L’idea di una forza di peacekeeping europea schierata dopo un eventuale armistizio non appare più così fantasiosa. Dal punto di vista politico, i fattori da considerare riguardano il livello di legittimità dell’operazione e la sua eventuale cornice istituzionale. Da quello militare bisogna capire come costruire la “coalizione di volenterosi” lungo l’asse Londra-Parigi
Nella conferenza stampa di lunedì con Emmanuel Macron, Donald Trump ha assicurato che la Russia accetterebbe una forza di peacekeeping “europea” in Ucraina all’indomani del possibile armistizio che la sua amministrazione sta negoziando.
Macron ne ha riferito in videochiamata agli altri leader Ue – anche in vista del vertice straordinario del 6 marzo – ma Sergei Lavrov è parso smentire l’assicurazione di Trump. Se l’eventualità di una presenza militare europea in Ucraina non pare più così fantasiosa, comunque, sul piano pratico presenterà almeno due sfide intrecciate fra loro: una politica e una militare.
La sfida politica
Dal punto di vista politico, i fattori da considerare riguardano il livello di legittimità dell’operazione – in particolare, se e in che misura sarebbe autorizzata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (che implicherebbe appunto l’assenso di Mosca) – e la sua eventuale cornice istituzionale.
Al momento appare difficile immaginare che a condurla possa essere la Nato in prima persona: molti europei, da Londra a Varsavia, lo preferirebbero senz’altro, ma Trump non lo proporrà e Vladimir Putin non lo accetterà.
È però altrettanto arduo immaginare che possa farsene carico l’Ue in quanto tale, sia per la prevedibile mancanza del necessario consenso a 27 sia, soprattutto, per l’assenza di Londra, che dovrebbe invece costituire il fulcro dell’operazione. Non resterebbe quindi che l’opzione di una “coalizione di volontari” (o “volenterosi”, a seconda di come si voglia tradurre l’inglese willing), preferibilmente con un mandato Onu, un comando unificato e regole d’ingaggio chiare e robuste.
La sfida militare
E qui subentra il fattore più strettamente militare. Fra gli scenari in discussione – più o meno sottovoce – spicca il ricorso alla Combined Joint Expeditionary Force (Cjef), creata da Londra e Parigi nel 2010 con gli accordi di Lancaster House, e dichiarata pienamente operativa nel 2020.
Si tratta di un contingente interforze (esercito, marina e aeronautica) di intervento rapido, che può coinvolgere fino a 10 000 effettivi (ma anche essere elevato a livello di brigata), con quartier generale a Northwood presso Londra e a Fort Mont-Valérien presso Parigi.
Si tratta di una formazione collaudata e certificata, che avrebbe pure il vantaggio – in termini di legittimità politica e capacità dissuasiva – di associare le due potenze nucleari europee e due membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ma sarebbe anche essenziale ampliare lo spettro dei paesi partecipanti, anche per dimostrare – a Mosca come a Washington – la volontà degli europei di farsi maggior carico della sicurezza dell’Ucraina e, indirettamente, anche della propria.
Si potrebbe immaginare, ad esempio, di associare alla Cjef un’altra formazione multinazionale – anch’essa fra l’altro con quartier generale a Northwood – e cioè la Joint Expeditionary Force (Jef): a guida britannica, creata nel 2014 con funzioni simili alla Cjef e operativa dal 2018, oggi comprende anche i cinque paesi nordici, i tre baltici e l’Olanda.
Altri "pacchetti” di forze suscettibili di essere coinvolti nell’operazione – anche per le rotazioni che si renderanno necessarie – potrebbero essere l’Eurocorpo (originariamente franco-tedesco, poi esteso a Belgio, Spagna e Polonia) ed almeno alcuni dei “gruppi tattici” plurinazionali a suo tempo messi a disposizione dell’Ue.
Cosa può fare l’Italia
L’Italia non è integrata in nessuna di queste formazioni, a parte alcuni "gruppi tattici”. Si è solo associata, in ritardo e dopo un cambio di governo (nel 2019), alla cosiddetta European Intervention Initiative (EI2) lanciata da Macron dopo il referendum su Brexit per tenere in rete la Gran Bretagna e altri 11 paesi “estroversi” attraverso consultazioni periodiche fra attaché militari. La rilevanza dell’EI2 è sbiadita dopo la seconda invasione russa – allorché sono state Nato e Ue a guidare la risposta occidentale – ma potrebbe essere rilanciata come cornice allargata per l’eventuale missione in Ucraina.
Vorrà Roma impegnarsi a fianco di Londra, Parigi e altri “volenterosi”? Molto dipenderà anche da Trump: da se e quanto incoraggerà gli europei ad agire (anche come test per il futuro della Nato), e da se e quanto sarà disponibile ad appoggiarli (sia pure a distanza) dal punto di vista tecnico-militare, come ha chiesto Keir Starmer.
Ne sapremo probabilmente di più dopo la sua visitai alla Casa Bianca – dove si presenta con la fresca decisione di aumentare le spese per la difesa britannica dal 2,3 al 2,5 per cento del Pil in tre anni – e dopo il suo briefing ai partner europei previsto per domenica a Londra.
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