova: il 3 novembre, in concomitanza con le elezioni presidenziali americane, i 3,2 milioni dell’isola caraibica voteranno per decidere se rimanere un territorio non incorporato degli Stati Uniti o se diventare il 51esimo stato americano. In caso di vittoria della seconda opzione le autorità portoricane invieranno una lettera, comunque non vincolante, al Congresso americano per chiedere di avviare le pratiche per entrare fra gli stati americani. Porto Rico è in una situazione giuridica molto particolare che vede il territorio appartenente agli Stati Uniti pur non essendone parte. Questo status determina, fra le altre cose, l’impossibilità per i portoricani di votare per il presidente degli Stati Uniti.

Quello del 3 novembre è il sesto voto, sempre non vincolanti, sul tema, per i portoricani. Gli ultimi due referendum del 2012 e del 2017 hanno visto la vittoria dell’istanza per far diventare l’isola uno stato americano rispettivamente con il 61 e il 97 per cento. Ma la votazione di questo novembre potrebbe avere un valore speciale per diversi motivi.

Perché questa volta è diverso

«Innanzitutto è la prima volta che il quesito sulla volontà di diventare uno stato viene espresso sotto forma di sì o no. Questo elimina molte delle incertezze che i precedenti quesiti ponevano»: spiega Carlos A. Suárez Carrasquillo, professore di scienze politiche alla Florida University, che poi aggiunge: «Inoltre è importante ricordare che non è certo un momento semplice per i rapporti tra Porto Rico e gli Stati Uniti: sono molti i portoricani rimasti delusi dalle carenze degli aiuti americani a seguito dell’uragano che ha sconvolto l’isola nel 2017».

Un altro dato da tenere in considerazione per questo voto è sicuramente la non facile situazione economica del territorio non incorporato che nel 2016 ha dichiarato bancarotta. «Anche qui gli Stati Uniti non hanno certo riscosso le simpatie della popolazione locale»: spiega Suárez riferendosi alle riforme di austerità imposte nell’isola nel 2018 da un board nominato da Washington.  

A questi elementi bisogna aggiungere il crollo di credibilità che ha colpito uno dei principali sponsor dell’entrata di Porto Rico fra gli stati americani, Ricardo Rosselló. L’ex governatore si è infatti dovuto dimettere dalla carica nel luglio 2019 a causa delle proteste seguite alla pubblicazione di sue chat sessiste scambiate con altri politici del territorio. Il caso ha avuto una grande risonanza e ha rappresentato il primo caso di dimissioni da parte di un governatore.

2016: quando tutto è cambiato

Dal 1952 Porto Rico è un territorio non incorporato appartenente al Commonwealth americano pur conservando una certa autonomia. Ma una sentenza della Corte suprema americana nel caso “Puerto Rico v. Sanchez Valle” nel 2016 ha negato la possibilità che una persona possa essere processata due volte per lo stesso reato sia dalla giustizia americana sia da quella portoricana.

La sentenza ha di fatto minato questa situazione. Proprio l’epilogo del caso “Puerto Rico v. Sanchez Valle” è definito da Suárez come uno dei principali motivi che rendono speciale questo voto. «Gli esperti hanno impiegato anni per comprendere a pieno le implicazioni di Puerto Rico v. Sanchez Valle e ora siamo tutti più consapevoli del fatto che quella sentenza ha delegittimato la situazione odierna»: spiega l’accademico. Secondo Suárez tutte queste considerazioni potrebbero causare non solo un aumento dell’affluenza, che nel 2017 è stata solo del 23 per cento, ma anche un possibile risultato più equilibrato rispetto ai precedenti.

Porto Rico? «Meglio venderla»

Fin qui la visione dei portoricani. Ma cosa pensano dell’isola a Washington? L’attuale presidente, Donald Trump, ha già fatto sapere che, a prescindere dal risultato del referendum, non ha alcuna intenzione di far diventare l’isola il 51esimo stato americano. Secondo l’ex funzionario governativo, Miles Taylor, nel 2018 durante un viaggio verso l’isola, il capo di stato americano avrebbe chiesto se fosse possibile «comprare la Groenlandia e vendere Porto Rico» aggiungendo di considerare l’isola “povera e sporca”. Il candidato democratico alla presidenza americana, Joe Biden, si è invece detto più possibilista dicendo: «Gli Stati Uniti dovranno rispettare la volontà che sarà espressa dai portoricani».

Un altro dato da tenere in considerazione è l’interesse manifestato verso l’isola dai due candidati alla Casa Bianca, che anche se divisi sul futuro dell’isola, sono uniti nell’intento di convincere i portoricani a far votare i propri cari migrati negli Stati Uniti per il proprio nome alle presidenziali del 3 novembre. Nonostante la crescente attenzione riservata all’isola, Suárez si dice comunque dubbioso sull’effettiva volontà degli americani nel volere accettare l’entrata di un 51esimo stato con una cultura marcatamente latinoamericana come quella di Porto Rico.

«Il Congresso americano, che ha un potere assoluto su Porto Rico, non ha mai voluto concedere un referendum che obbligasse gli Stati Uniti a prendere in considerazione la volontà degli abitanti dell’isola»: spiega il professore che poi conclude: «Oggi quello che serve davvero  Porto Rico sono gli strumenti per uscire dalla crisi attuale che è stata molto aggravata dalla pandemia da Covid-19, se per ottenerli sarà necessario diventare uno stato americano sarà il voto del 3 novembre a dircelo».

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